Diario, 1914-1918 Frase: #1123
Autore | Martini, Ferdinando |
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Professione Autore | Politico, scrittore |
Editore | Mondadori |
Luogo | Milano |
Data | 1966 |
Genere Testuale | Diario |
Biblioteca | Biblioteca di Area Giuridico Politologica "Circolo Giuridico" Siena |
N Pagine Tot | L, 1326 |
N Pagine Pref | 50 |
N Pagine Txt | 1326 |
Parti Gold | 475-566 (91) |
Digitalizzato Orig | No |
Rilevanza | 3/3 |
Copyright | No |
Contenuto
EspandiQUADERNO QUINTO Dal 4 luglio al 10 novembre 1915 4 luglio Quando stamani al Quirinale ho riveduto i colleghi (il mio incomodo m’aveva impedito per due volte di portare alla firma del Luogotenente i decreti) li ho trovati che discutevano vivacemente fra loro.
In sostanza, Sonnino vorrebbe dichiarare la guerra alla Germania, perché a suo dire (ed è vero) il non farlo suscitò ed ora acuisce diffidenze negli alleati;
Grippo e Daneo indugerebbero volentieri, e se fosse possibile si asterrebbero anche più volentieri da una tale dichiarazione.
Ho capito che la deliberazione circa la dichiarazione di guerra alla Turchia presa nell’ultimo Consiglio dei Ministri, se fu revocata anche perché parve inopportuno sgomentare il pubblico durante l’emissione del prestito, a farla revocare concorsero altresì istanze, suggerimenti di colleghi che ne conferirono col Presidente.
Sonnino era molto acceso nel discutere e diceva chiaramente:
«Voi la guerra non la volete».
Che diffidenza negli alleati ci sia (se non ne’in i Governi, nel pubblico francese ed inglese), è verità indiscutibile.
Giorni sono Delfino Orsi direttore della Gazzetta del Popolo di Torino mi scrisse per dolersi di favori o promesse fatte a un Don Rubino famoso austriacante di Trieste che pare ora abbia con una «trovata patriottica» ottenuto il favore del Governo nostro.
L’Orsi esprimeva le sdegnose doglianze dei triestini.
Ne parlai a Salandra il quale ignora il nome del Rubino, la sua cosidetta «trovata» e le ragioni di coloro che per mezzo dell’Orsi si «dolgono».
Ma l’Orsi sulla fine della sua lettera scriveva:
«Badi il Governo e non illudasi troppo sulla morte del giolittismo.
Qui troppi sintomi avvertono che le segrete speranze sopravvivono».
Oggi il Pantaleoni pubblica nell’Idea Nazionale questo articolo che intitola Gas Asfissianti.
E il Belcredi che è in condizioni di saper molte cose, molto di questi raggiri, conferma.
Si cerca di premere sui Balcani:
la Quadruplice Intesa farà collettivamente nuovi tentativi.
Sonnino mostrava stamani al Presidente il testo di una appendice alla nota che le quattro Potenze invierebbero e che dovrebbe essere mandata al Montenegro.
L’appendice era redatta dall’ambasciatore di Russia e pare in termini abbastanza duri, perché Salandra consigliò di mitigarne la forma, visto che il Re del Montenegro, per imbroglioncello che sia, è pur sempre il suocero di S. M.
Continuano le pessime notizie dalla Tripolitania.
Il Governatore è addirittura inferiore all’ufficio suo.
Il Ministro della Guerra ed io autorizzammo a trattare la resa il comandante il presidio di Beni Ulid, ove altri modi di scampo non fossero da tentare.
Ordinare, come il Tassoni fa, una capitolazione a un comandante che come il Brighenti si propone di resistere o comunque di combattere, mi pare eccessivo.
Una giornata che doveva essere giornata di riposo rimarrà nella mia memoria come una delle più tristi della mia vita pubblica.
Ero andato a Frascati a fissare una camera per il mese di agosto.
Nel tornare ho trovato questo telegramma e una preghiera del Presidente di andar subito a Palazzo Braschi.
Era là il Ministro della Guerra.
Il risultato del colloquio è stato l’invio di un telegramma al generale Tassoni ordinandogli di abbandonare ogni presidio e rimanere alla costa.
3639 — Decifri da sé.
— Per concorde determinazione Presidente del Consiglio Ministro Guerra e mia conforme a facoltà già consentita eventualmente dal Consiglio dei Ministri autorizzo V. E. ritirare tutti i presidi altipiano verso costa niuno eccettuato conforme proposta n. 7 suo telegramma odierno n. 698 — Autorizzola inoltre se necessario ritiro presidi costieri Sirte Sliten conforme sua proposta n. 4 mentre Ministro Guerra prevvede invio noleggiato tipo Ravenna.
Non dubito che V. E. farà quanto sia più opportuno per rendere meno dannoso tale doloroso ma necessario provvedimento non solo sotto l’aspetto militare ma anche nei rispetti politici.
Sul quale ultimo punto attendo ove occorra proposte V. E.
Martini Io non sarò mai persuaso che con 40 uomini non possano tenersi in Tripolitania i presidi principali dell’altipiano:
ma poiché il Governatore non lo crede, il Ministro della Guerra non vuole seccature in questo momento e il Presidente non vuole — ed è il più ragionevole — eccidi di soldati nostri;
bisogna rassegnarsi e perdere la colonia: ché lo scendere dall’altipiano questo significa.
Com’era facilmente da prevedere il Capo di Stato Maggiore è indignato dell’ordine di arrendersi dato dal gen. Tassoni al comandante il presidio di Beni Ulid:
ed ha mandato testimone e araldo della propria indignazione un telegramma al Ministro della Guerra che leva la pelle e avverte nientemeno che se il gen. Tassoni dette quell’ordine (e come può credersi che non lo abbia dato, se c’è il documento telegrafico:) deve essere richiamato.
Ordine noi non demmo, il Ministro della Guerra ed io, ma facoltà di trattare la resa sì:
lo sdegno del Capo di S. M. colpisce dunque anche noi...
Per me poco male... ma per il Ministro della Guerra...
Ma perdio: com’è possibile di regolarsi:
Non si vogliono altre stragi;
non si deve capitolare perché ciò è offesa all’onor dell’esercito...
E allora:
Come si fa quando, come a Beni Ulid, un presidio di 800 uomini si trova bloccato da 4000 arabi:
o capitolare, e questo no; o uscire e cercarsi uno scampo, e si va incontro a morte sicura...
Oh: che brutte giornate:
5 luglio Ogni volta che noi abbandoniamo un chilometro quadrato di terre già occupate in Tripolitania noi accresciamo di cento il numero dei ribelli.
Questo io mi sono studiato di cacciare in testa ad altri sin qui, ma fu inutile
Ora naturalmente la dimostrazione verrà e le genti dell’altopiano abbandonato si rovesceranno contro le oasi di Tripoli.
Ma:
E sempre notizie peggiori.
Viene da me Barrère per darmi notizie di fatti avvenuti sul confine della Tunisia, e ad espormi desideri delle autorità francesi confinanti con le zone occidentali della Tripolitania.
Questa la ragione o forse il pretesto.
In sostanza egli viene a dirmi che lo stato delle nostre relazioni con la Germania, cui non dichiariamo la guerra e che non ce la dichiara, desta diffidenza non nei governi alleati sicuri della nostra lealtà, ma nelle popolazioni di Francia e d’Inghilterra.
E non basta:
i tedeschi si valgono di tale stato delle cose per lasciar credere nei Balcani che Germania e Italia sono tuttavia in ottime relazioni;
il che dà da pensare a quei popoli e fa da efficace contrasto alla propaganda interventista.
Barrère è scandalizzato del discorso tenuto da Tittoni al Trocadero e dice esser questa la prima volta che, in tempo di guerra segnatamente, un ambasciatore fa discorsi in pubblico d’indole diplomatica e mette in luce documenti non conosciuti.
Barrère ha fiducia costante nel trionfo finale delle armi alleate e dice le ragioni di tale fiducia.
Un telegramma del ff. Governatore dell’Eritrea annunzia che verso la metà del mese scorso Camaran è stata occupata dagli inglesi, che vi hanno lasciato un distaccamento di indiani e costruito trincee.
Il Console inglese di Hodeida, che fu da noi liberato, mesi sono, è in Camaran aggregato al comando.
E non basta:
piccoli distaccamenti indiani hanno occupato Gebel Harnish e Gebel Zucur, due isolotti che una quindicina e forse più di anni fa io proposi di occupare al march. Visconti Venosta allora Ministro degli Affari Esteri:
tanto esse sono vicine alla nostra costa che la occupazione loro da parte degli inglesi è qualcosa più che sans façons, è addirittura disprezzo d’ogni nostra ragione.
Basta:
se dichiareremo la guerra alla Turchia potremmo a nostra volta occupare le Farasan che già eccitarono gli appetiti della Germania.
Ma la condotta più sleale di quella che l’Inghilterra tiene in Affrica verso di noi non è possibile immaginarla.
6 luglio Si vince sul Carso, ma ogni presidio della Tripolitania costa vittime numerose:
dolorosi abbandoni resi più dolorosi dalla caparbia incapacità del Governatore.
Ecco ch’egli si prepara a eseguire gli ordini di ritirata:
ma chi può assicurarci che tutto sia fatto con previsione prudente e operosa affinché la ritirata avvenga nelle migliori condizioni possibili:
[... ] Ogni telegramma che arriva è cagione di angoscia o di trepidazione.
Io non dormo da tre notti.
E sarò io l’accusato di quanto avviene e tenuto io responsabile di questo enorme disastro:
io che non ho nessuna responsabilità:
e se non dormo egli è perché mi ange, mi cuoce, mi strazia il pensiero di tante vite sacrificate, non perché mi punga il minimo de’rimorsi.
Viene da me Teodoro Mayer.
Ha rimesso un memoriale a Salandra e a Sonnino:
teme che non ne tengano abbastanza conto.
Lo ha scritto non per proporre soluzioni ma per mettere sott’occhio i problemi che si vanno via via presentando per l’occupazione delle terre irredente.
Non crede senza pericolo, per esempio, che subito si surroghino ordinamenti nuovi a quelli dell’amministrazione austriaca.
È contrario a una nostra impresa nei Dardanelli e alla dichiarazione di guerra alla Germania.
Lo rassicuro e assicuro circa i Dardanelli;
ma dal dichiarare la guerra alla Germania ci sarà possibile astenerci:
In casa San Martino incontro Giovanni Visconti Venosta che giunge da Parigi e vi ritorna.
Altissimo il morale in Francia; calma preparazione di una nuova campagna invernale.
Qualche sintomo di diffidenza verso di noi:
soffiano nel fuoco svedesi, greci e l’alta banca ebrea;
tutti coloro che odiano l’Italia.
Con una scusa o con l’altra tutti i Rothschild che erano a Parigi han filato su Londra.
E a Parigi dicono:
On a tiré le baron du feu.
7 luglio Disgraziatamente turba il contento per questi felici successi la perdita di una delle nostre navi: l’Amalfi.
L’Amalfi era la gemella della Pisa che nel 1910 mi portò da Rio de Janeiro a Santos, a Montevideo, a Buenos Aires.
Perfettamente a quello uguale so quanto bello fosse questo incrociatore costatoci, credo, 25 milioni.
Per fortuna pronti i soccorsi e però poche le vittime.
Ma perché era andata in esplorazione l’Amalfi:
Non si sa.
Il Ministro della Marina parte stasera per Venezia.
Indagare occorre;
nelle acque di Venezia non abbiamo già perduti una torpediniera ed un sottomarino:
Consiglio de’Ministri.
Buone notizie del prestito dà il Ministro del Tesoro.
Il successo patriottico c’è perché numerosissimi sono i soscrittori, moltissimi quelli che han sottoscritto per cento lire.
Mancano le grosse cifre.
Salandra dice che provvederà affinché la stampa avvisi i ricchi e i detentori di molto danaro, che, se non dànno con le buone, dovranno dare con le cattive.
Ed è giusto.
Di molto danaro l’Italia ha bisogno e deve darlo chi l’ha.
Il Papa s’è lagnato a cagione della poesia di Guerrini (L. Stecchetti) pubblicata nell’ultimo numero del Travaso.
Salandra avverte che ha ricostituito l’ufficio di censura e ha denunziato Il Travaso al procuratore del Re.
Il Papa, mi duole dirlo perché Guerrini è mio amico da quarant’anni, il Papa ha ragione;
quei cattivi versi erano un insulto da cima a fondo, e non abbiamo bisogno di farci avverso il Papa più di quanto, è Teodoro Mayer, che non può essere certamente tacciato di clericalismo, mi diceva ieri:
per star tranquilli nelle nuove terre conquistate e attrarre a noi la popolazione quasi tutta devota all’Austria, abbiamo bisogno di medici, di maestri, di preti.
Ma di preti principalmente.
Il Presidente finalmente annunzia la costituzione di un Comitato per provvedere alle armi e alle munizioni.
Il Ministro della Guerra assicura che le munizioni non mancheranno, tuttavia piace sapere che ci si adopera a fabbricarne il maggior numero possibile.
E cannoni anche: perché alcuni di quelli di medio calibro sono scoppiati.
Costituiranno questo Comitato cinque Ministri: della Guerra, della Marina, del Tesoro, degli Esteri e il Presidente del Consiglio.
Si nomina Sottosegretario di Stato per le armi e munizioni il generale Dallolio.
Questi sarà il segretario e l’esecutore delle deliberazioni del Comitato.
Do finalmente notizia al Consiglio delle condizioni della Libia.
Leggo il telegramma del Governatore.
La discussione è stata lunga e vivace: la giornata assai brutta per me.
Il concetto mio era questo.
Intanto il Tassoni sgombra l’altipiano:
quando lo sgombro sia compiuto e non vi siano, né possono esservi, assalti nelle regioni costiere, l’azione militare è per ora e sarà per certo tempo assai scarsa.
Occorre l’azione politica per riconciliarsi le popolazioni, valersi dei capi influenti che di questi giorni hanno voluto attestare al Re la lor devozione e fedeltà, far opera insomma quale un Governo militare non sa fare, ma può fare un Governo civile se a capo di questo Governo stia un uomo intelligente, accorto, ecc.
L’uomo, io pensai, c’è: il Salvago Raggi che non vuole tornare in Eritrea.
Lo interrogai ed egli mi lasciò apertamente sperare nella accettazione di quell’ufficio.
Ma tutto in 24 ore è precipitato:
la ritirata si fa in condizioni disastrose, il Salvago che forse di ciò ha già notizia, mi avverte che ad accettare non è altrimenti disposto.
Gent.mo Signor Ministro.
4 luglio 15 Dopo la conversazione dell’altro giorno ho ripensato seriamente a quanto Vostra Eccellenza mi diceva e mi sono sempre più convinto che quella soluzione della quale abbiamo parlato è sconsigliabile sotto ogni aspetto.
Indipendentemente dalla scelta della persona credo che il momento sarebbe male scelto per l’invio d’un borghese.
Egli non potrebbe far niente di bene e non eviterebbe gli inconvenienti che si deplorano giustamente.
La persona poi non sarebbe indicata:
io la conosco da oltre 48 anni e quindi la conosco bene.
Le rinnovo quindi la calda preghiera — nell’interesse del paese oltre che nel mio — di cercare un’altra soluzione.
Mi sono permesso scriverle per non farle perdere tempo con un’altra lunga conversazione — ma, non ho bisogno di ripeterlo, sono sempre a sua disposizione ogni volta voglia vedermi.
Nel Consiglio s’è ricordata la proposta del Ministro della Guerra alla quale il Consiglio stesso mostrò di aderire, cioè di porre al comando di ambedue le colonie il generale Ameglio.
Io credo un tale provvedimento pieno di inconvenienti e pericoli, lo combattei con una lettera al Presidente, ho dovuto novamente combatterlo oggi:
ma quando poi siamo stati al deliberare, posto che i rinforzi domandati oggi stesso per la centesima volta non mi si daranno, che un generale da sostituire al Tassoni non c’è, che il mio progetto è inattuabile, ho dovuto per forza piegare la testa e rassegnarmi alla unificazione del comando, al provvedimento, del quale, ripeto, io avevo quasi dimostrata l’assurdità.
Sono certo che i colleghi mi accusano di imprevidenza e di titubanza — e in apparenza han ragione di rimproverarmi l’una cosa e l’altra:
ma in verità io avevo preveduto e risoluto:
soltanto le previsioni e le risoluzioni d’ieri sono — e non per mia colpa — fallite.
E del resto, governate se vi riesce una colonia con questi generali e questi Stati Maggiori che mandano in giro colonne per regioni desertiche o semidesertiche senza prima assicurarsi che l’acqua vi si trovi.
Il Governatore accusa il comandante del battaglione eritreo di aver perduto la testa...
Il comandante è il maggiore Tancredi, un de’più vecchi ufficiali dell’Eritrea che ha condotto gente in Dancalia dove l’acqua non abbonda e non ha mai fatto morire di sete nessuno.
[... ] Scambio di cortesie.
Buona l’ultima parte del telegramma Salandra.
Egli dice a Giolitti che si fa la guerra per mantenere all’Italia il suo posto nel mondo;
e lascia così pensare all’on. di Dronero che cosa sarebbe avvenuto se non la facevamo.
8 luglio Consiglio de’Ministri.
Si riparla della Libia.
Do notizia del telegramma mandato ad Ameglio.
Espongo quale sarebbe stato il mio disegno se gli ultimi casi non lo avessero fatto d’impossibile esecuzione.
Si parla della nomina di un Ministro senza portafoglio; cioè di Barzilai.
Il Ministro della Guerra tace, tace il Ministro dell’Istruzione.
Il Ministro delle Finanze crede inopportuna la nomina.
Favorevoli gli altri.
Si discute un pezzo cercando ciò che questo Ministro potrà fare;
fino a che osservo che mentre si nomina un Ministro senza portafogli, si studia il modo di dargliene uno.
L’osservazione che è giusta pone fine al dibattito e la nomina di Barzilai è deliberata.
Telegrafo ad Ameglio [ comunicando la nomina a governatore della Tripolitania, con l’incarico di reggere il governo della Cirenaica ]
9 luglio Necessità tedesche e stoltezze austriache.
Il gen. Ameglio risponde così al mio invito:
205 — Riservatissimo alla persona.
Risposta 3698, riservatissimo.
Conscio mio dovere ubbidisco.
In attesa sua comunicazione circa modalità assunzione governatorato Tripolitania domando generale Moccagatta comando regie truppe questa Colonia conoscendo ambiente Cirenaica e mio indirizzo di Governo.
Maggiore Villa molto amato da questa [ popolazione ] indigena capo questo ufficio politico, sostituzione colonnello Vaccari, che anche per sua conoscenza ambiente Tripolitania e perché mi ispira grande fiducia ritengo necessario mi segua.
Era sul punto di fare altra ispezione alle zone che riterrei utile compiere prima recarmi Tripoli, dove desidererei giungere dopo di aver conferito con Vostra Eccellenza.
Vuol egli trattenersi in Cirenaica per fare l’ispezione o non piuttosto per lasciare il gen. Tassoni nelle peste intanto, e arrivare a Tripoli quando la ritirata dei presidi sia cosa fatta:
Comunque, data da lui oramai risposta affermativa al mio invito, telegrafo al gen. Tassoni:
3727 — Decifri da sé — Rosso —
La impossibilità per ripetute deliberazioni del Consiglio dei Ministri di mandare costà rinforzi dalla madre patria, il ritiro dei presidi dall’interno, la nostra occupazione ridotta alla costa, il movimento senussita non solo religioso, ma soprattutto politico penetrato ormai minaccioso dalla Cirenaica in Tripolitania, dove antichi e recenti gravi errori hanno preparato terreno sinistramente fecondo, come lo dimostra la ribellione che dalla Sirte al Gebel Nefusa circonda la colonia, tutto ciò ha determinato il Governo del Re a costituire di fatto un unico Governo della Libia riunendo insieme la Cirenaica e la Tripolitania sotto un solo uomo in modo che il complesso problema politico-militare possa cercare e avviare una soluzione con la cooperazione di tutte le forze locali di Tripolitania e Cirenaica, sulle quali solamente si può fare assegnamento.
In tale stato di cose, ricordando la sua delicata profferta di mettere a disposizione del Governo del Re il proprio ufficio, se di ciò potessero giovarsi le condizioni di codesta Colonia ho d’accordo col Ministro della Guerra il quale la chiamerà ad altri uffici deliberato che Ella sia sostituito nel Governo della Tripolitania.
Riservandomi ulteriori comunicazioni La prego di rimanere al suo posto fino all’arrivo del nuovo Governatore della Libia e di accusarmi ricevuta del presente.
Lunga conversazione col Coromylas ministro di Grecia.
Viene a parlarmi dei soliti pescatori di spugne, ma è facile accorgersi che questo non è se non un pretesto.
Ciò ch’egli veramente vuole è farmi sapere che ha scritto ad Atene per protestare contro una parte della stampa che in questi ultimi giorni s’è avventata con invettive violente contro l’Italia, insultando il nostro esercito ecc. ecc.
A suo avviso, la Germania non ci farà la guerra:
più che al presente dell’alleata Austria, essa pensa al proprio avvenire.
Non sa che cosa la Grecia farà:
sebbene egli sia il padre della presente costituzione, deve confessare di non aver preveduto il caso attuale: cioè di un Re che conserva intatte e lucide le facoltà intellettuali, ma cui la infermità non permette di accudire alle faccende di Stato.
Afferma che la Triplice Intesa s’illude su la Bulgaria, la quale dispone di forze minori molto di quelle che le si suppongono.
Giudica assai severamente Bülow e Giolitti, dice che ambedue hanno dato una prova molto palpabile della loro imprevidenza e della loro incapacità.
Il suo desiderio è di annodare relazioni durevolmente amichevoli fra l’Italia e la Grecia.
Veggo Salandra dopo ricevuta questa lettera, e gli do notizia dell’accettazione di Ameglio.
Salandra è preoccupato dal timore che ci facciano difetto le munizioni.
Mi esorta, se mai Sonnino novamente proponesse di muover guerra alla Turchia, a frenarlo.
Il paese non è entusiasta, è rassegnato;
si conduce bene, ma non vuole andare oltre i termini che gli furono sino a qui segnati: non oltre la guerra all’Austria.
Se la Germania verrà contro di noi, e verrà certamente, a questo il paese è preparato;
ma non gradirebbe, né intenderebbe che noi andassimo a provocarla.
Il deputato Comandini, repubblicano, che parte stasera in qualità di sergente, per il campo, mi espone le lagnanze udite da parecchi deputati i quali si dolgono di non essere in alcun modo adoperati, mentre potrebbero rendere utili servigi.
Altre doglianze udì il Comandini perché figli di repubblicani, repubblicani essi stessi, furono esclusi dalle scuole di Modena, o dagli esami per ufficiali di complemento, unicamente perché repubblicani:
tra gli altri il figlio dell’ex deputato Numa Campi.
10 luglio Il gen. Tassoni mi risponde secco:
la notizia del suo richiamo non può essergli giunta gradita [... ]
Il gen. Ameglio ha insistito per rimanere alcuni giorni in Cirenaica.
Naturalmente non si può non consentirgli l’indugio.
Il Presidente mi scrive esortandomi al consenso.
Non c’era bisogno della sua lettera.
Nitti viene da me; a far chiacchiere ma, in sostanza, per raccomandarmi la nomina del Mortara a Presidente della Cassazione di Roma.
Dice che il Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando, nonostante i tre nomi eroici (senza un po’di malignità arguta non c’è discorso di Nitti né pubblico né privato), non ha il coraggio di quella nomina che pure prima o poi gli s’imporrà.
Il vero è invece che Orlando la propose e trovò il Consiglio tutto quanto, senza eccezione, contrario;
onde gli fu giocoforza ammainare le vele e rimandare ad altro tempo l’arrischiarsi nel pelago minaccioso.
Nitti è sempre piacevole ad ascoltare, oggi segnatamente ch’ei parla con grande sincerità.
«Voi siete al potere» egli dice «e vi rimarrete forse un tempo relativamente lungo:
ciò che è da desiderare perché non vi balzerebbe di seggio che una sciagura patria.
Dopo di voi, non Giolitti, che per ora è lontano:
e, quando all’età di Giolitti un uomo politico è lontano dal potere, ciò significa che non sarà vicino mai più.
Ci sono nella Camera uomini che s’arrabattano per tornare al potere e che la Camera non vuole: Tedesco, Bertolini.
Facciano pure, passino, io sono de’più giovani eredi del potere:
erede lontano ma sicuro:
non ho dunque fretta, ho l’avvenire per me.»
Il sig. Paolo de Parente, già segretario dell’Ambasciata a Londra, è stato trasferito a Rio de Janeiro.
Viene a vedermi.
L’Inghilterra ha ora sotto le armi 900 uomini — più le truppe mandate ai Dardanelli.
Potrà veramente averne 3 milioni:
ma le mancano le armi.
Fino a qualche tempo fa, le truppe che si preparavano per andare in Francia avevano un fucile ogni tre soldati: e se lo passavano a turno per l’istruzione.
Gl’inglesi sono ottimisti per due ragioni:
primo, oramai c’è in loro questo concetto aprioristico: che il nemico dell’Inghilterra fu sempre vinto e perciò lo sarà ancora;
inoltre, la persuasione che il tempo è un grande ausiliario per l’Inghilterra e un grande nemico della Germania:
due concetti che trattengono lo sforzo immediato.
Non v’è sinora diffidenza verso l’Italia, ma desiderio ch’essa dichiari la guerra alla Turchia:
perché sebbene negli effetti la dichiarazione sia platonica, pure ciò deve condurre alla guerra con la Germania più presto.
11 luglio Notizie da Tunisi circa la triste fine del presidio di Nalut.
Ma tutto è preferibile all’ignominia, e la capitolazione di Beni Ulid è la più bassa espressione dell’ignominia.
Ne scrivo immediatamente al Ministro della Guerra
Le responsablità del gen. Tassoni anche in questo brutto episodio sono gravissime.
12 luglio Al Quirinale, in attesa della firma dei decreti, Orlando racconta come il Papa sia molto preoccupato dall’ipotesi di una sconfitta turca nei Dardanelli.
Il Papa crede sapere e fa sapere esistere già un patto fra le Potenze dell’Intesa.
La Russia avrebbe Costantinopoli;
la Francia si estenderebbe in Siria;
l’Inghilterra, per compenso a questo partage da lei certo non desiderato, otterrebbe che la ferrovia di Bagdad anziché a Costantinopoli sboccasse nella penisola di Gallipoli divenuta suo dominio.
Il Papa teme, e a ragione, assai più che il Califa, un papa ortodosso a Costantinopoli.
Dopo la firma, colloquio con Sonnino e Salandra.
Sonnino insiste e con inconsueta vivacità nel proposito di dichiarare la guerra alla Turchia.
Dice la nostra posizione insostenibile verso gli alleati.
Salandra è titubante:
non vede la necessità di un tale atto e ne teme gli effetti.
Preferirebbe pubblicare il patto di Londra.
Se ne parlerà in un prossimo Consiglio dei Ministri.
Reduce da Tarhuna, dove, nella ritirata, fu ferito due volte, viene a vedermi il giudice Garrone, un eroe.
Rivendica la fama dei nostri soldati.
Combatterono tutti, finché le forze ressero:
erano infiacchiti dalle condizioni nelle quali il presidio di Tarhuna rimase per lunghissimi giorni.
Gli artiglieri, per esempio, avrebbero potuto salvarsi staccando i cavalli dalle salmerie e fuggendo.
Non vollero:
spararono fin che ebbero colpi:
e di 135 che erano soltanto 25 tornarono a Tripoli.
Lo prego di stendere una narrazione dei casi ai quali fu presente.
Essa dimostrerà ciò che era da credere: la responsabilità politica e militare del Governatore o de’suoi aiutanti.
13 luglio Salandra è preoccupato della determinazione di Sonnino, il quale vorrebbe dichiarare la guerra alla Turchia subito e, senza molto indugio, alla Germania.
Mi prega, se la questione viene in Consiglio, di persuadere Sonnino a procrastinare.
«È vero che gli alleati insistono» dice «ma alcuni atti nostri bastano oramai a far sapere che siamo legati alla Francia e all’Inghilterra:
il viaggio del gen. Porro a Parigi, il collare dell’Annunziata dato a Poincaré, debbono bastare a sventare le mene della Germania in Rumenia e in Bulgaria, dove essa Germania tenta di dare ad intendere che essa è tuttavia in ottime relazioni con noi.»
14 luglio Conversazione con Rodd.
Bisogna combattere, dice, anche in Italia e specialmente in Italia, il capitale tedesco col capitale inglese.
Gli soggiungo sapere che la Banca d’Italia è disposta ad aiutare la formazione di un banco anglo-italiano.
Lo so dal sen. Talamo cui fu detto da Stringher.
Rodd è ottimista.
Non solo non dubita della vittoria finale degli alleati, ma afferma che se la Rumenia, senza pur entrare in guerra, impedisce il passaggio delle munizioni delle quali la Turchia sta per essere interamente priva, l’impresa dei Dardanelli sarà compiuta in quattro settimane.
Perché non gli parlo né di Senussi né di Libia, riman male e capisce nel mio silenzio un rimprovero per la sleale condotta tenuta dagli inglesi in Egitto verso di noi.
A proposito della Rumenia, crede che oggi quattordici la Quadruplice presenterà una nota a Bucarest.
Tutto quanto la Rumenia chiese è accordato:
anche i danari che le occorrono per pagare le munizioni ecc. ecc.
Ma a patto che essa entri in campagna e a giorno fisso;
e quel giorno i danari le saran dati, non prima.
Consiglio de’Ministri.
Do notizia al Consiglio della risposta di Ameglio il quale assumerà il Governo il giorno.
Accenno alle responsabilità politiche del Tassoni, intorno alle quali consegno un pro-memoria al Presidente.
Il Presidente dice che non si seppe e non si sa il perché l’Amalfi fosse mandata fuori del porto in cerca di siluri.
L’ammiraglio Cagni 15 deve essere redarguito del comando inconsulto.
Casi di colera si sono verificati a Villa Vicentina presso Cervignano.
L’annunzio che il Presidente ne dà conduce a una lunga discussione sul servizio sanitario militare.
È opinione comune che il servizio sanitario va male.
A Legnago, nei cinque ospedali, han messo insieme tifosi e feriti tanto più bestialmente, quanto maggiore era il numero degli spedali che permetteva appunto di tener separati e distinti i feriti dai malati.
Una delle ragioni è anche questa: che fra tutte le categorie di professionisti quella dei medici ha dato all’esercito negli arrolamenti volontari meno di ogni altra.
Poi c’è la burocrazia, e la militare è la peggiore.
In uno spedale militare a Milano (s’intende de’nuovi istituti) mancavano gli asciugamani.
Chiesero fossero spediti senza indugio.
Gli asciugamani arrivano, il direttore certifica che, invece della lunghezza regolamentare di un metro, sono lunghi 70 centimetri:
e scrive al Ministero a Roma per sapere se può assumerli in carico, cioè riceverli:
Il Ministro degli Affari Esteri crede giunto il momento di dichiarare la guerra alla Turchia;
la quale in sostanza fa a noi già la guerra, sia con l’impedire a italiani di imbarcarsi e lasciare il territorio dell’Impero, sia con gli aiuti che dà ai ribelli di Libia.
Ricorda le obiezioni che già mosse il Consiglio, ma ricorda anche quant’egli ebbe già a dire circa le diffidenze che suscita negli alleati il contegno nostro verso la Turchia e la Germania.
Diffidenze che si manifestano in vari modi:
col negarci fra l’altro armi già da noi ordinate:
a stento e c’è voluto il viaggio del gen. Porro a Parigi per ottenere di cambiar con la Francia camions con mortai.
Ma altro deve fornirci per contratto il Creuzot e non ce lo dà.
L’Inghilterra non dà, per esempio, le mitragliatrici.
D’altra parte il nostro obbligo è chiaro.
Il primo articolo dell’atto di Londra si riferisce a convenzioni di carattere militare:
ma il secondo ci impegna a combattere contro tutti i nemici della Triplice Intesa e l’articolo 3° a non conchiudere la pace separata.
Non possiamo neppur dire che la Germania guerra a noi non la fa, perché gli alleati sanno benissimo che un corpo speciale di alpini bavaresi combatte, fra le truppe austriache, contro di noi.
Potrebbe venire il giorno dell’intimazione:
ci potrebbe essere domandato quali sono i nostri intendimenti;
e questo bisogna a ogni costo evitare.
Dobbiamo tener conto che l’accusa di tradimento verso gli antichi alleati ci fu fatta;
la condizione nostra è perciò molto delicata.
Oggi, intanto, per dichiarare la guerra alla Turchia una ragione l’abbiamo: la Libia.
Finalmente, anche pensando all’avvenire ci giova il risolvere.
Se la Grecia entrasse in guerra, il non essere noi in guerra con la Turchia ci priverebbe del diritto di farci valere nella ripartizione dell’Asia minore.
Prega i colleghi di consentire.
Osservo, aperta la discussione, che l’addurre oggi come ragione di ostilità il contegno della Turchia in Libia ci imporrebbe forse di dichiarare al tempo stesso la guerra alla Germania, poiché è risaputo che assai più della turca si esercita e ci nuoce in Libia l’azione tedesca.
Le ragioni addotte da Sonnino hanno gran peso.
Io temo una sola cosa: che cioè la dichiarazione di guerra alla Turchia induca il pubblico a supporre che prenderemo parte a quella impresa dei Dardanelli che il paese non vuole e che noi né vogliamo né possiamo.
Io sono di parere che, prima di ogni altra cosa, dovrebbesi procedere alla pubblicazione di quella parte della Convenzione di Londra che stabilisce i nostri impegni con gli alleati, cioè l’obbligo di non conchiudere una pace separata.
Orlando non crede all’obbligo nostro di far la guerra alla Turchia e alla Germania.
Fa una questione di eserciti commisti, ecc.
Discorso di argomentazione sottile, a ogni modo speciosa, che contrariamente alla necessità del momento, cioè di chiarire la condizione delle cose, ha invece l’effetto di confonderle.
Cavasola conosce i patti oggi per la prima volta.
Si sente obbligato.
È quindi la dichiarazione di guerra oramai una questione di momento:
del momento debbono essere giudici il Presidente del Consiglio e il Ministro degli Affari Esteri.
È convinto, nonostante le dichiarazioni altrui, che noi saremo trascinati a cooperare all’impresa dei Dardanelli.
Ciuffelli.
Crede anche lui che saremo trascinati:
né ciò lo spaventa.
Desidera sia certificato che se noi dichiariamo la guerra alla Germania, ciò è perché essa ci fa copertamente la guerra, e magari apertamente (i bavaresi), senza dichiararcela.
Grippo.
Crede che gli alleati non ostentino la loro diffidenza se non per trascinarci a combattere al loro fianco nei Dardanelli, magari forse anche in Fiandra.
Noi dobbiamo loro dimostrare che ciò non possiamo:
se potessimo disporre di forze esuberanti alle nostre necessità sull’Isonzo, non avremmo abbandonata tanta parte della Libia.
Daneo.
È anch’esso in sostanza contrario alla dichiarazione di guerra per gli stessi timori manifestati da Grippo e da Cavasola.
Osservo novamente che ad impossibilia nemo tenetur e che però le insistenze, se mai si usassero, per aiuti nella penisola di Gallipoli o negli Stretti sarebbero facilmente vinte dalla dimostrazione delle condizioni nostre.
Sola mia preoccupazione l’opportunità, la necessità di preparare il paese e di fargli sapere come stanno le cose:
e però insisto su la pubblicazione di uno degli articoli della Convenzione di Londra o di una nuova convenzione che potrebbe firmarsi con data anteriore oggi, e che riproducesse l’articolo 3°.
Riccio riconosce che, dati i patti, non c’è da discutere, devesi riconoscere l’obbligo nostro:
ma mentre noi rispettiamo gli obblighi nostri, vorrebbe gli alleati riconoscessero quelli che, se non sono scritti in convenzioni, sono pure obblighi morali e che gl’inglesi — per esempio — mutassero in Affrica un contegno che reca a noi danni così manifesti.
Resta stabilito che il Presidente e il Ministro degli Affari Esteri giudicheranno del momento nel quale la dichiarazione di guerra alla Turchia potrà essere fatta.
Viene da me il comandante Bonaldi Governatore di S. A. R. il Principe ereditario.
S. M. la Regina desidera che io scriva alcune parole di ringraziamento e di saluto da stamparsi su cartoline che contengono il ritratto dei principini cartoline da mandarsi in risposta alle molte che ogni giorno arrivano alle LL. AA. reali.
Rispondo che il desiderio di S. M. è un ordine e che mi proverò.
Parto la sera per Firenze.
16 luglio (Firenze) Barzilai presta oggi giuramento al Re.
Il prof. Salvemini che vedo in casa Placci possiede il testo del trattato della Triplice Alleanza.
Desidera sapere se può pubblicarlo e mi prega di domandar ciò a Sonnino.
Firenze è piena di spie.
Si racconta che l’audacia di queste è arrivata a tale che giorni sono si presentarono alla stazione di Campo di Marte due ufficiali austriaci e, se non ufficiali, austriaci o tedeschi certamente, che parlando perfettamente l’italiano e vestiti da capitani di fanteria italiana si accostarono alla sentinella e cominciarono a interrogarla circa il numero dei, treni militari ecc. ecc.
La sentinella che non era in grado di rispondere chiamò il caporale:
questi da non so quali indizi insospettito disse che avrebbe chiamato il capo-posto;
ma mentre appunto andava a chiamarlo gli altri destramente si allontanarono e montati in automobile velocissimamente scomparvero.
17 luglio Consegno al comandante Bonaldi le poche frasi da stamparsi sulle cartoline recanti i ritratti dei principi reali e che debbono essere spedite ai soldati.
Mi proposero di conferire la croce della Corona d’Italia al giudice Garrone, il valoroso, strenuo giudice di Tarhuna.
Il Guardasigilli mi ha prevenuto.
Poco male.
Il male sta nella buffonata di annunzio che si fa dare alla Stefani, per il quale il pubblico impara dal Ministro di Grazia e Giustizia, e a proposito di una onorificenza, ciò che non seppe sin qui; che cioè abbiamo abbandonato Tarhuna ritirandoci su Aziziah.
[... ] 18 luglio Ancora Barrère.
Pretesto al solito della sua visita notizie che vengono dalla Tunisia circa gli intendimenti dei ribelli della Tripolitania.
Insiste sulla necessità che il pubblico sappia che noi siamo alleati della Francia e dell’Inghilterra e che non facciamo la guerra per conto nostro soltanto.
Lo sto a sentire e ripeto che gli alleati debbono aver fiducia nella nostra lealtà.
Dalle cose che egli dice rilevo che deve essere scritto sotto la sua ispirazione (me ne persuade l’identità di alcune frasi) un articolo del Temps del quale i giornali di stasera danno un sunto.
D’Annunzio è partito.
Mi dispiace di non averlo riveduto prima della sua partenza.
Gli avrei ricordato le sue lettere a me quand’egli era tuttavia al Collegio Cicognini, per trarre da questi ricordi facoltà di ammonimenti paterni.
Gli avrei consigliato d’andarsene a salutare la madre in silenzio, e in silenzio di là filare per Udine.
Non avrebbe sciupato così quanto gli aveva procurato di estimazione la sua venuta a Roma.
Ma non può vivere senza réclame.
Lascia un’orgogliosa epigrafe al proprietario dell’Hôtel Regina;
va a cercare applausi a Pescara;
va a Ferrara a regalare al Municipio il manoscritto della Parisina;
e ne riparte scrivendo che porta le bellezze di quella città nel cuore intrepido.
Sciocchezze che irritano il pubblico, il quale in questo momento non vede che Cadorna e i soldati, e si sdegna di chi si mette in avanti per far parlare di sé.
Ma la vanità:
Perché Barzilai, così equilibrato, non ha impedito la dimostrazione popolare:
E passi la dimostrazione, perché può dirsi che non sia fatto suo;
ma pubblicare la lista dei telegrammi di congratulazione pervenutigli è fatto suo, e lo diminuisce.
Non sente dunque l’amico come egli non abbia bisogno di tutto ciò, com’egli sia superiore a queste miseriucce da sottosegretari di Stato:
493 19 luglio Una nota triste.
Non si può né si deve negarlo.
L’annunzio di questa nuova perdita della nostra Marina ha prodotto un penosissimo effetto.
Si domanda:
«perché, a che scopo:».
Perché perdere una nave e un centinaio di uomini, per interrompere le comunicazioni ferroviarie fra Cattaro e Ragusa che, come quelle fra Ancona e Senigallia interrotte dagli austriaci, possono ristabilirsi in 24 ore:
Mette conto di perdere una nave per distruggere qualche tratto di binario, in regione per giunta dove noi non abbiamo operazioni di guerra:
Abbiam perduto già il Turbine, la Medusa, una torpediniera, l’Amalfi, la Garibaldi, senza far nulla che potesse offendere il nemico.
Salandra è sdegnato e a ragione, e ha telegrafato al Duca degli Abruzzi di venire a Roma a parlare con lui, subito che le cure del suo alto ufficio glielo consentano.
Se il Duca intenderà la ragione bene: e se no bisognerà removerlo.
Non si fan complimenti neanche con le Altezze Reali, quando c’è di mezzo la salvezza della patria.
Visita di Enrico Corradini.
Torna dal fronte, dove nella sua qualità di automobilista volontario non gli riesciva far nulla.
Ha preferito tornarsene.
Pare che al Comando abbiano in progetto un giornaletto fatto esclusivamente per i soldati.
Potrebbe lui esserne il direttore.
Gli prometto in ogni caso di aiutarlo nei suoi nobili desideri.
Men nobili desideri avevano alcuni signori che proposero al Governo l’acquisto di 300 buoi del Brasile, i quali sarebbero stati forniti dalla Banca Périer.
Proponente fu tal Bolo.
[... ] La provvigione del 5 % su 150 milioni, cioè sette milioni e mezzo, sarebbe andata in parte in tasca a cotesti signori e in parte destinata a fondare ed alimentare un giornale pel quale, Giolitti imperante, furono da tal Massotti industriale, conosciutissimo per più ragioni, comprate con la bellezza di 500 lire le macchine che si custodiscono ora inoperose nel palazzo Cellere a Montecitorio.
Insomma un carrozzone.
Il Ministero della Guerra c’era cascato nella trappola.
Salandra avvertito a tempo mandò tutto all’aria.
Ciraolo viene a parlarmi del caso tristissimo occorso allo Schott.
Manca il tempo a trattarne distesamente.
Un altro giorno.
20 luglio Il povero Schott è caduto in sospetto di spionaggio:
egli, che ha speso qualche (e cioè molte) diecine di migliaia di lire per mantener vivo nell’Istria e a Trieste segnatamente il sentimento nazionale; che ha tutto l’inverno scorso lavorato col col. Poggi per dare allo Stato Maggiore indicazioni sulle strade, le acque ecc. dei paesi da invadere, ora è in sospetto di spionaggio.
Il fatto è questo, a quanto Ciraolo mi dice: che egli, lo Schott, s’è messo troppo avanti:
ha avuto l’aria di voler prendere il posto di altri più vecchi di lui, di voler sovrastare a patrioti più autorevoli e anziani ecc. ecc.;
e questi han lasciato andare qualche parola men che benevola su di lui; che, interpretata oltre il significato e l’intenzione di chi la pronunciò, finì a far credere una spia questo milionario entusiasta e — purtroppo — invadente.
Ora i primi a essere spaventati dall’effetto delle loro parole sono quei che le dissero: e che tutti si affrettano a fare dichiarazioni ampie di stima, nelle quali il pentimento traspare e la verità si afferma con parole delle quali sentesi la schiettezza.
Colazione da Primoli in onore di Monsieur Cruppi, ex-ministro degli Affari Esteri.
Commensali Jean Carrère, Barrère, Mons. Duchesne ecc. ecc.
Il Cruppi, in una lunga conversazione, ha soprattutto insistito sulla necessità che gli alleati si tengano in relazioni continue, ad evitare, possibili malintesi e diflîdenze;
e preparino sin d’ora l’avvenire perché la guerra avrà giovato a poco — anche se vinta, come sarà, dalla quadruplice — se le alleanze non dureranno oltre la pace.
Necessità di intendersi sulle questioni economiche, di combattere il capitale tedesco ecc. ecc.
21 luglio Ameglio, rispondendo al gen. Cadorna che in onta alla legge gli ha direttamente telegrafato, pone questo dilemma:
o invio di alcuni battaglioni, o ritiro anche dalle località che occupiamo tuttavia sulla costa.
In questo secondo caso, sollecito invio di quattro piroscafi per l’imbarco delle guarnigioni.
Aspettiamo la decisione del Capo di S. M. sebbene sia facile prevederla.
Barzilai mi scrive.
Questi almeno mostra di sapere ciò che ho fatto, perché persuaso, sì, della bontà, della necessità del provvedimento, ma in sostanza anche per far piacere a lui;
e se ne dichiara riconoscente.
Meno male:
21 luglio Carissimo Martini Credo saprai le ragioni per le quali non sono venuto ancora a vederti nella nuova veste che tu hai tanto contribuito a cucirmi addosso.
Appena tornato dal Q. G. dovetti rimettermi a letto.
Spero però tra uno o due giorni di essere in piedi e di potermi mettere — senza collaboratori — a quel tal lavoro di cui alla vecchia commedia da te un giorno piacevolmente rievocata.
Affettuosi saluti dal tuo Barzilai
Parlo a Salandra delle condizioni della Tripolitania quali le espone l’Ameglio e le conoscevamo.
Al quale proposito il Presidente dimostra di ancor titubare circa la dichiarazione di guerra alla Turchia.
Tuttavia oramai parmi sia difficile far macchina indietro perché, per ispirazione della Consulta, tutti i giornali amici del Governo gridano contro i turchi, espongono la loro condotta ostile a noi ecc. ecc.
Chiamo Bergamini e il suo collaboratore Felici che è pratico di cose coloniali ed è stato in Libia.
Espongo loro la condizione delle cose e le ragioni di diversa indole che la determinarono.
È oramai necessario che cautamente e per gradi si faccia sapere al pubblico che, della Tripolitania, Tripoli e poco più ci rimane.
Il Felici farà degli articoli o delle corrispondenze delle quali mostrerà a me, prima della pubblicazione, le bozze.
Il gen. Ameglio (come lo conosco io:) s’è affrettato a farmi domandare quali saranno i suoi assegnamenti ora che, oltre al Governo di una colonia, ha anche l’incarico di reggerne un’altra:
Il secondo giorno dell’arrivo a Tripoli:
22 luglio Consiglio de’Ministri.
Provvedimenti per l’incetta del grano e della carne.
Il raccolto del grano non va oltre i 50 milioni di ettolitri.
Occorre provvederne altri dieci.
Cavasola mi dice che egli da aprile consiglia questo provvedimento:
e allora il prezzo era di 7 o 8 lire minore.
L’ambasciatore d’Inghilterra avverte che nell’India il raccolto fu copioso e si può comprare il grano colà a prezzi inferiori a quelli che si praticano su altri mercati.
23 luglio Nel Consiglio dei Ministri tenutosi ieri fu deliberato il divieto della pesca nell’Adriatico, oltre la distanza di 500 m. dalla spiaggia:
eccezione era fatta per il tratto fra Porto S. Giorgio e Viesti, perché in quel tratto non sono poste torpedini visto che il nemico non ha alcun interesse a venirvi.
Fra i luoghi bombardati stamani alcuni, Termoli fra gli altri, si trovano appunto in quel tratto.
Notizie dal campo certificano l’alta percentualità delle morti degli ufficiali.
Perirono in questi ultimi e molto sanguinosi combattimenti attorno all’Isonzo ufficiali nella inconsueta proporzione del 10 e del 12 % sulle perdite totali:
in generale la proporzione è del 2 e del 3 % rispetto ai soldati.
Il gen. Cadorna ha fatto deporre agli ufficiali quando sieno in battaglia la loro speciale uniforme:
tutti la montatura del soldato:
perché gli austriaci hanno plotoni di tiratori esperti che — quando si combatte come in questo momento, a breve distanza — hanno ufficio di mirare addosso agli ufficiali e di ucciderli preferibilmente.
Rapporti particolari venuti dall’estero accennano a progetti di attentati contro il Re, contro Salandra e contro Sonnino.
Consiglio de’Ministri.
Ho esposto al Consiglio nella tornata pomeridiana le condizioni della Tripolitania.
Poiché il Capo di S. M. dopo averle volute conoscere non ha risposto all’Ameglio circa le proprie intenzioni, si prega il Ministro della Guerra a dar notizia al gen. Cadorna delle precisate richieste del Governatore;
e nella probabile ipotesi ch’egli neghi i battaglioni richiesti, lo stesso Ministro della Guerra prepari l’invio di quattro piroscafi per l’imbarco dei presidi di Misurata e di Zuara.
Risulta avere l’Ameglio a sua disposizione 35 uomini e temerne innanzi a sé tra i 17 e i 18 mila.
Chiedo che si registri questa deliberazione del Consiglio di richiamare i presidi dalla costa;
il Presidente mi fa osservare essere ciò inutile avendo già il Consiglio [ dato ] autorizzazione di ciò fare al gen. Tassoni:
«Tenga il governatore con le proprie forze quelle località che può».
Tale fu la formula che non ha bisogno né di mutazione né di conferma.
24 luglio Madame Carrère presso cui faccio colazione assicura che i giolittiani lavorano tuttavia;
il che poco importerebbe, se non seguitassero a lavorare ad accordi con lo straniero.
A Lugano il Principe Hohenlohe e una sua parente, una Thurn et Taxis han detto alla Carrère che ancora molto si spera in Austria e in Germania dall’opera di Giolitti;
fidando in ciò ch’egli sicuramente farebbe se, rovesciato il Gabinetto Salandra, egli riprendesse il potere.
Intanto noi continuiamo nella nostra parte di minchioni, prestando fede al primo austriacante che viene a gridarci «Viva l’Italia».
Corradini mi designa oggi un sig. Juvenchiel nemico nostro giurato e che abbiamo lasciato tornarsene a Monfalcone donde era fuggito per timore delle giuste rappresaglie nostre...
Non sarà pubblicato, ma un aeroplano tedesco o austriaco più probabilmente ha volato sopra Verona, senza produrre gravi danni:
un altro volò ne’giorni scorsi sopra Udine mentre il Re vi si trovava.
Cadorna ha scritto a Salandra pregandolo di invitare la stampa a essere più modesta nelle intitolazioni delle notizie;
non si parli di vittorie definitive che non ci sono:
si risparmino i titoli melodrammatici.
Contentiamoci di quanto avviene che è già confortante.
Salandra farà una circolare ai prefetti.
26 luglio L’ambasciata britannica comunica che quel barone von Gumpenberg, espulso dall’esercito tedesco per sodomia (doveva averle fatte grosse per non trovare indulgenza negli amici dell’Eulemburg) e noto per la propaganda anti-italiana durante la guerra libica, è stato catturato dagli inglesi, mentre a bordo di un veliero di bandiera neutra si avviava verso la Tripolitania.
Enver Pascià ha scritto — secondo notizie che ci vengono da particolari informatori — annunziando prossima la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Turchia.
Sir Rennell Rodd ha detto al comm. Agnesa che fra pochi giorni tutta l’Arabia sarà sollevata contro il Governo ottomano.
Una buona novella viene dal Ministero della Marina, l’isola di Pelagosa in nostro potere.
27 luglio Mi pare che Rennell Rodd e con lui forse i suoi superiori vivano nel mondo dei dolci inganni.
Ieri egli annunziava prossima una rivolta in Arabia, rivolta ampia poderosa, oggi giungono notizie tutt’altro che conformi a quell’annunzio.
Quarantamila turchi minacciano Aden, la cui guarnigione è costretta a tenersi chiusa nei forti;
la stazione di Perim fu bombardata e soffrì gravi danni.
Insomma le condizioni sono gravi sì, ma non favorevoli all’Inghilterra.
30 luglio Consiglio de’Ministri.
Nulla di particolarmente notevole tranne l’esposizione finanziaria del Ministro del Tesoro.
Consumando tutto il prodotto delle entrate e dei due prestiti nazionali occorrono ancora, per andare al 31 gennaio 1916, 560.000.000;
senza tener conto dei 47 reggimenti richiesti dallo Stato Maggiore e dal Ministro della Guerra e dei quali fu sospesa la formazione:
con la formazione di questi reggimenti il fa bisogno ascenderebbe al miliardo.
Bisogna inoltre trovare da 70 a 80 milioni (per effetto di questa situazione) che ci dieno modo di far nuovi prestiti assicurando il servizio degli interessi.
Il Ministro del Tesoro propone di aggiungere un mezzo decimo alla fondiaria ricavandone 25 milioni: da una tassa sugli spiriti, e meglio dall’abolizione degli abboni e privilegi, altri 12 milioni: altri 12 da un aumento di prezzo dei sigari (da 12 a 15 centesimi) e finalmente da altre tasse sugli zuccheri, sulla circolazione, sul petrolio, sui permessi d’esportazione.
Il Consiglio, approvando in massima l’aumento dei gravami, incarica i Ministri del Tesoro e delle Finanze di studiare e portare innanzi ad esso proposte concrete.
31 luglio Lunga conversazione col deputato Campolattaro vecchio amico di Salandra e mio.
Viene da Taranto:
è imbarcato come volontario:
desidera, crede dover suo esporre al Governo le proprie impressioni sulle condizioni della Marina, confortate unicamente dalla dolorosa osservazione dei fatti.
Non vuol disturbare il Presidente, dice a me quanto direbbe a lui e mi prega di riferire.
Ecco il sunto del suo discorso ch’io, dopo aver preso qualche appunto durante la conversazione, gli leggo.
È fedelissimo.
La Marina moralmente non va bene.
Si è perduta la fiducia nel Duca degli Abruzzi da molti degli ufficiali: da tutti nel Capo di Stato Maggiore, egregia persona ma di testa squilibrata;
si reputa il Ministro Viale debole, fiacco, timido.
Né lui né il Capo di S. M. osano comandare al Duca;
quando comandano, il Duca non obbedisce.
Alcuni fatti recentissimi dimostrano anzi ch’egli ostenta di non obbedire.
Fu errore il dar comando autonomo al Cagni: uomo di squisite qualità morali e animoso soldato, ma di poca testa.
L’impressione che sulla squadra han fatto le perdite dell’Amalfi e della Garibaldi, sacrificate senza scopo, è pessima.
Il Millo [... ] vuole un successo, teme che la gente dubiti oramai dell’autenticità del suo famoso raid nei Dardanelli [... ].
Manchiamo d’idroplani.
È dimostrato che contro i sommergibili, di cui il Millo ministro negò l’importanza, non è da opporre efficacemente che l’idroplano.
Dall’alto il sommergibile si scorge sin che si mantiene alla profondità di 4 metri e si può fulminarlo:
se, per sfuggire alle bombe, discende a profondità maggiori perde ogni efficienza bellica.
A Taranto non è poco il disordine.
Il comando del dipartimento non dà avviso delle navi che entrano od escono;
così avvenne, giorni sono, che poco mancò il Piemonte creduto nave nemica non fosse silurato dalle nostre torpediniere.
Al Re d’Italia su cui il Campolattaro era imbarcato e che doveva andare a Genova a prendere i feriti, si negò dalla torpediniera di guardia allo sbarramento l’uscita perché non le si era di ciò data notizia.
Bisognò telegrafare a Taranto perché da Taranto si telegrafasse, e si perdé così un tempo prezioso ecc. ecc..
Poiché ho occasione di vedere Salandra gli riferisco quanto Campolattaro mi ha detto.
Salandra a sua volta mi dice che il deputato Arrivabene ex-ufficiale di marina gli ha esposto le stesse osservazioni.
Egli Salandra chiamò già il Duca degli Abruzzi e crede che alcuni dei danni lamentati cesseranno.
Navi, senza che se ne speri notevole successo, non debbono essere poste in pericolo.
Il Duca mandò fuori tempo fa la Leonardo da Vinci per esercitazioni;
e per giustificarsi dell’ordine dato osservò che, se non tiene gli equipaggi allenati, avrà fra poco ne’marinai «un branco di pecore».
La perdita di una nave come quella, che, uscendo e trattenendosi ne’tiri, co’tiri stessi chiama l’attenzione dei sommergibili sopra di sé, produrrebbe tale impressione nel pubblico della quale nessuno può prevedere gli effetti.
L’occasione di vedere Salandra va notata perché non è delle consuete.
Mi dissero aver egli espresso giudizi men che benevoli sull’opera mia di Ministro, durante la recente sollevazione della Tripolitania:
non essere io stato abbastanza sollecito, abbastanza fermo.
Quantunque l’accusa mi sembrasse assurda, tuttavia ho voluto chiarire: e dire nettamente e fermamente che, se il giudizio fu pronunziato, oltre che ingiusto è tale da domandare spiegazioni e risoluzioni che non possono essere indugiate.
Salandra ha negato d’aver profferito una sola parola.
«Ebbi il dubbio» dice «che tu avessi dato l’ordine di sgombro, non abbastanza recisamente, di tutti i presidi.
Ma la tua tardanza, se tardanza vi fu, è pienamente giustificata;
perché la deliberazione del Consiglio de’Ministri da essere partecipata al Tassoni fu che, con le forze delle quali poteva disporsi, si tenesse quanto era possibile.»
Salandra usa modi e parole meco addirittura fraterni.
Ricciotti Garibaldi il vecchio vuole essere nominato governatore civile della Maddalena, essendogli, s’intende, riconosciuto il suo grado di tenente generale.
Espose a Grippo il suo desiderio e questi gli suggerì di venire da me «che in questa sorta di cose sono più ascoltato di lui».
Lo ascolto e dico che ne parlerò a Salandra.
Ricciotti soggiunge che se questo ch’ei chiede non si vuole concedergli, gli si dica, lo si avverta che non si ha bisogno de’suoi servigi, per modo ch’ei sia libero di accogliere le offerte che gli vengono da altri Stati belligeranti (lascia intendere che si tratta dell’Inghilterra).
Sebbene io abbia cercato di sfuggire a una conversazione forse imbarazzante e certo inconcludente rifiutando a Primoli un invito a colazione, il sig. Dimitri Stancioff, Envoyé Extraordinaire et Ministre Plénipotentiaire de Sa Majesté le Roi des Bulgares, viene da me, perché ha sentito parlare di me a Parigi e sa, com’egli dice, ch’io ho avuto gran parte nelle risoluzioni e nelle direttive dell’attuale Ministero rispetto alla politica internazionale.
Vorrebbe che la Bulgaria intervenisse;
la scusa delle sue esitazioni;
ne incolpa la politica della Triplice Intesa.
La Bulgaria vuole la Macedonia e Càvala:
la Macedonia è questione sine qua non.
Bisogna persuadere la Serbia a cederla dandole altrove i compensi ai quali ha diritto.
La Triplice e ora la Quadruplice promette:
ma di promesse la Bulgaria non può contentarsi.
Egli, di sua iniziativa, propone che si assicuri la Bulgaria che alla fine della guerra sarà mise en possession manu militari dei territori che le si promettono e che si riconosce appartenerle etnicamente.
Ministro di Bulgaria a Parigi, egli ha sempre sostenuto e avvertito il proprio Governo che, a suo giudizio, l’Italia farebbe la guerra, contradicendo al suo predecessore in Roma, Rizoff, che, germanofilo all’estremo, sempre credé ed affermò che l’Italia non sarebbe entrata mai nel conflitto.
Avendo avuto ragione dagli avvenimenti, fu mandato a Roma;
ci venne fiducioso di poter conchiudere alcun che che conducesse il proprio paese all’intervento.
È deluso:
non volendo troppo spesso parlare al Ministro degli Esteri, così spesso tormentato dagli altri rappresentanti di potenze estere, è venuto da me affinché io insista presso il collega nella ricerca di una formula che accettata dalla Bulgaria conduca al fine desiderato.
Gli osservo che purtroppo, quando si tratta di patti e di formule che implicano patti, i ritardi sono inevitabili quando si è in quattro a deliberare:
e più specialmente, poi, quando dei quattro uno sta a Londra, uno a Parigi, uno a Pietroburgo, uno a Roma.
Da questa condizione di cose derivano gli indugi ch’egli nel suo discorso ha più volte lamentato.
Dalla parte de’nemici uno solo delibera: la Germania; ché né l’Austria né la Turchia hanno voce in capitolo.
Intanto la Bulgaria dovrebbe impedire che la Turchia si rifornisse di munizioni e di armi.
Il sig. Stancioff dice che la Bulgaria lo fa (qui non ci si crede).
A ogni modo conviene egli stesso, da ultimo, che quand’anche le si consentisse quanto essa chiede, forse la Bulgaria non uscirebbe dalla neutralità.
I tedeschi sono a Varsavia.
Questo è il punto.
Mandai a Salandra un manifesto dei socialisti di Brozzi, speditomi da Firenze, come prova della poca e poco energica sorveglianza della polizia e del prefetto Vittorelli.
E Salandra risponde:
Caro Amico, come hai notato tu stesso il manifesto non è poi pessimo.
Certo, sarebbe stato meglio impedirlo.
Ma è del 10 giugno.
Che valore avrebbe un richiamo al Prefetto dopo 50 giorni:
Ho ricevuto una epistola di D’Annunzio che è un volume.
Non so che cosa voglia.
Certo è che diventa un guaio da aggiungersi ai non pochi che ci affliggono.
Te la porterò a leggere a Frascati dove spero venire domani per passarvi due giorni lontano da Roma.
Ne ho proprio assoluto bisogno.
Cordiali saluti.
Aff.mo Salandra
2 agosto (Frascati) Da Salandra ricevo di primissima mattina questo biglietto.
Caro Amico, Leggi gli acclusi documenti.
Sono interessanti.
Che fare:
Lasciarlo andare:
Non so a quale indiscrezione della Tribuna egli alluda.
Aff.mo Salandra
I documenti sono le annunziate già due lettere di D’Annunzio:
il «volume» cui si accenna nella precedente lettera di Salandra.
In sostanza in dodici pagine ottimamente scritte D’Annunzio espone un solo desiderio: di esser lasciato andare sopra un aereoplano per lanciare su Trieste «chiusi in sacchetti a metà riempiti di sabbia» molti esemplari di un suo manifesto che dica ai triestini i nostri successi e li inviti a pazientare e a confidare, e infonda loro coraggio ecc. ecc.
L’impresa è balorda:
i sacchetti rischiano di cadere in mare o, peggio, in mano della guardinga sbirraglia austriaca;
se anche in altre mani, la popolazione rimasta a Trieste dopo le diverse chiamate alle armi, gli imprigionamenti, gli esilii volontari o costretti, non è molto favorevole a noi e non la muterà un manifesto di D’Annunzio che durerà fatica ad intendere.
Ma il documento è psicologicamente importante e curioso.
Frasi e concetti fanciulleschi.
Frasi e concetti di superuomo si alternano.
La sua fu «una vita di rischi».
Prova:
«prese parte alle cacce alla volpe, si batté in duello, andò in barca nell’oceano».
Parla della «confiscata Capponcina» come se fosse sua:
di sé dice «un uomo del mio passato e del mio avvenire» un uomo «della mia specie» «non impedite a me l’eroismo» e sul serio afferma che «non visse se non per vedere questi giorni».
E l’importante sta qui: che crede a ciò che dice.
Una delle lettere è diretta a Salandra «Caro e grande amico» un’altra assai breve a Viale «Mio Ammiraglio».
Io sono di parere di lasciarlo fare;
anche Salandra il quale tuttavia porrà nel consenso una riserva «quando a ciò non si oppongano obiezioni di indole militare.»
Nella conversazione Salandra chiarisce un punto della cronaca giolittiana.
Nel colloquio che ebbe con lui dopo avvenuto il colloquio Giolitti - Carcano, Giolitti, parlando delle concessioni austriache, disse di averne veduto la nota in mano a Bertolini;
e poiché Salandra avvertiva di non saperne ancora nulla, Giolitti soggiunse:
«Farò che tu l’abbia:
manderò Chimirri da Bülow».
E così fu fatto.
Negli ultimi combattimenti dal 28 in poi abbiamo avuto fuori di combattimento 18 uomini dei quali 635 ufficiali.
3 agosto I tedeschi sono a Varsavia:
Probabilmente i russi non saranno in grado di prendere l’offensiva che nella primavera ventura.
Alla Russia mancano armi e munizioni:
purtroppo mancheranno fra poco anche a noi se non si provveda sollecitamente.
Soprattutto ci mancano i cannoni di medio calibro i soli che abbiano efficacia nelle operazioni che ora si compiono sul Carso e altrove.
Si spara poi venti volte più di quant’era preveduto, e il cannone si consuma e si rende più presto inservibile.
Pare che a questo rimedi un trovato del Turpin, la Schneiderite, che è una diversa composizione chimica del proiettile;
la Francia ce ne ha data la ricetta.
Meno male i francesi dunque;
come si conducano con noi gli altri alleati d’oltre Manica attesta per la centesima volta un telegramma del nostro agente diplomatico in Egitto.
Insomma difficoltà, d’ogni genere:
non importa;
avanti e sempre con la stessa fede e lo stesso coraggio.
Preoccupano anche le condizioni sanitarie.
In Libia due casi di peste bubbonica che ha colpito due soldati bianchi.
Sull’Isonzo il colèra.
Salandra ne è impensierito, e con molta attività, checché ne pensino alcuni, si adopera a provvedere alla soluzione delle due questioni che soprattutto premono in questo momento: munizioni e salute pubblica.
4 agosto Ricciotti Garibaldi mi scrive.
Un signor Adami presidente del Comitato trentino viene a parlarmi delle condizioni di quella regione.
Mio caro Martini, Roma, 2 agosto 1915 Il vostro valevole intervento mi ha procurato con telegrafica rapidità una lettera da Salandra.
Negativa naturalmente e nemmeno coerente:
Evidentemente per questa brava gente io sono ciò che l’acqua santa è al diavolo.
Non mi resta che ringraziarvi — almeno ora so di essere libero.
Sempre vostro affezionatissimo Ricciotti Garibaldi
Il gen. Ameglio espone il suo programma in un importantissimo telegramma.
Siamo d’accordo.
Egli al solito muta a faccia tosta i miei suggerimenti in sue iniziative.
Non importa:
purché l’intento si raggiunga pigli pure lui il merito che non è suo.
5 agosto Corradini vuole intitolarmi un suo nuovo libro.
Lo ringrazio e consento.
Desidera io lo raccomandi al Cadorna che gli faccia fare qualcosa.
Come automobilista non gli dettero nulla da fare ed egli se ne tornò a Roma.
È uomo che può giovare;
perché non adoperarlo:
Con la penna, s’intende, ché con l’arme non può, e — più franco di Nathan che vuol fare sull’Alpe il tenente a 72 anni — lo dice.
6 agosto Ancora i servizi sanitari non sono a quanto pare bene assestati.
Com’è possibile che si sia mandato nell’ospedale che la Regina Elena ha aperto nel Quirinale un malato sospetto di colera:
Fortunatamente il sospetto fu chiarito infondato:
o per meglio dire era giustificato ma dileguò alla prova;
tuttavia il fatto dimostra che la sorveglianza, l’attenzione, non sono quali dovrebbero essere.
7 agosto Non sarà detto per ora:
ma il fatto è avvenuto.
Un nostro sommergibile è affondato presso l’isola di Pelagosa.
Fu silurato:
Non si sa ancora.
Il Ministro della Marina crede che silurato non sia: ma che, ricacciandosi nell’acqua ond’era emerso per evitare appunto il siluro nemico, abbia dimenticato di chiudere alcuna delle aperture onde l’acqua penetrò.
Spiegazione che non mi persuade:
ma il buon Viale cerca di persuadere forse a sé stesso che la perdita del sommergibile è dovuta a una disattenzione non a una sconfitta.
Consiglio de’Ministri.
La salute pubblica.
Il colera.
Non sono molti i casi sull’Isonzo, ma colera c’è:
c’è dunque pericolo di diffusione.
S’ebbe qualche sospetto, per fortuna dileguato, a Palermo;
se l’epidemia scoppiasse in Sicilia, la sciagura addoppierebbe: ché là le fantasie si accendono e tutto è da attendere da una popolazione ignorante e superstiziosa in massimo grado.
Ancora si citano esempi della fratellanza della cara Inghilterra.
Vi ordinammo mitragliatrici e le pagammo in anticipazione.
Allo scoppiar della guerra erano pronte e dovevano consegnarcele.
Kitchener disse:
«Ve le daremo quando saremo sicuri che non le adopriate contro di noi».
Ora trovano altri pretesti sebbene abbiano quella certezza.
Ci negano navi per i trasporti ecc. ecc.
Sono dappertutto i medesimi: in Affrica come in Europa.
È morto il generale Masi deputato del collegio di Lugo.
Si pone il quesito:
deve (poiché Lugo è nella zona di guerra) convocarsi il collegio:
Il decreto di convocazione, se convocarsi debba, non può essere indugiato oltre il 22 agosto.
Il Guardasigilli espone i precedenti.
La Camera ha sempre annullate le elezioni fatte mentre durava lo stato d’assedio.
Qui molte ragioni concorrono per la non convocazione.
Zona di guerra, stato di guerra, elettori assenti in gran numero ecc. ecc.
Si delibera di rinviare la convocazione del collegio di Lugo sino a nuovo provvedimento.
Se altri collegi rimarranno vacanti, si esaminerà la lor condizione caso per caso.
In Cadore si sono fatti prigionieri 42 soldati tedeschi, tra i quali un ufficiale.
Fino a pochi giorni fa, nel Trentino c’erano 15 soldati tedeschi combattenti contro di noi.
Furono ora tolti dalla zona di combattimento.
Comunque ecco la domanda:
dobbiamo prenderne occasione, esponendo il fatto, per dichiarare la guerra alla Germania:
O anche:
questa certificazione ci obbliga a dichiarare la guerra alla Germania:
Zupelli crede che no:
è contrario a una dichiarazione di guerra alla Germania.
Noi attendiamo dall’America uomini e derrate.
Basta considerare questo solo per giudicare quanto sarebbe imprudente la dichiarazione di guerra alla Germania.
Martini.
Si associa a Zupelli, per altre considerazioni.
Gli austro-tedeschi sono a Varsavia;
i giornali hanno un bel parlare di ritirate strategiche;
il paese sa e intende che ritirarsi vuol dire andare indietro e, in questi casi, abbandonare territori propri all’invasione nemica;
vede l’impresa dei Dardanelli arrestarsi e conosce oramai per prova le difficoltà dell’impresa nostra:
il paese si conduce ora egregiamente, ma non bisogna chiedergli troppo; né, per quanto è da noi, dargli ulteriore cagione di nuove e maggiori preoccupazioni.
Se i tedeschi ci dichiareranno la guerra loro, il paese non potrà imputare a noi un’imprudenza:
ce la imputerebbe se la dichiarazione venisse da parte nostra.
Sonnino riconosce la giustezza di tali osservazioni:
ma ripete l’argomento già addotto: la diffidenza degli alleati;
«poiché» dice «bisogna rassicurarli, era mia intenzione dichiarar guerra alla Turchia che ce ne porge occasione e ragione e avevo già mandato all’ambasciatore Garroni l’ultimatum da presentare:
ma i turchi sfuggono e cercano ogni modo affinché la dichiarazione non avvenga.
Per esempio: quando si imputa loro di impedire l’imbarco dei nostri connazionali, rispondono che han dato e rinnoveranno l’ordine di permettere l’imbarco stesso, ecc. ecc.»
Barzilai.
Ritiene che la Germania ci dichiarerà la guerra subito che possa:
bisogna fin d’ora preparare a ciò l’opinione pubblica:
l’indugio ha permesso di credere che guerra con la Germania non ci sarebbe.
Zupelli.
Insiste nella Opinione già espressa.
Fingiamo di non accorgerci che soldati tedeschi stanno contro di noi.
Se i tedeschi tardano a dichiararci la guerra un paio di mesi, le nostre condizioni ne guadagneranno.
In ottobre sul Carso, sui monti del Trentino c’è la neve.
I primi colpi di cannone sparati il 23 di maggio produssero valanghe.
L’inverno non si combatte su quelle altitudini.
Quando le nevi si sciolgano, se i tedeschi vengano ci troveranno con 300 soldati di più.
L’argomento del Ministro della Guerra è decisivo.
Si delibera di non tener conto del fatto accertato cioè dei 42 soldati tedeschi, compreso un ufficiale, fatti prigionieri e di soprassedere ad ogni atto che importi dichiarazione di ostilità alla Germania.
Il Ministro d’Agricoltura riferisce intorno alle condizioni annonarie.
Si credé il raccolto del grano ascendesse a 50 milioni di quintali:
non arriva a 48:
né questo è il danno più grave:
la qualità è scadente.
Bisogna provvedere il grano per la semente.
Il Padre Genocchi viene a dirmi:
il Papa si rivolse all’Imperatore d’Austria affinché fossero risparmiate alle città aperte e segnatamente ai monumenti e alle chiese i bombardamenti;
e ciò fece per preghiera dell’arcivescovo di Rimini, che ebbe di recente due volte bombardata la città sua.
Ora il P. Genocchi ha saputo dal vescovo di Senigallia che l’Imperatore per mezzo del Nunzio ha risposto promettendo che il santuario di Loreto e altre chiese monumentali saran risparmiate:
ma quanto alle città, aperte o no, nulla poteva promettere né ordinare: perché gli italiani facevano «assai peggio».
Risposta che fa dubitare l’Imperatore non sappia o ciò che gli altri fanno o ciò che egli dice, perché in verità bombardamenti di città aperte non ne abbiamo fatti sinora; nulla per mare, nulla per terra.
8 agosto Un telegramma dell’amm. Cutinelli al Ministro della Marina dà la notizia che D’Annunzio ha finalmente volato su Trieste e lanciato i suoi manifesti.
Furono tirate bombe e dall’aeroplano nostro e da un altro francese.
Il velivolo sul quale era D’Annunzio fu forato da una palla di mitragliatrice.
Telegrafo a D’Annunzio a Venezia.
9 agosto (Frascati) Vado da Salandra che è qui al Grand Hôtel:
ci vado con Mosca, venuto espressamente da Roma per parlargli dell’invio in Sicilia degli ascari libici voluto dall’Ameglio.
Rimasti soli parliamo delle condizioni generali.
È preoccupato.
La ritirata dei russi lasciando probabilmente libere molte delle milizie austriache, queste si porteranno contro di noi.
Alla questione militare si aggiunge la questione finanziaria che diverrà gravissima se la guerra abbia lunga durata oltre il preveduto.
E di nuovo c’è una notizia che veramente è tale da mettere in pensiero:
ed è questa che si dà in un telegramma da Salonicco, pubblicata ne’giornali e sospettata vera dai nostri rappresentanti a Sofia e a Belgrado.
Per contro Jean Carrère che è venuto con Primoli a pranzo da Vincenzo Morello, anch’esso al Grand Hôtel, dice di ricevere da Parigi e d’altronde notizie rassicurantissime, fidenti sempre nella forza dei russi e nella loro finale vittoria.
Registro, non discuto.
Non si tratta di fede.
10 agosto Ancora tentativi della Quadruplice nei Balcani.
Giovanni Borghese viene a parlarmi per la seconda volta del suo progetto di ferrovia attraverso l’Affrica: Tunisi - Tripoli - Cufra - Uuadai - Congo.
Naturalmente non è questo il momento per trovare i capitali necessari.
D’Annunzio mi risponde da Venezia ringraziando della parola amica.
La pubblicazione del decreto che ordina la revisione di alcune classi di riformati fa nel popolino impressione non buona.
Se ne deduce che, se ricorriamo ai riformati, segno è che abbiamo fatto perdite enormi.
Al solito la stampa avrebbe potuto per es. ricordare che noi abbiamo ridotta la misura della statura ecc. ecc.
Ma il servizio di stampa non si è mai saputo organizzare.
11 agosto Un piccolo successo della Marina giunge opportuno.
Il paese non è contento della propria armata.
E forse non ha tutti i torti, sebbene troppo si affretti a giudicare e conchiudere.
Primoli mi legge una lettera di Joseph Reinach.
È addolorato della caduta di Varsavia e dell’insuccesso dei russi, sebbene non lo creda affatto irreparabile.
Ma dice cose gravi della corruzione, per cui poté la Russia mancare delle munizioni offertele e non accettate per mancanza di pot - de - vin;
e grida contro il granduca Sergio «la vieille danseuse l’ex-ministre de la guerre» ecc. e domanda al Granduca Nicola e all’onesto Imperatore esempi di castigo.
Dicono che il principe di Bülow ha scritto all’ing. Mainoni, (il quale aiutò all’arredamento di Villa Malta) che, se trova chi compri la villa stessa, la venda.
Prezzo: due milioni.
Sarà vero:
Certo il soggiorno di Roma non può più per i Bülow essere piacevole.
12 agosto Barrère domanda se può vedermi prima di ripartire per Fiuggi donde arriva.
Gli do appuntamento per oggi alle undici antimeridiane.
Al solito dice di venire per parlarmi di questioni affricane (l’apertura ai ribelli del Gebel occidentale dei mercati tunisini) ma in realtà per intrattenermi di altri argomenti.
La questione dei mercati è presto sbrigata:
è un’altra illustrazione del proverbio «Ognun per sé e Dio per tutti» criterio e legge dei nostri alleati carissimi.
Temono che la ribellione si estenda in Tunisia e, per amicarsi i ribelli, propongono di permettere che si riforniscano dei viveri e di quant’altro loro necessiti sul mercato di Tunisi;
e fingono di non intendere che la ribellione di ciò si avvantaggerà nella forza e nella durata a nostro danno.
Gli dico chiaro che l’apertura dei mercati non può essere considerata da noi come un atto amichevole;
e Barrère glisse et n’appuie pas.
Ma viene a parlare della dichiarazione di guerra alla Turchia e alla Germania, si duole che non l’abbiamo ancora fatta.
Quanto alla Turchia Sonnino gli ha detto che il dichiararle la guerra sarebbe son plus vif désir.
E allora:
V’è dunque dissenso tra Sonnino e Salandra:
Io non rispondo, scuoto la testa in segno di negazione, ma Barrère è convinto che dissenso c’è.
E conchiude:
«Mettez vous en règle, voilà mon conseil».
Pare che la notizia data (così dice Barrère) circa il divieto decretato dal Governo rumeno alla esportazione di munizioni in Turchia sia vera nella forma: munizioni non passano: ma, nella sostanza, si lasciano passare tutte le materie che occorrono per la fabbricazione delle munizioni.
13 agosto (Frascati) Ameglio telegrafa da Tripoli 13 - 8, ore 13.1: 967.
Tripoli ora è in tale stato di efficienza da poter parare con piena fiducia qualunque eventualità.
Erano giunte dalla Tunisia voci secondo le quali i ribelli si preparerebbero ad assaltare Tripoli.
Di ciò fu data notizia ad Ameglio con mio telegramma n. 4627, cui questo risponde.
14 agosto (Frascati) Carlo Placci che viene a vedermi dice di sapere da fonte autorevole inglese che le condizioni economiche costringeranno la Germania a domandare la pace più presto che non si creda.
Intanto la matassa balcanica s’aggroviglia più che mai.
15 agosto (Frascati) Salandra, che torna a Roma domani dopo una settimana di soggiorno qui, viene a passar la sera al Tuscolo e a salutarmi.
Parliamo dei Balcani.
Non ha nessuna fiducia nel felice successo dell’azione diplomatica.
Il colera che minacciava di espandersi dà meno ragioni di trepidazione.
Il contagio pare fermato.
16 agosto Quei tedeschi sono goffi:
le loro stesse menzogne circa i fatti della guerra risentono della loro grossolanità.
Un di loro giorni sono stampò non so quali sciocchezze sulle condizioni dell’ordine pubblico in Italia, raccontando che in un giorno di domenica undici persone furono or è poco assassinate a Roma nella pubblica via.
Or ecco un altro giornale tedesco nel quale un ungherese dice altrettali sciocchezze e menzogne, dando ad intendere di conoscere il Ministro Barzilai che dipinge alto bruno barbuto.
Il Messaggero risponde con un curioso articolo che va conservato per curiosità.
17 agosto Da Tripoli il Governatore Ameglio telegrafa che la città è posta in tali condizioni da non temere assalti;
qualunque tentativo de’ribelli riuscirebbe lor vano.
Ma ora i ribelli pare si rivolgano alla Tunisia.
Ce ne avverte questo telegramma del R. Console generale a Tunisi:
Telegramma in arrivo da Tunisi del 17 — 8 — 1915.
571 — Ben Ascar inviò ieri ultimatum minacciando assalire Deibat con tutte forze Islam per punire tradimento Francia che ha ritenuto ostaggio sua famiglia.
Furono prese tutte le misure per sostenere attacco che pare debba essere violento.
Del resto è mio antico convincimento che la sollevazione non si sarebbe fermata alla Tripolitania, ma avrebbe a poco a poco avuto effetto in tutta l’Africa Settentrionale.
In Tripolitania trovò terreno preparato il Senusso; aiutammo noi con gli errori nostri e i nostri mali trattamenti;
inoltre mentre i francesi sono a Tunisi da 34 anni noi siamo a Tripoli da quattro;
ma, posso ingannarmi, se da noi la ribellione per questi motivi scoppiò più presto, non si limiterà ai nostri possedimenti soltanto;
Avevo scritto queste parole quando m’è giunto dagli Esteri questo telegramma:
Ministero Colonie — Ufficio Politico 16 agosto ore 23.
Il Regio Console in Gibilterra mi comunica di aver appreso da buona fonte che il Governo tedesco fa ogni genere di sforzi per far scoppiare una sollevazione generale dei Musulmani in tutta l’Affrica settentrionale dal Marocco all’Egitto.
Il complotto farebbe capo all’Ambasciata tedesca in Madrid, la quale dirige numerosi intermediari sulla costa della Spagna e dell’Affrica e un’insurrezione generale dovrebbe scoppiare fra tre settimane.
Informo di quanto precede il R. Ambasciatore a Madrid perché richiami, se crede, l’attenzione di quel Governo sul pericolo che la ripercussione del minacciato movimento costituirebbe sicuramente nella zona di protettorato spagnolo al Marocco.
F.to Sonnino
18 agosto Il Capo di Stato Maggiore della Marina comunica:
Ieri mattina, 20 unità austriache ed un aeroplano hanno attaccato l’isoletta di Pelagosa.
Il nostro presidio ha sostenuto il violento attacco con molta bravura ed il nemico si è ritirato senza tentare operazioni di sbarco.
Noi abbiamo avuto quattro morti, tra i quali un ufficiale, e tre feriti.
Ignoriamo le perdite del nemico.
Ma com’è possibile che una settantina di uomini, i quali non avranno più fra poco né munizioni né viveri, resistano in Pelagosa agli urti nemici:
Questa volta la cosa è riuscita, probabilmente perché il nemico ha supposto che noi fossimo in forze maggiori e non ha stimato opportuno lo sbarco; ma domani...
E se dovremo abbandonare Pelagosa, come mi pare probabile, non era meglio non andarvi:
Ah: la Marina:
...
Il sen. Talamo mi racconta aver udito dal suo collega in laticlavio, on. Cefaly, che a guerra finita e quali siano per essere le sorti della guerra stessa, Giolitti rimanderà al Re le insegne dell’Annunziata.
Cagione di siffatto fiero proponimento di atto fierissimo, lo avere S. Maestà ricevuto in udienza il D’Annunzio dopo che questi, nel discorso al Costanzi, imputò al Giolitti un tradimento e lo designò all’odio pubblico come traditor della patria.
Sarà vero:
Qui vivra verra.
Viene da me Barrère a domandarmi se ho notizie da Tripoli circa le intenzioni dei ribelli verso la Tunisia;
gli leggo il telegramma di Caccia il quale conferma le notizie che Barrère ricevé da altra fonte.
È assai preoccupato, anche perché non crede che, nonostante i rinforzi mandati di recente, si abbiano in Tunisia tante forze da seriamente resistere a un attacco di ribelli che si annunzia violento.
La conversazione è interessante sopra altri argomenti.
Comincia dal parlare delle offerte di pace fatte o fatte comunque fare dalla Germania alla Russia, e che egli dice essere sicuramente avvenute:
in sostanza mette il discorso su questo soggetto perché vorrebbe tirarmi le calze e sapere se profferte simili sieno state fatte all’Italia:
ciò che forse — e senza forse — egli sospetta.
Gli dico che ho indovinato il suo pensiero;
stia tranquillo, nessuna profferta fu fatta.
Del resto egli sa quali sono gli impegni dell’Italia e deve credere che non sarà il Ministero Salandra quello che vi mancherà:
né altri Ministeri vi mancherebbero.
È ottimista circa la Russia:
l’esercito russo s’è ritirato, sì, ma ancora intatto o quasi.
Il difetto sta nelle munizioni e nelle armi.
La Russia ha la metà dei fucili necessari al suo esercito:
per due soldati un fucile:
ma è sperabile che il Giappone, il quale in questo momento nulla ha da temere e può venirle in soccorso, dia alla Russia le armi e le munizioni che le occorrono.
Meno ottimista è circa i Balcani:
invece di trattare coi se e con i ma, la Quadruplice avrebbe dovuto garantire alla Bulgaria il possesso della Macedonia:
assicurarla che sarebbe sua alla fine della guerra vittoriosa cui essa partecipasse;
non far chiacchiere con la Serbia che, al tirare dei conti, si accomoderebbe di altre conquiste e di altri compensi.
Mi racconta che gli austriaci e i tedeschi (dei quali ultimi egli sa che sono contro di noi alquanti sul Carso e sull’Isonzo e non ignora che ne abbiamo fatti prigionieri) mandano a lavorare nelle trincee contro di noi i prigionieri russi e francesi.
Un francese è riuscito a fuggire e si è messo in comunicazione con l’Ambasciata.
Sarà mandato in Francia a combattere novamente.
Vado alle 4 alla Consulta dove ho appuntamento con Sonnino.
La dichiarazione di guerra alla Turchia è imminente.
Fu già mandato il relativo telegramma all’ambasciatore Garroni:
se già non gli è giunto, poiché spesso la trasmissione è indugiata, gli giungerà domani o dopo.
Desidera, com’è naturale, che di ciò sia data notizia al gen. Ameglio.
Mi si domanda s’io abbia notizia di sequestri fatti in Ungheria a danno delle famiglie italiane che vi hanno possessi.
È pronto alle rappresaglie;
ma vorrebbe esser sicuro del fatto, denunziato dagli Odescalchi.
Gli rispondo che ho pranzato ieri sera, dal conte San Martino, il quale in Ungheria ha la maggior parte dei propri beni, e che di ciò non mi ha fatto parola.
Ne deduco ch’egli non abbia ragione di doglianza.
Parliamo anche con lui de’Balcani.
Mi dice che degli uomini di Stato della Triplice Intesa coi quali ha avuto da trattare, quegli che s’è addirittura rivelato angusto di mente e di propositi, piccolo, meschino, è il Sazonoff.
Le titubanze della Bulgaria, della Rumenia, sono effetto della sua politica avara.
La Russia, che ha supremo interesse nella conquista di Costantinopoli, nell’apertura degli Stretti dovrebbe proporzionare all’interno i sacrifizi;
invece tutto vuole e nulla dà.
Se avesse ceduto o promesso di cedere la Bessarabia alla Rumenia questa sarebbe già in armi accanto a noi.
Poco è, secondo lui, da sperare dalla Grecia nonostante la caduta di Gunaris 31 e l’assunzione al potere di Venizelos, dato che questa si verifichi.
La nota altezzosa di Gunaris in risposta alla Quadruplice è fatta per intenti di politica interna, ed è certamente fatta d’accordo col Re.
Dopo avere in quella dichiarato fieramente che mai la Grecia cederà un palmo del proprio territorio, è difficile al Venizelos attuare il suo antico programma:
e non sarebbe da meravigliare che, avendo quel bastone fra le gambe perfidamente messogli dal Gunaris, egli preferisse di astenersi per ora, mandando altri al potere che vi rimanesse fino a che non si presentassero condizioni propizie alla politica che il Venizelos prosegue ed incarna.
Anche Sonnino è del parere di Barrère circa la Bulgaria:
la Serbia al tirare dei conti si accomoderebbe:
ma è assurdo lo sperarne assensi preventivi.
L’invio di prigionieri francesi a lavorare contro di noi nelle trincee è vero;
e non soltanto francesi ma russi:
quattro di questi han disertato e sono venuti da noi.
Atto orribile questo:
non basta dire che viola ogni diritto;
viola ogni sentimento umano.
Ma così adopera la Germania:
la quale, Sonnino pensa ed io del pari, non ci dichiarerà la guerra se non quando possa mandare grandi forze contro di noi.
Del resto, la guerra con l’Italia non è più ora popolare in Germania:
tutt’altro:
tranne nella Baviera, dove gli animi sono tuttavia molto eccitati contro di noi.
Perché:
Forse per la vicinanza del Tirolo fedelissimo all’Imperatore e le cui opinioni si diffondono nelle regioni adiacenti:
forse perché la Baviera è cattolicissima e odia l’Italia, che tiene prigioniero il Papa dopo avergli tolto il potere temporale.
Comunque il fatto è questo:
tanto è ciò vero che si è mandato a combattere contro di noi un reggimento bavarese:
anzi più reggimenti:
dicono 15 uomini.
19 agosto Coromylas andò giorni sono a leggere al ministro Sonnino la risposta della Grecia alla Quadruplice, altezzosa nell’affermazione che la Grecia non cederà mai palmo del territorio nazionale ecc. ecc.
Coromylas armonizzò col tono della scrittura il tono della lettura; melodrammatica quella, filodrammatico lui.
Sperava il greco di far effetto:
Sonnino lo smontò:
«Tutte queste cose sono bellissime a dirsi.
L’Italia deve la sua indipendenza in parte alla cessione di Nizza che le convenne dare per avere la Lombardia».
Mi ha raccontato il colloquio Sonnino stesso.
20 agosto Consiglio de’Ministri.
Sanità pubblica.
Casi di colera nel basso Isonzo a Cormons e Cervignano:
200 casi al giorno, pochi morti.
Dal 6 luglio a tutt’oggi 360 morti:
nuovi provvedimenti, sebbene sia chiaro che la epidemia non tende ad estendersi.
Percentuale della mortalità assai bassa, come si vede.
Turchia.
Il Ministro degli Esteri annunzia che il nostro ambasciatore a Costantinopoli dovrebbe aver presentata la nostra dichiarazione di guerra oggi a mezzogiorno.
Oramai il contegno della Turchia era tale da non poter essere oltre tollerato.
Se ne dirà in un comunicato e nella nota da mandarsi alle Potenze.
La dichiarazione di guerra era inoltre necessaria, affinché l’azione della Quadruplice sui Balcani, sulla Bulgaria in specie, potesse esercitarsi più valida.
Il Ministro degli Esteri dichiara di non aver gran fiducia nei risultati di questa azione:
ma è chiaro che la nostra situazione era abbastanza curiosa, quando incitavamo la Bulgaria a far la guerra alla Turchia senza far noi quella guerra alla quale i nostri impegni cogli alleati ci obbligano.
Agli alleati che desideravano questa dichiarazione di guerra, il Sonnino ha nettamente detto che non sperassero aiuti da noi nell’impresa dei Dardanelli:
per non distrarre forze dall’Isonzo e dal Trentino ci siamo rassegnati ad abbandonare l’Hinterland della Tripolitania;
non potremmo dunque mandar ora soldati in Oriente.
Salandra è pienamente d’accordo col collega degli Esteri sulla necessità di questo atto al punto cui son giunte le cose.
Internamente avremo certo un nuovo movimento giolittiano:
«Ch’io chiamo tale» egli dice «sebbene non mi resulti che Giolitti vi partecipi».
L’on. Luzzatti esercita in questo senso un’azione anche lui, un’azione cioè pacifista, ma è azione verbale di poca importanza.
Più efficace sarà l’azione degli uomini d’affari della quale qualche saggio già si ebbe nella Tribuna, auspice il solito sen. Rolandi Ricci.
Anche appare per alcuni segni che, se non un’intesa, una telepatica simpatia corra fra i cattolici politicanti e i socialisti ufficiali;
e specialmente, quando si parla di cattolici politicanti, è da intendere i giornali cattolici che ebbero... relazioni politiche (diciamo così) con le Ambasciate d’Austria e di Germania.
Tutta questa gente, appena la dichiarazione di guerra sia nota, si adopererà a spaventare, lasciando supporre che l’Italia partecipi all’impresa dei Dardanelli.
Con tutto ciò non si deve dare a questo movimento maggiore importanza di quella che ha Senza fare pubbliche dichiarazioni, che sarebbero non solo inopportune ma sconvenienti, ognuno di noi nei discorsi privati con amici, giornalisti, deputati ecc. dovrà assicurare che almeno per ora di Dardanelli non è il caso di parlare.
Sonnino.
Avverte che sono veri i contatti cercati dalla Germania con la Russia:
e non è da escludere che non ne cerchi anche con l’Italia:
s’intende non con i Governi, ma con uomini politici o uomini d’affari che possano esercitare qualche influenza.
Non giova sollevare questioni ufficiali quindi, che non sono già poste.
Libereremo la Libia dai patti del trattato di Losanna, ma non fiateremo sul Dodecanneso:
il quale è naturale sia considerato oggi come preda bellica, ma sarebbe grandemente inopportuno il far di ciò parola in questo momento.
Grippo.
Afferma che i nostri migliori amici apprenderanno con molto rammarico la notizia della guerra alla Turchia.
Saremo di necessità trascinati a partecipare all’impresa dei Dardanelli e il farlo sarà ragionevolmente giudicato follia, quando, per non distrarre forze, ci siamo rassegnati a perdere la Tripolitania in massima parte.
Poiché questa dichiarazione di guerra e questa guerra che sarà poi inevitabile si fece e si farà per pressione degli alleati, si dovrebbe almeno ottenere dall’Inghilterra che mutasse il contegno suo verso il Senusso.
Non può non esprimere la sua grande preoccupazione.
Casavola.
Non lo spaventa la nostra partecipazione all’impresa che Grippo teme:
ma è d’accordo con lui nel credere che vi saremo fatalmente trascinati.
Orlando.
Osserva che Grippo fa una questione non di forma ma di merito, e la questione di merito fu già risolta.
La dichiarazione di guerra è un altro passo rivelatosi necessario sulla via che l’Italia ha preso a battere.
Non si può mutar strada.
Presidente.
Può anche darsi che venga giorno (chi vede nel futuro:) nel quale la strada debba mutarsi:
ma non possiamo in nessun caso mutarla noi.
Le mie opinioni le espressi già:
le ho oggi confermate.
Dichiarazione sì, Dardanelli no.
Copia di estratto di telegramma del R. Ambasciatore a Londra al Ministro degli Affari Esteri:
Londra, 18 agosto 1915 Nel corso della conversazione che ho avuto ieri con Grey gli ho ancora una volta ripetuto che la nostra situazione in Libia è stata sensibilmente aggravata dal contegno delle Autorità anglo-egiziane verso il Senusso, contegno addirittura incompatibile con le relazioni fra i due Paesi e che ha prodotto il malcontento del Ministero delle Colonie condiviso pure dal Presidente del Consiglio e da V. E.
Urge quindi, soggiunsi, liquidare una buona volta incresciosa controversia addivenendo senz’altro ad un accordo sincero destinato ad avere il pratico complessivo risultato di persuadere in modo tangibile il Senusso che egli non può essere ad un tempo amico dell’Inghilterra e nemico dell’alleata Italia.
In altri termini necessita non sia tollerato che il Senusso abbia un piede in Egitto e uno in Libia con facilità di organizzare ribellioni contro di noi; che governanti anglo-egiziani cessino dal placarlo con doni e chiare allusioni implicanti riconoscimento di un preteso governo senussita, spirituale o temporale, che noi non siamo in alcun modo disposti a riconoscere; che cessino i continuati rifornimenti di viveri armi e munizioni introdotti con l’acquiescenza esplicita o per lo meno non celata tolleranza delle Autorità egiziane.
Finché tutto ciò non sarà avvenuto auspicato accordo rimarrà sempre illusorio e destituito di qualsiasi effetto pratico.
Grey rispose rilevando anzitutto che relazioni inglesi col Senusso non sono attualmente delle più cordiali ed esprimendo suo sincero desiderio dell’accordo a facilitare il quale ha appunto prescritto al Colonnello Hunter di recarsi a Roma.
Aggiunse poi in conclusione che avendo personalmente esaminata questione e messo in raffronto nostre lagnanze con rapporto di Maxwell, aveva completamente motivo di credere che le informazioni a lui giunte siano spesso false del tutto ed il più delle volte considerevolmente esagerate.
Ciò faceva sorgere il sospetto azione malefica di qualche abile mischiefer interessato a turbare relazioni italo-inglesi.
F.to Imperiali
23 agosto Consiglio de’Ministri.
Si autorizza l’accettazione delle dimissioni del Salvago Raggi da Governatore dell’Eritrea.
Si approva la spesa di 400 milioni domandata dal Ministro della Guerra per la formazione di nuovi battaglioni.
Il paese s’è meno commosso per la dichiarazione di guerra alla Turchia di quanto era preveduto.
L’italiano è accorto e crede poco che italiani dei quali ha una certa stima, come quelli che oggi sono al Governo, sieno capaci d’una follia, quale oggi sarebbe per noi il partecipare all’impresa dei Dardanelli.
Credulo talora bensì anche l’italiano; in tempo di guerra.
Fiabe se ne spargono in questi giorni e persone dotte e intelligenti vi prestano fede.
Passi che si creda il Re ferito a una mano e il segreto custodito gelosamente, come si è creduto da molti in questi giorni dietro una voce sparsa non si sa da chi;
ma che gente ammodo, colta, ripeto, e intelligente creda che il gen. Brusati, convinto di alto tradimento, sia stato condannato alla fucilazione e che egli per sottrarsi alla morte infamante si sia tirato un colpo di rivoltella nel cervello; e che tutto ciò abbia potuto avvenire senza che nulla ne trapelasse per più settimane, di questo certamente è da meravigliare.
E non dico delle chiacchiere che si fanno poi circa la Marina:
fiabe senza fine:
ma una cosa è vera, che le cose della Marina non vanno bene.
Ho notato uno stretto e lungo tête - à - tête del Presidente col collega Viale.
Non mi meraviglierebbe si prendesse qualche grave provvedimento.
24 agosto Un telegramma di Cadorna — riservato — che Salandra mi ha mostrato stasera mentre lo salutavo alla stazione (parte per la zona di guerra, al solo fine di respirare un po’d’aria di montagna) soggiunge che si procede molto bene dalla parte di Tolmino:
non si annunziano i progressi fatti soltanto perché il darne notizia potrebbe danneggiare il proseguimento della operazione.
E i successi della flotta russa nel Golfo di Riga ci rallegrano e ci confortano.
E sempre avanti, Savoia:
I giornali viennesi furibondi per la nostra dichiarazione di guerra alla Turchia stampano insolenze a tutto andare.
Secondo una specie di sunto che Il Messaggero riceve da Zurigo ce ne sono anche per me.
Io sono, secondo la Reichspost, il fiduciario dell’Ambasciata d’Inghilterra e l’uomo che ha imposto all’Italia l’entrata nella guerra mondiale, che non è più Sonnino (così il sunto del Messaggero) sebbene si sia «dato al diavolo insieme con me».
Questi sono echi del discorso trivialmente violento di Bethmann Hollweg, il cancelliere sfacciatamente bugiardo, le cui parole bensì producono effetti tristissimi.
Salandra riceve di continuo lettere minatorie da tedeschi fanatici;
ed è bene che si faccia intorno a lui vigilanza strettissima.
Di queste lettere mi ha dato egli stesso notizia.
26 agosto (Frascati) La sconfitta russa, la persistente impreparazione inglese e la repugnanza degli inglesi a decretare il servizio militare obbligatorio, altre cagioni che è inutile enumerare, producono nel popolo nostro tristi effetti.
La gente si accascia.
Gli impressionabili sono molti.
So di una lettera di Napoleone Colajanni a Ciraolo addirittura disperata.
«Le illusioni svaniscono, la barbarie teutonica trionferà ecc. ecc.»
27 agosto Enrico Corradini mi fa leggere una lettera del Perrone, uno degli industriali che sovvengono L’Idea Nazionale.
Vi si riferisce un discorso fattogli dall’ing. Federico Giolitti che trovasi ora insieme col Perrone a Parigi.
Il Giolitti ha affermato essersi oramai conchiuso un grosso trust giornalistico del quale La Stampa di Torino è il pernio.
La Fiat avrebbe dato due milioni.
Il Naldi del Resto del Carlino sarebbe della combinazione.
Tutti questi giornali, compreso un giornale nuovo che dovrebbe pubblicarsi a Roma, sono posti a disposizione di Giolitti dagli azionisti o sovventori a lui pienamente devoti.
Scopo: rovesciare il gabinetto Salandra e conchiudere la pace.
Il detto Federico ha affermato altresì che in breve la Russia chiederebbe la pace adducendo la forza maggiore e che le file francesi sarebbero fra poche settimane sfondate e distrutte.
Tutto ciò è raccontato nella lettera con la precisione di un verbale.
Siamo lì:
gente che aspetta (non voglio dire invoca ma...) che aspetta una sciagura per preparare una vergogna;
e non è da escludere, anzi è da credere che costoro mantengano ancora relazioni col Bülow e compagnia.
Il ministro di Grecia — che viene da me a lagnarsi di atti di quel buon soldato, ma arruffone [... ]
Quando esce dal mestiere suo che è l’Ameglio — mi soggiunge che di un risveglio neutralistico e pacifistico si hanno nuove manifestazioni nel bel mondo romano.
Ma egli sa da lettere di amici che in Germania vivono, che là il popolo è stanco, non ne può più e chiede lui pace.
Ad Amburgo chi non è ricco mangia una volta al giorno, tale è il caro dei viveri.
Circa le mene tedesche in Spagna aventi per fine la sollevazione di tutta l’Affrica settentrionale, mene delle quali già s’ebbe notizia, il Ministro degli Esteri mi comunica in data 22 agosto quanto segue.
E in data del 24 il Console generale a Tangeri manda altre notizie che il Ministro degli Esteri comunica in data dello stesso giorno:
10929 — Faccio seguito al mio telegramma N. 10855 del 22 corrente.
Il Regio Incaricato d’Affari in Tangeri, cui avevo comunicato le notizie inviatemi dal Regio Console in Gibilterra e dal Regio Ambasciatore in Madrid circa l’agitazione panislamica fomentata dalla Germania nell’Affrica settentrionale, mi riferisce quanto segue:
«Il generale Lyautey mi ha manifestato sua viva preoccupazione per intrighi tedeschi in tutto nord Affrica.
Propaganda da essi fatta è secondo il parere di Lyautey abilissima e pericolosissima.
Già se ne sentono i risultati inquietanti al confine delle zone spagnuole e francesi.
Basi dell’azione tedesca sono Spagna e protettorato Spagnuolo.
Circa tedeschi disertori legione straniera si tratta, a quanto mi ha riferito questo mio collega di Francia, di disertori dapprima internati a Melilla e poi lasciati evadere da quella Autorità spagnuola.»
L’agente germanico in Malaga cui riferisce Rocca, è ingegnere Lagenceim, già rappresentante in Tangeri gruppo tedesco accaparratosi miniere.
Ho inviato copia dei proclami di guerra santa e di propaganda ai francesi diffusi da agenti ispano-tedeschi.
F.to Sonnino
E i tedeschi sono nemici.
Ecco come si conducono gli alleati, secondo la presente lettera che il Regio Agente diplomatico al Cairo manda al Ministro delle Colonie in data di Bulkeley 19 agosto 1915.
Ma non c’è da troppo meravigliarsi quando si leggano i documenti che seguono e dei quali noi abbiamo conoscenza grazie alla censura esercitata in Libia.
Veggasi come degli inglesi i francesi parlino, e come stimino la lealtà loro.
N. 2038 — Relazioni del Senussi coll’Egitto
Signor Ministro, Come è noto alla E. V. il Governo egiziano ha sempre tenuto un piccolo presidio nella località di frontiera denominata Gherba situata tra l’oasi di Siwa e Giarabub e più precisamente a circa dieci ore di distanza da questa ultima località.
Ora sono informato, da fonte attendibile, che il governo anglo-egiziano, sulla domanda del Gran Senussi, ha fatto cessione a quest’ultimo della suddetta località.
Il presidio egiziano è già stato ritirato e Sidi Ahmed ha inviato a Gherba per prenderne possesso, l’ufficiale Wasfi Bey che teneva presso di sé ad Amseat.
Gradisca, Signor Ministro, gli atti del mio profondo ossequio.
F.to Serra
Il Ministro degli Affari Esteri Al Signor Jousselin — Console di Francia a Tripoli Comunica un resoconto della seduta della commissione interministeriale degli affari musulmani, del giorno 8 corrente.
Sunto
Il Signor Peretti de la Rocca, consigliere d’ambasciata, sotto-direttore degli Affari d’Affrica al Ministero degli Esteri comunica alla Commissione riunita:
La questione del califfato
Il Generale Lyautey è d’avviso che per l’avvenire dell’impero francese dell' Affrica del Nord sarebbe vantaggioso e di grande interesse la creazione di un califfato occidentale sotto l’ègida della Francia e completamente separato dal califfato d’oriente.
Anche il Signor Gaillard — Segretario generale del Governo Sceriffiano — senza dissimularsi le difficoltà pratiche della soluzione preconizza la ricostituzione di un califfato occidentale sotto l’autorità del Sultano del Marocco.
La Francia perciò, pur mostrandosi favorevole allo Scerif della Mecca, deve ostacolare cautamente ogni influenza sul nord Africa per impedirgli di raccogliere eventualmente l’eredità del califfato di Costantinopoli nel mondo musulmano d’occidente.
Naturalmente l’Inghilterra cercherà di ostacolare questo progetto a favore dello Scerif della Mecca sul quale spera sempre di esercitare la sua diretta influenza pei suoi fini politici.
Anche nell’ipotesi d’un accordo completo tra i due governi interessati sulla loro azione alla Mecca, l’eccesso di zelo e le mene degli agenti locali renderanno la pratica di questo accordo ben difficile.
In genere, non potendo contare dunque sulla lealtà e nemmeno sul sincero interessamento dei nostri alleati e di tutti i loro agenti bisognerà tuttavia contare sui loro errori.
Per quanto riguarda gli inglesi il loro disprezzo per gli indigeni, la loro confidenza nell’assoluta possanza della Gran Bretagna li rende inadatti al maneggio delle forze morali dell’Islam.
Questa incapacità si è manifestata ultimamente in Egitto in una situazione che loro potevano comandare purché non avessero trascurato nessun mezzo di azione.
Da un rapporto del nostro ministro al Cairo, si apprende che il Principe Hussein ha perduto tutta la sua popolarità in Egitto, giacché la sua assunzione al trono dipese da cause esclusivamente politiche.
In alcune moschee la preghiera è detta in nome del Sultano di Costantinopoli e la folla rifiuta di rispondere alla preghiera detta in nome del Sultano d’Egitto.
Questi errori degli inglesi sono tanto più interessanti quando noi li confrontiamo al tatto col quale noi procediamo in simili materie.
Grazie al carattere dell’universalità del genio francese e ad una esperienza islamica sempre sveglia, noi disponiamo di un personale che porta in materia una vocazione ed uno spirito di adattamento assolutamente superiori.
29 agosto (Monsummano) Finalmente una buona notizia:
a dir meglio, la speranza di una buona notizia.
Telegrafato al Serra che venga senza indugio a Roma.
Telegramma in arrivo da Bulkeley Ramlek del 28 — 8 — 1915 2148 — Gabinetto — Segretissimo.
Sidi Ahmed dopo aver lungamente conferito con Sidi Mohamed Idrissi di Luxor ha incaricato questi di trattare segretissimamente con me restituzione dei prigionieri munendolo documenti autentici di cui ho avuto comunicazione.
Sidi Mohamed che è tornato ora da Amseat ed ha avuto lunghissima conferenza con Commendator Crolla al Cairo nel comunicare quanto precede si è fatto dare parola di onore strettissimo severo segreto poiché se notizia trapela agli inglesi e ai turchi riuscita è irrimediabilmente compromessa.
Trattandosi questioni complesse delicatissime che includono preludio pacificazione prego autorizzarmi telegraficamente venire assieme con Commendator Crolla a Roma conferire con V. E.
Spedisco oggi rapporto e fotografie documenti.
Serra 30 agosto (Monsummano) I giornali austriaci si sfogano a dirmi delle insolenze:
secondo l’un d’essi io sono un maestrucolo elementare portato al potere dagli intrighi francesi.
Notiamo.
Purché gli austriaci ne tocchino e se ne vadano, lasciamo che vomitino fiele dalla bocca amarissima.
Queste sono inezie:
il guaio è che i russi cercano fucili persino in Etiopia;
e han pregato quel Governo di restituire 12 vecchi fucili dall’Imperatore Alessandro regalati a Menelik diecine d’anni sono.
31 agosto (Firenze) Ho trovato qualche malcontento in Toscana, non forse ingiustificato.
Per esempio: si rifiuta a un soldato o ufficiale che ha il figlio o il padre moribondo (e questo consta anche a me) un giorno di licenza;
il conte O., perché è il conte O. aiutante di campo del Conte di Torino, viene a Firenze in licenza per due settimane.
Così dicono:
e dicono anche:
«Non è ancora morto un signore».
Terribile affermazione:
è gravida di rancori e di vendette.
Un articolo di Hervé merita di essere conservato.
E merita di essere conservata anche questa notizia delle condizioni dei nemici fornitaci da loro medesimi.
1° settembre (Firenze) Mentre scendo dal vagone che mi ha portato da Monsummano il sen. Serristori mi viene incontro e mi dà la notizia che mezz’ora fa (sono le 18) è morto Guicciardini.
2 settembre Brutta mattinata.
Un colloquio con Sonnino, desiderato dopo parecchi giorni di assenza, non è fatto per ridarmi animo, caso mai — il che non avviene né avverrà — io mi perdessi di coraggio.
In sostanza, secondo l’amico e collega, l’impresa dei Dardanelli è presso che disperata, il timore che la Bulgaria si stringa alla Turchia è fondato:
i russi non potranno per parecchi mesi riprendere l’offensiva:
sola speranza, che la guerra durando, i tedeschi seguitino a perdere uomini...
il solo strumento bellico che non possano subito sostituire.
Per giunta, il sen. Talamo viene a dirmi che le notizie raccolte da lui in conversazioni con chi veniva dal fronte gli hanno fatto il «core piccolo».
Nessuna speranza di prossimi successi del nostro esercito, non diciamo definitivi ché tali sarebbe follia lo attenderli ora, ma neppure di importanza singolare e da produrre effetti di rilievo, rispetto al seguito della campagna, ed effetti morali.
Insomma, di Gorizia niente per ora.
Men pessimista è Sir Rennell Rodd, che ho veduto nel pomeriggio.
Secondo egli mi dice, la condizione dell’esercito russo è migliore di quella che appare:
il Giappone gli fornisce e fornirà sollecitamente armi e munizioni.
La Grecia — ora che Venizelos ha ripreso il potere — manterrà intanto una neutralità benevola;
è sperabile che se ne ottenga qualcosa di più.
Munizioni non passeranno dalla Rumenia:
la guerra subacquea perderà d’efficacia, quaranta sottomarini tedeschi essendo stati distrutti da navi inglesi o da mine inglesi.
Ci sono sintomi di infiacchimento della Germania:
un amico intimo dell’Imperatore, il Principe von Donnersmark, firma la petizione degli anti-annessionisti, dichiarandosi — come i socialisti — contrario alle annessioni di territori conquistati.
Come si condurrebbe così se non fosse a ciò autorizzato dal Kaiser:
La Bulgaria non si muoverà:
se mobilitasse, la Grecia mobiliterebbe anch’essa.
Questo dice l’ambasciatore d’Inghilterra.
Poiché la Neue Freie Presse mi dice fiduciario dell’Ambasciata inglese nel Ministero, il discorso cade anche sulla imbecillità di queste affermazioni;
nel Libro rosso austriaco è un dispaccio del barone Macchio nel quale costui afferma che «il Ministro delle Colonie va ogni giorno a prender ordini dall’ambasciatore inglese».
Rodd ha verificato che in quel mese di maggio, nel quale il Macchio scriveva, noi ci siamo veduti una volta per le questioni egizio-tripolitane.
Mi racconta che il Cardinale inglese (non ricordo più come si chiama), essendo a Camaldoli ove trovasi anche il marchese senatore di Camporeale, è rimasto scandalizzato del costui contegno.
Quando vi giunse la notizia della caduta di Varsavia, il Camporeale l’annunziò a tutti con grande letizia e con queste parole:
«Varsavia è presa:
la Russia è finita;
siamo alla fine della commedia:».
Anche Rodd sa delle mene de’giolittiani e del loro agitarsi e consiglia di stare in guardia.
Gli racconto della contessa Serristori, dama di S. M. la Regina, la quale ha detto che alla fine della guerra vuole andare a passare qualche settimana in un paese rimasto neutro.
«Je veux serrer la main à un homme qui n’ait pas tué un autre homme, et à une femme qui n’ait pas vidé un pot de chambre».
Si capiscono e si scusano Danton e i septembriseurs.
Conchiusione del discorso con Rodd, quella medesima onde ebbe termine il discorso di Sonnino:
bisogna logorare la Germania.
Le perdite d’uomini non si sostituiscono.
Nella Neue Freie Presse si pubblica una intervista con l’attaché militare turco a Roma;
il quale ha la sfacciataggine di raccontare avergli io detto che tutti i ministri sono senza portafoglio come Barzilai, perché Sonnino fa tutto lui:
lui Ministro della Guerra, del Tesoro, delle Colonie e fin delle Poste.
Questo signore si chiama Muntaz Bey.
Io non l’ho mai né visto né conosciuto.
3 settembre In sostanza gli austriaci prendono l’offensiva dopo che giunsero i rinforzi annunziati già nel Bollettino del 1° settembre.
4 settembre Poiché sulle dichiarazioni grottesche di Muntaz Bey i giornali — Il Giornale d’Italia — seguitano a chiacchierare faccio ricorso alla Stefani per metter fine al chiacchiericcio.
5 settembre Bisognerebbe guardarsi un po’più dai nemici interni e dare qualche esempio.
Ci Sono alla Consulta consiglieri d’ambasciata che ogni giorno all’Excelsior fanno propaganda antipatriottica.
Destituirli.
Ma Salandra non vuole udire da questo orecchio:
anche a Padova ha parlato della generale concordia...
Non è vero:
la concordia non c’è.
Bisogna farsi temere.
Noi andiamo indebolendoci.
7 settembre Lunga conferenza con Salandra tornato dal fronte; lunga e non gaia.
In sostanza al Quartier Generale non han più la fede avuta sin qui circa la prossima resa di Gorizia.
Le resistenze del nemico sono accresciute, cresciuta la forza sua per uomini e per armi.
Nuovi pezzi da 305 sono stati posti dagli austriaci in batteria.
Rimane bensì ferma la fede sulla efficacia della nostra difensiva e la sicurezza che il nemico non entrerà nel territorio nostro per sforzi che faccia.
Aiuti non c’è da sperarne.
Con la Bulgaria inutile trattare;
non si arriverà mai a conchiudere sino a che Costantinopoli non sia seriamente minacciata.
La Rumenia assicura che munizioni non passeranno dal suo territorio per rifornire la Turchia.
Si può fare assegnamento su queste assicurazioni:
Sonnino dice di no.
La Serbia, che non fa nulla, esaurita com’è, cresce ogni giorno di pretese e vuole la Croazia e Fiume ecc. ecc.
In Russia si sono decisi a togliere il comando al Granduca Nicola che sarà mandato, (promoveatur ut amoveatur), Viceré del Caucaso.
Lo Zar prende lui il comando supremo:
non già di fatto, ma di nome, e ciò per potere, senza affronto manifesto, liberarsi dal suddetto Granduca.
Ciò che più affanna Salandra e tutti noi è la finanza.
Le richieste dello Stato Maggiore per la campagna di primavera sono immense.
Come, dove procurare il danaro:
E dovremo arenarci per esaurimento economico:
Impossibile.
Intanto i giolittiani seguitano le loro mene.
È confermata la notizia della prossima pubblicazione di un giornale, forse diretto dal [... ] Naldi del Resto del Carlino.
Si pubblicherebbe a Roma e comincerebbe con programma interventista... poi …
Ma non si tratta di politica: sebbene di interessi.
Banca Commerciale... e satelliti.
Al Campo ottimo sempre lo spirito delle truppe.
Si ebbero diserzioni di interi reparti... nei reggimenti di Firenze e di Arezzo:
E si provvide affinché il fatto non si ripetesse.
La Toscana è la regione nella quale purtroppo la parola patria ha più languido significato.
Alcuni toscani (tre o quattro) non solo disertarono ma aggredirono armati un casale e lo svaligiarono.
Furono arrestati e fucilati.
I giornali dicono che il generale Joffre il quale passò due giorni al nostro fronte, parlò col Presidente Salandra.
Non è vero.
Il Presidente scansò il colloquio meditatamente per evitare conversazioni di indole politico-militare (Dardanelli, guerra con la Germania ecc. ecc.).
Torno a dire a Salandra che il Governo acquista fama di debolezza, permettendo che funzionari, e perfino ufficiali seguitino a fare propaganda germanofila o pacifista.
I diplomatici reduci dalle rispettive legazioni si distinguono particolarmente in questa opera veramente iniqua.
Posso fare dei nomi, con sicurezza e li faccio invitando Salandra a provvedere, con ammonizioni se crede, con destituzioni se occorre.
Il buon Carrara che conobbi console al Plata e che dopo aver retto il Consolato Generale di Malta va all’Avana con patenti di ministro plenipotenziario (è uno dei funzionari più intelligenti della carriera consolare... e della diplomatica) viene a vedermi.
Mi dà notizia della preparazione inglese per il supremo sforzo da farsi contro i Dardanelli, e che mi dice veramente magnifica.
A Malta aspettano 150 uomini che sono destinati a Gallipoli.
La persuasione di arrivare a Costantinopoli è negli inglesi profonda e sicura.
Vorrebbero maggiori aiuti dai francesi, ma questi, viceversa, di Dardanelli non ne vogliono sapere.
Le perdite degli uni e degli altri furono ai Dardanelli gravissime.
È certo che gli inglesi faranno ogni lor possa per avere aiuti da noi disposti a compensarcene larghissimamente, sebbene facciamo finta di non averne bisogno.
Malta è stazione nella quale l’osservatore meno acuto e diligente vede più che in ogni altro luogo, e le relazioni che il Carrara vi ebbe con gli ammiragli delle due flotte dànno alle sue notizie carattere di sicura autenticità.
9 settembre (Frascati) I russi chiedono fucili.
Se arriveranno, dicono, ad averne mezzo milione i tedeschi la passeranno brutta.
Questo dicono:
a me pare molto modesta la cifra.
Comunque a noi ne domandano 500;
il Ministro della Guerra mi ha detto che 300 potremmo dargliene:
il Ministro degli Affari Esteri vorrebbe non darne nemmeno uno;
potrebbero, osserva, essere necessari a noi;
viceversa il gen. Porro ha detto al sen. Talamo che a me lo ripete, che del milione e duecentomila Wetterli che possediamo non avremo mai bisogno di servirci.
E questa mi pare esagerazione per un altro verso.
Consiglio de’Ministri.
Per la morte di Guicciardini è vacante il collegio di S. Miniato.
Si deve convocare il comizio elettorale:
A Lugo l’elezione non fu fatta perché Lugo è in zona di guerra.
S. Miniato non è.
Dopo lunga discussione prevale il concetto della non convocazione.
Potrebbe domani rimaner vacante il collegio di una grande città:
e come, una volta convocati gli elettori, bisognerebbe necessariamente permettere libertà di stampa e di riunione, potremmo trovarci a comizi contro la guerra ecc. ecc.
Tali le ragioni per le quali il collegio di S. Miniato rimarrà per ora senza rappresentante.
Il Papa ha domandato di farsi egli raccoglitore e distributore delle notizie dei prigionieri.
Non si può appagare il suo desiderio:
non si può abbandonargli un così importante servizio.
La convenzione dell’Aia lo affida alla Croce Rossa.
Il Papa forse cerca in sostanza di farsi avanti e di acquistare benemerenze da valere più tardi per ottenere di partecipare al Congresso.
10 settembre Consiglio de’Ministri.
Discussione circa i nuovi gravami da imporre per poter ancora, con bilancio quanto sia possibile assestato, ricorrere al credito.
Oggetto di larga discussione è la proposta tassa sugli esonerati dal servizio militare: la cosiddetta tassa dei gobbi.
Il Ministro delle Finanze ne spera un reddito di 18 milioni.
Da durare quanto la guerra.
Il Ministro degli Affari Esteri è assolutamente avverso a questa tassa che si risolve in una tassa sulla entrata.
Espone le ragioni del suo dissenso che producono molta impressione, perché in realtà sono valide ragioni.
Ma necessità non ha legge.
Orlando vorrebbe colpiti dalla tassa anche coloro che già servirono nell’esercito, ma che al servizio non sono più obbligati oltre il determinato limite dell’età.
La guerra domanda sacrificio personale e familiare:
personale lo fa chi va al campo;
familiare chi vi manda i propri figlioli;
chi figlioli non ha supplisca pagando.
Ciuffelli ribatte le osservazioni di Sonnino.
La tassa è simpatica se non altro a coloro che sul fronte espongono la vita.
Chi non la espone, paghi.
Io sono — come il Presidente stesso — assai perplesso.
Comunque, poiché il Ministro delle Finanze propone che si imponga un carico di 12 lire a chi ha 1000 lire di rendita, io faccio osservare che ne sarà colpita la gran parte dei contadini:
ciò che è, a senso mio, pericoloso politicamente e ne dico le ragioni.
Propongo che sia elevato il limite dell’entrata a 1500 lire.
Il Ministro del Tesoro ribatte le osservazioni del Ministro degli Esteri.
Riconosce giusta la mia osservazione ed è disposto o a elevare il limite del reddito o a diminuire l’entità della imposta.
Il Presidente fa osservare che in materia come questa non vi può essere nel Consiglio maggioranza e minoranza.
Bisogna trovarsi d’accordo.
Si esaminino le altre proposte intanto: e, ristudiata la proposta del Ministro delle Finanze, se ne discuterà ancora in un altro Consiglio.
Si approvano le altre proposte di tasse e cioè: 1.
Tassa sulla concessione delle esportazioni.
2.
Aumento di tasse sugli affari.
Il Ministro Sonnino vorrebbe vi fosse compresa una tassa sull’aumento della circolazione.
3.
Aumento di tariffa di vendita dei tabacchi (il sigaro toscano portato da 12 a 15 centesimi, aumento del prezzo della sigarette escluse le Macedonia.
L’esclusione delle Macedonia ha in ciò la sua ragione di essere: che, è probabile, i fumatori di sigari, dato l’aumento, si gettino a fumare Macedonia:
or questa qualità di sigarette è quella su cui l’Amministrazione ha lucro maggiore).
4.
Aumento di tassa di vendita sugli oli minerali escluso il petrolio.
5.
Modificazione al regime fiscale degli spiriti.
Abolendosi il privilegio della Sardegna, se ne compensa l’isola con l’assegnazione di un milione per opere agricole.
6.
Aumento della tassa di fabbricazione degli zuccheri.
7.
Aumento della tassa di fabbricazione della birra.
I giornali e le agenzie di notizie pubblicano quanto segue.
Io ignoro perfino l’esistenza di una missione militare portoghese.
Et voilà comme on écrit l’histoire.
Il Ministro delle Colonie on. Martini ha ricevuto la missione militare portoghese che — come abbiamo annunziato — si trova a Roma da alcuni giorni.
Il colloquio è durato quasi due ore e — secondo quanto ci è stato riferito — si è aggirato intorno a questioni coloniali.
La missione militare portoghese sarà ricevuta anche dal Presidente del Consiglio.
11 settembre Nulla di nuovo — che sia certo — nei Balcani.
Neppure la molto strombazzata alleanza della Bulgaria con la Turchia è certa; sebbene si affermi che la Bulgaria romperà le ostilità a giorno fisso cioè il 19 corrente.
Nulla insomma risulta di indubitabile al Ministro degli Affari Esteri.
Intanto i già neutralisti lavorano — e il sen. Pasolini narrava oggi spaventato al prof. Cuboni che era decisa la nostra azione nei Dardanelli.
L’avrebbe annunziato il Ministro Barzilai nel suo discorso il 19 a Napoli.
Di tutto ciò era sicuro, avendolo saputo dal sen. Chimirri che gli disse esserne informato da persona altolocata:
12 settembre Seguitano le fandonie.
Scoperte di tradimento, a Venezia ammiragli fucilati ecc. ecc.
Tutte queste cose si raccontano e si trova chi le crede e ripete.
Lo spirito del paese è sempre eccellente.
13 settembre In mancanza di fatti da registrare (chi desse retta alle chiacchiere ne avrebbe delle pagine da scrivere:) teniamoci alle idee.
Un articolo del Corriere d’Italia merita di essere conservato per ciò che narra e per le osservazioni che fa.
Del resto invece di tanti opuscoli che si divulgano da questo e quel Comitato e che non si leggono, meglio sarebbe tradurne e diffonderne uno: Paroles allemandes.
I concetti della Germania, i suoi metodi, le sue mire vi sono esposti in tutta la tremenda chiarezza dai suoi poeti, dai suoi filosofi, dai suoi pubblicisti.
Salandra mi manda il telegramma che il sindaco di Roma spedirà al Re per il 20 settembre;
e mi prega di preparare la risposta, che deve esser pronta oggi stesso alle 16, perché si possa mandarla a S. Maestà, e S. M. abbia tempo di pensarci sopra.
Ma come si fa così in fretta a non dire delle solite cose oramai insignificanti:
Oltre di che questo telegramma è un atto di Governo del quale il Ministero deve essere, secondo me, responsabile:
e quindi la forma dovrebbe essere, stabilita non dal Re solo definitivamente ma d’accordo col Presidente del Consiglio.
Altrimenti è inutile stillarsi la testa a scrivere quando poi il Re può tutto mutare.
Comunque butto giù quanto mi consente la povera testa tormentata da una nevralgia che leva di cervello.
S’era sperato in una miglior condotta degli anglo-egiziani.
Illusione.
Telegrafa il vice console di Alessandria 12 - 9.
2330 — Telegramma di V. E. n° 5363 — Da notizie attendibili a varie fonti mi risulta informazioni giornale Messaggero infondate.
Autorità britanniche non hanno mai esteso divieto di esportazione sostanze alimentari e prodotti metallurgici munizioni armi anche carovane dirette interno Egitto.
14 settembre (Frascati) Ecco il telegramma proposto al Re per la risposta al sindaco di Roma e da me mandato a Salandra pregandolo di mutare, togliere, aggiungere secondo a lui piacesse.
«Il saluto che nella solennità di un giorno memorabile Roma mi manda giunge straordinariamente grato al mio cuore.
Lo ricambio da queste terre ove Roma vinse e imperò e dove l’insuperabile valore dell’esercito conferma la fede nel trionfo delle rivendicazioni nazionali intento supremo della mia vita di Re e di Soldato.»
Mandatolo mi venne uno scrupolo intorno a quel «vinse».
Sull’Isonzo (Sontius) Roma dominò:
ma vi fu vinta dagli Unni nel 450 o in quel torno quando i profughi di Aquileia si rifugiarono a Grado;
e di ciò, sebbene non abbia qui libri da verificare, sono sicuro.
Scrissi dunque a Salandra che, in ogni caso, levasse quel vinse.
Trovo tornando da Frascati la sua risposta.
Caro Amico, Roma 13 — 9 — 1915 anche a me il «vinse» aveva fatto sorgere qualche dubbio.
Quindi avevo modificato, profittando della licenza da te datamene, proprio quella frase.
Ecco il testo che ho spedito, salvo le modificazioni che potrà apportarvi S. M.
Cordiali saluti.
Aff.mo Salandra Il saluto che nella solennità di un giorno memorabile Roma mi manda giunge sommamente grato al mio cuore.
Lo ricambio da queste terre dove impera tuttora il ricordo della gloria di Roma e dove l’insuperabile valore dell’esercito conferma la fede nel trionfo delle rivendicazioni nazionali, intento supremo della mia vita di Re e di soldato.
15 settembre L’accordo turco-bulgaro pare sottoscritto.
Si crede finalmente alla rigorosa neutralità della Rumenia.
Da noi si preparano febbrilmente munizioni.
Gli austriaci hanno effettivamente ricevuti contro di noi nuovi rinforzi.
16 settembre Si torna a ridiscorrere degli ascari libici mandati dall’Ameglio in Sicilia per sospetto di possibile tradimento.
Ne feci appena un cenno il 9 agosto e giova ch’io qui tutto per memoria esponga.
Si trovavano a Tripoli, quando fu giocoforza ritirarsi nella città, 2700 ascari libici.
Gli italiani colà dimoranti, primi gli avvocati (coraggiosi sempre da Cicerone in poi), chiesero fossero allontanati sospettando che durante il Ramadan, se una ribellione degli arabi avvenisse, essi anzi che reprimerla si mettessero coi ribelli d’accordo.
Non affatto convinto del pericolo ma premuto insistentemente, l’Ameglio propose il loro invio in Sicilia;
io, mio malgrado, a questa che era quasi la prima richiesta del nuovo Governatore, richiesta insistente come le pressioni subite da lui, cedei.
Gli ascari furono mandati a Floridia;
e il buon Mosca si occupò della loro sistemazione [... ]
Io avvertii bensi, scrivendo particolarmente al Governatore, che non mi sentivo di difendere alla Camera il provvedimento.
Mantenere ascari in Sicilia perché si teme che si ribellino in Libia, ossia pagare chi è sospettato di ribellione lasciandogli munizioni ed armi, è tale assurdità che nessuna oratoria riuscirebbe a giustificare.
Gli ascari dovrebbero entro l’ottobre tornare a Tripoli.
E il Governatore assentì.
Ora venne in mente al Capo di Stato Maggiore di portare questi ascari libici a combattere contro gli austriaci.
La proposta fu portata in Consiglio de’Ministri:
vi si opposero, oltre a me non favorevole ma men fiero di loro nell’esporre i motivi della contrarietà, il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Guerra;
e fu detto di scartare la proposta.
Pare che, andato Salandra al fronte e il Capo di Stato Maggiore insistendo, gli abbia lasciato credere che sulla prima deliberazione si poteva ritornare.
Il Capo di Stato Maggiore ha richiesto gli ascari;
il Ministro della Guerra pro bono pacis ha assentito.
Io ho dovuto dire al Presidente che intendo riportare la questione al Consiglio proponendo che si tenga fermo al primo deliberato.
Ho tutta la venerazione per il Cadorna;
ma da Udine non si può con tutti gli elementi necessari giudicare delle cose coloniali.
Il mandare gli ascari libici al fronte sarebbe per molte e gravi ragioni un errore enorme.
Segni dei tempi:
un articolo del Corriere della Sera.
Il sen. Francesco D’Ovidio in una lettera ai giornali spiega come fosse da principio contrario alla guerra:
come poi nuovi fatti e documenti lo persuadessero che la guerra fu una necessità.
Lodato il leale contegno del D’Ovidio il Corriere continua:
E ora dichiarazioni come quella contenuta nell’articolo del senatore D’Ovidio sono insieme segni d’un’altra probità intellettuale e morale e atti di efficace patriottismo.
La fede conquistata tra le ansie dell’incertezza ha a sua volta maggiore potenza per conquistare gli altri.
La parola incitatrice di chi pervenne al riconoscimento della necessità dopo aver cercato altre vie come scampi giova forse alla persuasione piû che quella di chi sempre affermò inevitabile la guerra.
L’Italia ha bisogno d’uomini leali, che lavorino e coltivino la speranza come una forza reale per il conseguimento della vittoria.
Più si va avanti, più la lealtà diviene un dovere essenziale e assoluto.
Più si va avanti, più i critici dalle oscure profezie diventano gli alleati del nemico.
Di solito, accenna a stanchezza chi meno ha fatto e meno ha dato e più era in obbligo di fare e di dare.
Si ricordino quanti intendono il dovere verso la patria come una dedizione generosa, che non si avvilisce in pentimenti frettolosi e in restrizioni mentali, che gli allarmisti della prima ora tendono a riprendere fiato.
Bisogna prenderli di fronte fin dal principio.
Parole sante:
e davvero bisognerebbe sin d’ora prendere di fronte i Cefaly i Chimirri i Camporeale, tutta la masnada già neutralista mascheratasi dappoi con veste di bellico patriottismo.
«Varsavia è presa, la commedia sta per finire:» gridava sorridendo a Camaldoli un mese fa il Camporeale, sollevando il disgusto di un prelato inglese che lo ascoltava.
«Barzilai annunzierà a Napoli che prendiamo parte all’impresa dei Dardanelli: quale follia:» afferma al collega sen. Pasolini il Chimirri, spaventandolo.
Ma Salandra da questo orecchio non sente.
La preoccupazione delle possibili deficienze finanziarie che ci costringano a ritirarci dal conflitto (può mai ciò avvenire, senza che l’Italia sia cancellata dal novero delle potenze:), lo affanna talmente da vincere ogni altro pensiero.
E poi l’antico moderatismo lo fa avverso a certe misure.
Confonde, o mi pare, il popolo con la piazza.
Stamani, parlandomi del rinvio del discorso di Barzilai a Napoli, notava che a quel discorso precederebbe l’inaugurazione del monumento a Matteo Renato Imbriani in piazza delle Pigne e soggiungeva:
«In piazza però non ci vado, non è il mio ambiente».
Difettucci d’ordine politico che non scemano però il mio affetto e la stima ch’io faccio del suo carattere.
Salandra è uomo di probità antica, di alto animo e di caldissimo amor patrio.
Mi incarica di veder Villa.
La Banca Commerciale, a proposito della statua della Niobide, tenta d’avere da lui un certificato di benemerenza.
Bisogna avvertirlo.
17 settembre Viene da me il comandante Grassi reduce dai Dardanelli.
Mi dà dell’impresa notizie assai dolorose.
Non osò chiedere una udienza al Presidente, non riuscì ad ottenerla dal Ministro degli Affari Esteri.
Sente il dovere di cittadino e di soldato di narrare al Governo quanto egli ha veduto;
e però parla a me che lo ebbi a capo dell’ufficio Marina nel Ministero.
Ma, prima di entrare in materia, eseguisce l’incarico avuto dal sig. Cruppi, ch’egli ha conosciuto a Malta mentre tornava dal suo Viaggio nei Balcani ed in Russia.
Il signor Gruppi lo incaricò di salutarmi e di dirmi che il suo viaggio nella penisola balcanica era stato una delusione e il suo viaggio a Pietroburgo un dolore, perché poté accertare che in Russia non si ha più fede in nessuno;
e si manca di rispetto perfino verso lo Zar.
Secondo il comandante Grassi, per le vie e coi metodi che gli anglo-francesi seguono, a Costantinopoli non giungeranno mai.
I comandanti, oltre che discordi fra loro — gl’inglesi pensando in un modo e i francesi in un altro — sono inetti questi e quelli:
e se qualche loro concepimento è buono, lo guastano inetti nell’esecuzione, gl’inglesi segnatamente.
I francesi han perduto delle loro truppe una parte molto ragguardevole (17 uomini su 40) e si trovano in posizione di cui non si vede l’uscita;
gli inglesi negli ultimi attacchi in pochi giorni hanno avuto 36 australiani fuori di combattimento.
Gli uni e gli altri possono ringraziare la Germania che quando fornì munizioni ai turchi le dette loro avariate:
tuttavia, come si vede dalle perdite, una parte è buona:
possono ringraziare la Rumenia se è vero ch’essa impedisca il passaggio ai nuovi rifornimenti:
sì che i turchi hanno quanto loro permette di trattenere l’avanzata degli alleati, non quanto sarebbe necessario per gettarli a mare;
perché là delle due cose l’una:
o si va a Costantinopoli, o, se il nemico ha l’efficacia bellica necessaria, ci si ritira imbarcandosi.
E questo il comandante Grassi, continuando, prevede che avverrà.
Ma quando ciò avvenga, che cosa succederà in Algeria, in Egitto, in Tunisia, nel Sudan:
Sa che si faranno pressioni su di noi (e si stanno difatti facendo) per ottenere aiuti.
Egli, il Grassi, non entra in cose che non lo riguardano e non si pronunzia circa la utilità o no del prender parte, noi italiani, all’impresa.
Non ha elementi per giudicare né spetta a lui il giudizio.
Come marinaio, come soldato esprime questa opinione:
se si deve andare, si vada con 150 uomini;
il mandare 30 o 40 mila uomini sarebbe un avviarli al macello.
E si ottenga poi — ciò che ci sarà facilmente conceduto — il comando di tutte quante le forze di terra e di mare.
Ma noi ai Dardanelli non possiamo, né dobbiamo andare, né con 40 né con 150 mila uomini, anzi con l’indicare quest’ultimo numero il Grassi esclude implicitamente la possibilità.
18 settembre Consiglio de’Ministri.
Il Ministro del Tesoro chiede di essere ed è autorizzato ad emettere 100 milioni di Buoni del Tesoro quinquennali al 4 % e al prezzo di L. 96,35: più 100 milioni di Buoni ordinari al 4,50 %.
Gocciole nell’Oceano.
A questo proposito, e da queste richieste cogliendone opportunità, il Presidente del Consiglio mette al corrente i colleghi della situazione finanziaria della quale egli a me parlò più volte, manifestando intorno ad essa le più angosciose preoccupazioni:
«Le richieste del Capo di Stato Maggiore sono enormi.
La spesa per le munizioni che era preveduta in un miliardo si eleverà a 2 miliardi e 700 milioni.
Né basta:
il grandissimo consumo delle munizioni logora le artiglierie:
dài, dài, i cannoni scoppiano.
Ne sono scoppiati già 54, un nulla rispetto alla Francia che ne ha già perduti così più di mille.
Insomma, qualcosa si potrà ridurre forse sul programma dello Stato Maggiore, ma le sue richieste conducono a questo:
per arrivare sino alla fine di maggio occorrono 6 miliardi, per arrivare sino alla fine settembre, nove miliardi.
Ho detto qualcosa si può ridurre:
ma il Ministro Daneo che torna dal Campo, e che di queste riduzioni fece cenno a S. M., crede aver capito che il Re non è favorevole al ridurre.
E certo, se d’altro non si avesse a tener conto, si potrebbe osservare che il ridurre le spese può essere un ridurre le probabilità della vittoria.
Ma dove trovare tanto danaro:
Il col. Radcliffe attaché militare inglese ci offre ogni giorno un miliardo, asseverando che Lord Kitchener ce lo farà dare purché... purché noi prendiamo parte all’impresa dei Dardanelli.
Ma oltreché questi inglesi sono gran parolai, e perciò credendo che Kitchener non riuscirebbe affatto a farci dare il miliardo, una parte del miliardo stesso — circa 3/4 se ne andrebbe nella impresa che ci pongono per condizione.
E noi abbiamo bisogno non di uno, ma di più miliardi per continuare la nostra guerra sull’Isonzo e nel Trentino».
Le parole del Presidente sono gravi:
egli dice nettamente di temere che se la guerra dura oltre certi limiti noi ci troviamo nella impossibilità di bene continuarla.
E il non bene continuarla, aggiungo io, è perderla: perché appunto il nemico assale quando è certo della debolezza dell’avversario, e la sicurezza della nostra estenuazione crescerebbe la forza e la tracotanza sua.
Cominciano i brutti giorni.
Comunque un programma di strettissime economie s’impone.
Bisogna che ognuno dei Ministri ne pensi e ne proponga.
E così si delibera.
Il Ministro della Guerra afferma che, sopra la spesa di un miliardo per vestiario, si potranno avere ragguardevoli economie:
altre se ne avranno mandando a casa le truppe durante l’inverno...
Ma più di ogni altra cosa turba in questo momento la condizione della Russia;
non della Russia militare, ma della Russia politica...
Che cosa vi accade:
Lo scioglimento improvviso della Duma da quali cause suggerito o imposto:
Ricordo le parole mandatemi a dire dal Cruppi per mezzo del comandante Grassi.
Si è, pare, domandata la caduta del Presidente del Consiglio Goremykin, odiatissimo, e la formazione di un Ministero che abbia la fiducia del paese...
Tutto ciò mi ricorda il Gabinetto Palikao, la chiamata di Trochu dopo le sconfitte francesi del 1870...
Speriamo che cosi non sia.
Guai se si preparasse colà un ’89 che non avrebbe i soldati del ’92.
Guai per tutti:
Speriamo che cosi non sia.
E speriamo anche ch’io non perda la pazienza e non dia in iscatti col Ministro Grippo che mi viene sommessamente a dire:
«Se non avevamo danari bisognava non fare la guerra:».
19 settembre Brutte notizie da ogni parte, fuor che dal Campo dove l’eroismo, eroismo vero dei nostri soldati continua serenamente a far le sue prove.
Ma della Russia poco si sa e quel poco lascia supporre che le condizioni interne vi sieno tutt’altro che buone.
Han persuaso l’Imperatore ad andare al fronte per toglierlo all’influenza della moglie pazza, isterica e germanofila: influenza facile a esercitarsi con un uomo per il quale l’ultimo che parla ha ragione.
Lo scioglimento della Duma, soddisfazione data dallo Zar al Goremykin odiatissimo dai membri della Duma stessa e dalla maggior parte delle persone di qualche notorietà e autorità, può avere funestissime conseguenze.
Intanto la ribellione musulmana si estende.
In Tunisia scontri di ribelli con le truppe che hanno avuto cinquanta morti.
Nel Sudan ecco quanto avviene.
E tutto questo mi angoscia meno di alcune parole dettemi dal Ministro della Guerra, presente il Ministro delle Poste, mentre stamani attendevamo di essere ricevuti dal Luogotenente per la firma dei decreti.
Dopo aver accennato al contegno veramente un po’troppo dispotico del Capo di Stato Maggiore, alle sue incessanti richieste, al suo non intender ragione circa le possibilità finanziarie, il gen.
Zupelli ha conchiuso:
«Io non veggo via d’uscita:
o per dir meglio ne veggo due:
o la disfatta o il fallimento;
o dichiarare che non possiamo da maggio in poi seguitare la guerra o bruciare il gran libro e non pagare gli interessi del debito pubblico».
Il col. Radcliffe assevera che danari ci sarebbero forniti dall’Inghilterra anche se non prendessimo parte all’impresa dei Dardanelli: basterebbe mandassimo 10 uomini a Rodi.
Ma Sonnino non vuol saperne e sacramenta che la proposta è fatta in mala fede.
Là ci attaccherebbero i turchi in forze maggiori: e la sicura sconfitta ci trascinerebbe a vendicarla andando appunto anche noi ai Dardanelli.
Questo è ciò che l’Inghilterra vuole, e per condurci a questo tenta ogni anche subdolo mezzo.
La Francia invece, e più che la Francia Barrère, insiste dal canto suo perché dichiariamo la guerra alla Germania.
Noi non faremo né l’una cosa né l’altra.
Non possiamo, non dobbiamo.
Basti considerare che le condizioni generali non sono più quelle purtroppo che erano al tempo nel quale prendemmo impegni con gli alleati.
Nel Consiglio dei Ministri d’ieri fu stabilito che il Presidente avrebbe scritto al Cadorna dimostrandogli i danni troppo maggiori della scarsa utilità dell’invio degli ascari libici alla frontiera.
Fu altresì convenuto che se proposte di riscatto dei prigionieri mediante danaro ci vengano si accolgano.
Questo come massima:
per il resto spetta a me il provvedere.
Lettere fioccano da ogni parte nelle quali amici sicuri avvertono che il Governo va perdendo di autorità, tacciato di fiacchezza e quasi di indifferenza innanzi alle macchinazioni degli ex-neutralisti e della masnada giolittiana.
Ne parlerò al Presidente.
L’associazione nazionalistica accompagna con la presente lettera una sua grave relazione sul contegno delle autorità militari di Napoli.
Scrivo al gen. Lamberti comandante la Divisione di Napoli affinché verifichi e se, come io credo, i fatti son veri provveda, punisca di santa ragione.
20 settembre Torna da me la Frida Ricci, ultimo cognome adottato che è poi quello di sua madre da ragazza.
Venne già il 13 di maggio a chiedermi ch’io impedissi la guerra;
v’era stata prima a pregarmi di dirigere un gran giornale — quando cessassi dalle funzioni di Ministro — giornale da pubblicarsi a Roma a spese dell’ex-Khedive.
[... ] Lontanissima parente non posso non riceverla:
e del resto, nulla concedendo, qualcosa si raccapezza sempre discorrendo con lei intorno a quanto si fa dal deposto viceré d’Egitto e dai suoi.
Oggi dunque è venuta da me a nome dello stesso ex viceré;
e mi ha letto un foglio scritto da lei sotto dettatura di Sua Altezza che si trova ora a Losanna.
Il sunto di quello scritto eccolo:
S. A. ha ricevuto recentemente lettera dall’Imperatore Guglielmo nella quale lo consiglia a ristabilire buone relazioni con l’Italia, alla quale egli, l’Imperatore, dovrà fare quanto prima comunicazioni.
S. A. che all’Italia fu sempre devoto fa sapere al Ministro delle Colonie che se la pace col Senusso non fu fatta quand’egli, il Khedive, la propugnava e la tentò con missioni mandate a sue spese, ciò fu per colpa del Banco di Roma e del suo presidente Pacelli il quale avvertì il Senusso di non conchiuder nulla col Governo italiano sino a che questo non abbia rimborsato al Banco di Roma i milioni (40) dei quali gli è debitore per le spese fatte in Libia e dal Governo stesso ordinate.
I documenti che ciò provano saranno messi a disposizione della persona di fiducia che il Governo italiano (o il Ministro delle Colonie) manderà a Losanna a prenderli.
Sua Altezza preferirebbe che questa persona fosse il comm. Nani Mocenigo consigliere di Ambasciata, ch’egli ha conosciuto a Costantinopoli.
S. A. fa sapere che le truppe tedesche occuperanno quanto prima Odessa per finirla con la Russia: che una nuova spedizione sarà fatta dagli eserciti turco-tedeschi contro l’Egitto, spedizione che sarà comandata da S. A. il Duca di Mecklemburgo.
Sto a sentire:
rispondo che nulla di ciò può interessare il Governo:
in ogni caso non può essere il solo Ministro delle Colonie a decidere.
Ma perché se il Khedive vuol darci quei documenti non manda qualcuno a consegnarceli:
Telegramma del pro-Sindaco a S. M. il Re Nel giorno anniversario della sua redenzione Roma volge il pensiero affettuoso e devoto a Voi, Maestà, che, Re e Soldato, raccoglieste la spada del Vostro grande Avo per le supreme rivendicazioni nazionali.
Roma saluta l’assertore dei sacri diritti della Patria, e a Voi si stringe fidente per il compimento dei suoi gloriosi destini.
pro-Sindaco: Appolloni
Risposta di S. M. il Re al pro-Sindaco
Il saluto che nella solennità di un giorno memorabile Roma mi manda giunge sommamente grato al mio cuore.
Lo ricambio da queste terre dove impera tuttora il ricordo della gloria di Roma e dove le virtù militari e civili dei nostri confermano la fede nel trionfo delle aspirazioni nazionali.
Vittorio Emanuele
Naturalmente a me poco importa che il Re non abbia accolto integralmente il testo da me proposto:
ma che significano «le virtù civili» sul fronte:
In quelle «virtù civili e militari» naufraga il valore dell’esercito che doveva essere il fulcro, il centro della risposta.
E perché togliere le parole che concernevano la sua «vita di re e di soldato»:
Desiderio di nascondersi, come sempre.
Inopportuno oggi, tanto più che a lui e all’opera sua di re e di soldato era fatto cenno nel telegramma del pro-Sindaco.
E raccomando poi quel «dei nostri».
Nostri chi:
21 settembre Le cospirazioni neutro-pacifiste-giolittiste si estendono e si intensificano intanto che gli organi del giolittismo predicano la concordia.
Savissima la risposta del Messaggero alla Stampa.
22 settembre Incontro Tittoni, venuto qui da Parigi per pochi giorni, e per suo comodo, in casa di mia cognata Venosa.
Parla assai liberamente, in presenza di due donne che non sono obbligate al segreto, della politica del Governo;
lo rimprovera di non avere sin da principio pattuito l’ingresso simultaneo della Rumenia nel conflitto;
di aver dichiarato la guerra alla Turchia senza volontà di farla, anzi con la recisa volontà di non farla — ciò che è stato assai biasimato in Europa;
finalmente, se la guerra alla Turchia doveva essere dichiarata per compiacere all’Inghilterra, si doveva dall’Inghilterra stessa ottenere contegno diverso da quello ch’essa tenne e tiene verso il Senusso.
Non tutte queste censure sono a mio avviso prive di ragionevolezza:
questa ultima certamente è giusta e, il giorno nel quale si conoscesse la condotta dell’Inghilterra rispetto alla Libia, le simpatie degli italiani scemerebbero di molto.
Ecco qua le ultime notizie:
Telegramma in arrivo da Bacos Ramleh del 21 — 9 — 1915 2429 — Secondo Omar molti giorni or sono un accordo e intervenuto fra Generale Maxwell e Senussi circa noto incidente per cattura da parte nave da guerra francese di lettere e importante somma a bordo veliero proveniente Agram.
Generale Maxwell per evitare che danaro potesse favorire attacco contro frontiera egiziana si dichiarò disposto rimborsare somma al Senussi in natura (mercanzie, viveri).
Il Senussi accettò.
Inviato Ahmed Abdia spedì decorsa settimana viveri stoffe pel valore circa centomila franchi e continuerà fare tali invii per espressa autorizzazione autorità britanniche fino a concorrenza somma sequestrata da nave francese.
Valminuta
Ma le censure dell’illustre ambasciatore non si fermano a Sonnino;
ce n’è per altri e particolarmente per Luzzatti il quale, nel convegno italo-francese di Cernobbio, non s’è limitato a discorrere di argomenti economici ma ha abbordato anche i politici, ciò che ha dispiaciuto agli stessi francesi che non avendo alcuna veste ufficiale volevano assolutamente guardarsi dall’apparire missi dominici di Viviani o di Delcassé.
Ma, dice Tittoni, il Luzzatti non può stare senza far parlare di sé:
e ha inventato il convegno di Cernobbio — che non darà alcun utile effetto — unicamente perché, nonostante il fragore delle artiglierie, il suo nome suonasse alle orecchie italiane e francesi.
Quanto alle francesi il calcolo fu sbagliato, perché nessun giornale si occupò del convegno.
Questo dice Tittoni:
si potrebbe osservargli ch’egli ha lo stesso difetto di Luzzatti [... ]
Anche lui il Tittoni, da tre giorni polemizza ne’giornali italiani contro la Wiener Korrespondenz a proposito di atti da lui compiuti e non compiuti ecc.
Contegno non dicevole ad un ambasciatore il quale non può né deve pubblicamente fare se non ciò che gli è prescritto o consentito dal suo Governo [... ]
Ancora del Consiglio dei Ministri del giorno 18.
Vi fu rinnovata la deliberazione che truppe di colore non si mandino alla frontiera.
I libici attualmente in Sicilia ritorneranno a Tripoli entro novembre.
Vi nominammo presidente della Cassazione di Roma il Mortara;
nomina che fu e sarà oggetto di molta discussione.
Il sen. Garofalo va Procuratore generale alla Corte di Cassazione di Torino.
[... ] 23 settembre La Bulgaria mobilita e minaccia la Serbia.
Che farà la Grecia:
manterrà i propri impegni con la Serbia:
Sonnino dice che no.
I Balcani divengono probabilmente il principale teatro della guerra.
Parlo a Salandra di quanto mi disse la F. R. [ Frida Ricci ] e che era già noto a Sonnino poiché anche alla Consulta per mezzo del Brunicardi si fecero aperture, accolte naturalmente da molta freddezza.
Si conviene di non far nulla:
se il Khedive ha documenti che gli prema di mostrarci ce li manderà.
Espongo quanto mi viene scritto da amici sicuri o da persone autorevoli e da ogni parte d’Italia, che cioè il Ministero perde di autorità e di simpatia per il suo laisser aller.
Tutti dicono che gli ex neutralisti han rialzato la testa e parlano e sparlano, e spargono allarme:
e ci sono sino generali, richiamati a prestar servizio, che si permettono di condannare la politica del Governo e, inter pocula, anche i piani dello Stato Maggiore.
Leggo a Salandra la lettera dell’Orsi direttore della Gazzetta del Popolo di Torino.
Spero di aver persuaso l’amico Presidente che bisogna dar qualche esempio.
Né forse egli era alieno dal farlo;
ma, retto d’animo e caldo di patriottismo com’è, teme di nuocere a quella concordia che è veramente il suo desiderio più vivo.
Ma purtroppo la concordia non c’è.
Ecco qui il Bianco.
Viene anche lui a dolersi della flemmatica tolleranza nostra.
Egli dice che già il piano de’neutro-giolittiani è fatto.
Già spargono notizie di scissure, di dissidi fra i membri del Gabinetto, intenti a provocarle.
Si tratterebbe di condurre a una crisi.
Dovrebbero uscire Sonnino e Martini ed essere rispettivamente surrogati da Tittoni e Garroni.
Io ho un bel dirgli che tutto ciò è fantastico.
Egli osserva che bastano queste voci, anche se assurde, a dimostrare la necessità di un’azione del Governo più risoluta.
Pochi esempi saran sufficienti a metter giudizio a chi non l’ha.
24 settembre Dal principio della guerra a tutto il 15 settembre, secondo dati forniti all’amico Mosca dal direttore generale delle Ferrovie, queste trasportarono: Feriti 104.000 — Malati 42.000 — Prigionieri austriaci 19.400.
Trasportarono dalle varie parti d’Italia alla frontiera 1.200.000 soldati.
(Nelle province venete era già buon nerbo di truppe che occorre aggiungere a questa cifra).
Il barone Aliotti è certamente un uomo di molto ingegno e sotto questo aspetto uno dei nostri migliori diplomatici.
Quanto egli mi dice delle condizioni dei Balcani e della Russia, paesi ch’egli conosce a fondo, mi interessa grandemente soprattutto per l’acutezza delle osservazioni sue.
«Se i greci e i serbi non hanno fatto quanto disegnavano di fare in Albania» egli mi dice «ciò si deve alla fermezza e franchezza rude con cui a serbi e greci ha parlato l’on. Sonnino.»
Dei greci l’Aliotti consiglia di non fidarsi:
«Più il greco vi accarezza e più è da temere.
Del resto noi in Grecia siamo odiati e tutto quanto i greci possono fare a nostro danno lo fanno.
Non dico del contrabbando perché è il loro mestiere:
ma a Corfù nell’Achilleion rafforzano, rattoppano i sottomarini austriaci.
La Marina lo sa, poiché a me, dopo averne acquistata la certezza, lo ha detto l’ammiraglio Presbitero».
25 settembre Consiglio de’Ministri.
Il Presidente, annunzia le dimissioni del Ministro della Marina.
Da più di un mese era afono, tanto che le relazioni sui decreti che presentava al Consiglio erano lette dal collega Cavasola.
Dové andare a Genova dove ha subito l’operazione per l’estrazione di un polipo.
Ciò non gli permette per una ventina di giorni ancora di attendere alla direzione del suo Ministero, perciò si dimette.
Il Re ha accettato queste dimissioni con decreto d’ieri ed ha incaricato il Presidente dell’interim della Marina
Tutto questo è vero;
e le dimissioni mi furono annunziate da Salandra sin da ieri l’altro.
La malattia non è un pretesto ma, secondo me, è un’occasione non sgradita.
Il Viale è un ottimo uomo, ma debole:
e la Marina ha bisogno di un uomo rigido e risoluto, dati i contrasti continui fra il Duca degli Abruzzi e il Capo di Stato Maggiore, tutti due per giunta in contrasto finora col Ministro stesso.
Il Ministro degli Esteri dà conto della situazione balcanica.
Si adopera a persuadere Francia e Inghilterra che, mettendosi d’accordo con la Grecia, mandino truppe a sbarrare il cammino agli austro-tedeschi che mirano a Costantinopoli.
Quanto all’Italia, non è senza pericolo l’unirsi con gli alleati in questa impresa;
si può esser presi nell’ingranaggio, e dopo aver mandato 150.000 uomini, essere costretti a mandarne mezzo milione.
A ogni modo inglesi e francesi sono più vicini di noi al teatro di operazione.
Tutto ciò è giusto:
ma è altrettanto vero che se gli austro-tedeschi riescono ad andare a Costantinopoli, la guerra è per gran parte vinta da loro:
e la rivincita degli alleati diventa molto dubbiosa.
Nulla si decide:
ne sarà riparlato in Consiglio;
può anche darsi che la Bulgaria rimanga in neutralità armata...
Tutto può darsi, quando si tratta di Balcani.
Il colloquio di Re Ferdinando con i membri dell’opposizione, di così terribile drammaticità, fu creduto un’invenzione.
È vero, invece.
Ne dà notizia il nostro ministro a Sofia.
Nel rispondere al deputato agrario che avvertì il Re la sua politica potergli costare la testa, il Re rispose esattamente così:
«La mia testa è bianca oramai;
pensate alla vostra che è nera».
Non ha ancora finito di parlare Barzilai a Napoli che subito si chiedono discorsi in altre città d’Italia.
Dicono che Orlando invitato abbia promesso di parlare a Palermo.
Il sindaco di Firenze mi tormenta per strappare da me la promessa di un discorso in Palazzo Vecchio …
Ma che bisogno c’è di discorsi:
Non ha parlato il Governo due volte, a Roma e a Napoli:
Non basta:
O vogliamo fare la gara d’eloquenza fra i membri del Gabinetto:
27 settembre Si comincia a diffidare di coloro che hanno per così dire in mano le nostre sorti...
Brutti indizi...
Riservatissima Udine, lì 22 settembre 1915 Caro Ferdinando, sono qui da tre giorni per vedere i miei figli, se mi sarà possibile.
Ho parlato con molti ufficiali superiori e inferiori, ho avuto anche una piacevolissima conversazione con Ojetti.
Vi è sempre molto entusiasmo, i nostri soldati continuano a compiere prodigi di valore, la sanità militare ha meravigliosamente debellato il colera;
ma mancano le munizioni e i cannoni.
Il nuovo Sottosegretario Dall’Olio [ sic ] non è forse all’altezza della sua posizione.
Non voglio credere a quello che si dice di lui anche da generali.
Ma perché non fanno una commissione dei nostri grandi industriali e li incaricano di affrettare e aumentare la fabbricazione delle munizioni e la costruzione dei cannoni:
Ci vogliono quelli che hanno vissuto in mezzo alle officine come i Breda, gli Odero, i Raggio, gli Orlando, i Tosi ecc. ecc. e non i Professori, sia pure bravissimi, come l’on. Ancona o i capi divisione dei Ministeri della Guerra e Marina.
Per carità pensateci, non lasciamo andare nel vuoto tutto il valore e l’eroismo dei nostri soldati.
Imposterò questa mia appena arriverò a Firenze per essere sicuro che non venga aperta dalla censura militare.
Ti prego, ti scongiuro, parla col Presidente del Consiglio, col Ministro della Guerra e agite energicamente.
Con tanti cordiali saluti.
Tuo aff.mo amico Silvio Pellerano
28 settembre Ahimè: un’altra sciagura colpisce la nostra Armata.
Sarà disgrazia o perfidia:
Bene ha fatto Salandra a incaricare il Duca degli Abruzzi di una inchiesta rigorosissima:
e ad affermare sin da ora che se colpevoli — e sia pure di negligenza — essi saranno irremissibilmente puniti.
Sto poco bene e non ho veduto perciò Salandra dopo il mio ritorno da Monsummano, né so chi sarà il nuovo collega preposto alla Marina.
Si parla degli ammiragli Corsi e Cutinelli:
buoni ambedue:
ma gioverà toglierli dai comandi delle navi, della squadra:
I nostri buoni alleati — gl’inglesi — si sdegnano perché riusciamo a conoscere le loro furfanterie.
Che gente:
Telegramma in arrivo da Alessandria del 28 — 9 — 1915 2505 — Segreto — Generale Maxwell truppe britanniche si è ripetutamente lamentato con Mohamed Idrissi che quest’Agenzia Diplomatica sia minutamente informata rapporti esistenti tra Inghilterra e Senusso.
Ciò risulta al Generale Maxwell da frequenti comunicazioni che gli pervengono da Ambasciata Inghilterra a Roma.
Valminuta 29 settembre Per l’incendio della Santa Barbara della Brin sono morti 21 ufficiali e non si sa ancora precisamente quanti, ma più centinaia, di uomini dell’equipaggio.
Si cerca, ancora si indaga per conoscere le cause.
Il peggio sarebbe che lo scoppio fosse cagionato dalla qualità della balistite come avvenne per l’Jena e l’altra corazzata francese tempo fa.
Salandra mi fa sapere che l’ammiraglio Corsi è nominato Ministro della Marina.
Non ha detto nulla ai colleghi, collegialmente convocati, stante l’urgenza del provvedimento.
Il decreto di nomina sarà firmato domani da S. M.
Il Corsi fu designato da quanti il Salandra interrogò — a cominciare dal Duca degli Abruzzi.
30 settembre Orlando ha veramente promesso di parlare a Palermo.
Salandra lo accompagnerà.
Male.
Si perde di serietà.
Ne ho parlato a Sonnino che m’ha detto di essere rimasto meravigliato del telegramma annunziante il discorso del collega a Palermo.
Avvertirò il sindaco di Firenze che per mia parte io non intendo affatto di seguire l’esempio, salvo che, scorsi più mesi, non vi sia opportuna occasione e nuova materia a discorrere in nome del Governo.
I giornali si rallegrano della crisi bulgara.
Commedia sulla quale è già calato il sipario.
I ministri dimissionari han ritirato le dimissioni.
Non s’è mai parlato a Sofia di un Ministero democratico e russofilo presieduto dal Malinoff;
il Re ha tentato di far entrare il Malinoff nel Gabinetto che è al potere:
ma il Malinoff s’è rifiutato.
Intanto Francia e Inghilterra minacciano:
non si tratta di minacciare ma di agire.
Le parole non valgono:
contro la Bulgaria la Russia non vuole muovere;
e pensando al poi non ha torto di condursi così:
ma le Potenze occidentali debbono agire, sbarcar truppe, occupar Salonicco.
L’ambasciatore russo, d’intesa con i suoi colleghi di Francia e d’Inghilterra, tenta spingere noi a prender parte alla spedizione.
Ma noi non possiamo:
inglesi e francesi possono togliere truppe da Gallipoli, dappoiché l’impresa è sempre quella e sempre mira da un lato o dall’altro a Costantinopoli.
Ma noi togliere dall’Isonzo truppe non possiamo, senza dire che una volta mandati 150 uomini si può essere costretti a mandarne mezzo milione.
Dicono:
mandate 3000 e la bandiera.
No.
O esponete il drappello al massacro in prima linea e si verifica quanto ho detto, cioè la necessità di nuove spedizioni; o lo tenete come un simbolo in sicura retroguardia e ciò offende la dignità dell’esercito e del paese.
1° ottobre Non capisco più nulla.
Salandra non mi parve ieri molto entusiasta del passo fatto da Orlando e della sua promessa di parlare a Palermo.
Ora da una lettera del sindaco di Firenze a me e da un’altra da lui diretta a Salandra e che questi mi comunica, risulta chiaro che il disegno di farmi parlare a Firenze fu primo a vagheggiarlo il Salandra stesso.
Io persisto a credere che questo parlar tutti e dappertutto toglie efficacia anzi che accrescerla alla parola del Governo.
2 ottobre Due anime in pena sono i ministri residenti di Rumenia e Bulgaria:
ambedue assolutamente avversi alla politica dei rispettivi Governi, ambedue interventisti a fianco della Quadruplice.
Il sig. Stancioff è andato perfino a versar lacrime nel seno di Salandra.
Brave persone lui e il Principe Ghika, del resto:
ma non è dato a loro di mutare gli animi dei sovrani tedeschi che l’Europa disattenta ha lasciato insediarsi sopra i troni balcanici.
3 ottobre Lo Stato Maggiore vorrebbe che noi ci unissimo con la Francia e l’Inghilterra e mandassimo anche noi truppe a Salonicco.
Bisogna resistere.
Non possiamo fare tante cose ad un tempo.
Non manchiamo di uomini:
li potremmo trovare in Tripolitania dove per difendere oramai la sola Tripoli il gen. Ameglio seguita a tenere più di 30 uomini e 126 pezzi di artiglieria.
Mancano i danari.
Quando a questo si accenna la gente subito esclama:
«Deve darli l’Inghilterra».
Dalla malattia del semplicismo goffo e ignorante la guerra non ci ha neppur essa per ora guariti.
4 ottobre Una corrente favorevole alla nostra partecipazione nei fatti della Balcania c’è:
Mosca, Morello, altri amici fra ieri ed oggi han manifestata la loro opinione argomentando così:
Se gli anglo-francesi arrivano a Costantinopoli si sarà fatto un gran passo verso la fine della guerra.
Guai per noi se la pace oggi avvenisse, guai per noi rimasti sul Carso e sull’Isonzo dove non abbiamo conquistato che pochi palmi di montagna ecc.
Tutte cose bellissime:
e lo stesso Stato Maggiore ne’giorni scorsi cominciava a fantasticare.
Ma quel che non si può, non si può;
e non si deve iniziare ciò che non si è sicuri di condurre a termine.
5 ottobre Credo che di rado, su quanto si è detto e fatto nel Consiglio dei Ministri, siasi conservato così rigoroso il segreto come da me e dai colleghi.
E i giornali che debbono fingere di saper tutto sono ridotti a inventare e danno le notizie più fantastiche ai loro lettori.
Viene da me il povero Schott, che dopo avere speso danari in pro della buona causa, rischiato la pelle, lavorato tutto l’inverno con lo Stato Maggiore, per fornirgli notizie intorno a Trieste, alla topografia dei dintorni e in genere dell’Istria, s’è veduto sospettato di spionaggio e ci sono volute tutte le insistenze di Ciraolo, di Barzilai e mie perché gli fosse resa giustizia.
Gli ho ricordato il motto del Talleyrand «surtout pas trop de zèle»;
infatti egli cadde in sospetto, perché troppo zelante strafaceva, faceva ciò che a lui non spettava di fare.
E bisogna poi scusare l’autorità militare in ispecie se sta all’erta e se vigila anche su coloro che han fama di caldissimi patrioti.
Barzilai mi racconta di certo Prezioso, acceso patriota, raccomandato come tale e come integerrimo cittadino dal Colajanni.
Gli avevano dato 150 lire da spendersi per avere informazioni ecc. ecc.;
ed egli dava queste informazioni che diceva procacciate con grande dispendio.
Non si sa come, il sospetto cadde anche su di lui:
gli fu fatta una perquisizione e tra l’altro gli si trovarono intatti, legati in un pacchetto, i 150 biglietti da mille che, stando a sentir lui, erano stati in gran parte spesi in preziose autentiche notizie.
6 ottobre (Napoli) Il marchese Garroni è stato messo a disposizione...
Come:
Un ambasciatore il quale, avanti che la guerra scoppiasse, impara dall’ambasciatore di Germania a Costantinopoli che l’Austria si condurrà verso la Serbia in modo da rendere la guerra inevitabile — e ciò sapendo dimentica di dirlo al suo Ministro degli Affari Esteri o volontariamente lo tace — non si manda a fare qualche altro mestiere:
Si colloca a disposizione conservandogli il titolo, il grado, lo stipendio e gli emolumenti:
... Ah: no: queste magnanimità non mi vanno giù...
7 ottobre (Napoli) Morello che vidi prima di partire mi espresse il desiderio di essere ricevuto da Salandra per esporgli i desideri e gli intendimenti di una parte degli amministratori della Banca Commerciale:
i quali vorrebbero romperla con i germanofili o... germani semplicemente che hanno ingerenze nella Banca stessa:
vorrebbero togliere ai Rolandi Ricci e ai Garroni La Tribuna ecc.
Cose complicate nelle quali io non capisco molto.
Ne parlai a Salandra, mi disse che era al corrente di tutto ciò.
Aveva visto il San Martino...
ma la maggioranza del Consiglio l’hanno i germanofili o germani tout court.
8 ottobre (Napoli) Viene da me Spinazzola...
Mi ha l’aria di non aver approvato la condotta del Ministero.
In parte manifesta la sua opposizione, dicendosi dolente del non vederci prender parte allo sbarco a Salonicco...
La verità è che da parecchi si palesa questo pensiero... facile a manifestarsi e a concepirsi da chi non sa come stieno le cose...
Il vero è, credo, che molti vorrebbero vederci andare in Serbia perché impazienti di successi:
perché secondo loro sull’Isonzo non si conclude:
piccole parziali vittoria... ma Gorizia non cade.
9 ottobre Gli austro-tedeschi son già in Serbia:
i bulgari muovono.
Non si è certi che ancora sia avvenuto lo sbarco degli alleati a Salonicco...
A furia di titubanze (se le due parole possono stare insieme) si è perduto un tempo prezioso.
Quel Sir E. Grey appare ora un mediocre uomo...
Giornali francesi e inglesi riconoscono gli errori dell’Intesa.
10 ottobre Napoli è neutralista.
Spinazzola ieri l’altro, nascondendo la sua avversione alla guerra sotto il rammarico apparente dei nostri indugi;
oggi il sen. Minervini e l’ex deputato De Luca:
tutti lasciano intendere, pur forse senza volerlo, che la guerra è stata un errore;
e, peggio, accennano, se non con le loro parole precisamente, alla quasi certezza delle vittorie austro-tedesche.
Questa gente politica che ha vissuto e operato tra questi due poli: Depretis - Giolitti, non val nulla:
non ha per programma che il quietismo lucroso a qualunque costo.
11 ottobre I giornali annunziano la partenza di Salandra per il Quartier Generale.
Quid novi:
perché questa sua gita non fu annunziata da lui nell’ultimo Consiglio:
Forse i Balcani:
Siamo in un terribile bivio.
Andare con gli alleati a Salonicco:
Uomini non mancano:
ma i danari:
E tutte le considerazioni già fatte indurrebbero all’astensione...
Ma e se i tedeschi arrivano a Costantinopoli:
Nonostante tutte le considerazioni ci pentiremo dell’astensione nostra.
Forse il nostro aiuto avrebbe impedito...
Bivio davvero terribile.
E il peggio è che non se ne parla.
12 ottobre (Napoli) Il buon ministro di Bulgaria a Roma parte e mi manda la sua carta di visita.
esso dice lo stato d’animo suo.
Dimitri Stancioff Envoyé Extraordinaire et Ministre Plenipotentiaire de Sa Majesté le Roi des Bulgares Avec ses profonds regrets.
Così lui come il ministro di Rumenia Ghika sono veramente da compiangere:
assolutamente avversi alla politica seguita dai rispettivi Governi e che credono cagione di rovina per la nazione alla quale appartengono.
14 ottobre Saputo che Salandra era tornato gli ho telegrafato così:
Sebbene ancora sofferente sono pronto venire quando sia convocato Consiglio.
Pregherei soltanto riunione avesse luogo ore pomeridiane.
Ho qui dello spirito pubblico una molto triste impressione.
Cordiali saluti.
M.
È l’impressione che mi hanno fatto i discorsi di due senatori Minervini e L., di un ex-deputato De Luca, di un direttore di Museo Spinazzola.
Salandra mi ha risposto:
Roma 14 Auguro rapido miglioramento.
Dovendosi convocare Consiglio avrò cura di avvisarti in tempo e lo fisserò per le ore pomeridiane salvo casi che non prevedo di assoluta urgenza.
Comprendo lo stato d’animo del pubblico nelle presenti circostanze, ma non bisogna attribuire soverchia importanza a quanto ti riferiscono le persone che vedi;
le quali appartenendo naturalmente alle più alte classi sociali ed intellettuali vivono pur troppo negli ambienti moralmente più depressi e meno resistenti ai fastidi, ai dolori, ai disagi che la povera gente sa virilmente sopportare.
Cordiali saluti.
Salandra
No, caro Salandra.
Non si tratta di maggiore o minore tolleranza di fastidi e di disagi;
si tratta di gente che non ha voluto la guerra, perché s’infischia di Trento e di Trieste, dell’Adriatico e della posizione dell’Italia nel mondo.
Interessi materiali, quelli importano:
cause meglio retribuite, stipendi maggiori ecc. ecc.
La politica di Figaro:
«Vengan danari al resto son qua io.»
15 ottobre (Napoli) Salandra mi telegrafa:
È convocato per domani alle ore sedici Consiglio dei Ministri.
Gradirò che tu intervenga.
Cordiali saluti.
Salandra
Si tratta probabilmente di discutere intorno al viluppo balcanico del quale era tempo che si parlasse.
Le dimissioni di Delcassé, la deliberazione della Grecia escludente il casus foederis, tutto ciò merita d’essere considerato prima di prendere noi una risoluzione...
ma soprattutto poi bisogna prenderla.
Il quesito secondo me da porsi deve essere questo:
il nostro intervento a fianco della Francia e dell’Inghilterra, nella misura che ci è consentita dalle nostre condizioni militari può avere efficacia, se non addirittura risolutiva, importante nel conflitto:
Perché, se i dati che ho con indagini abbastanza sicure raccolto, le cose stanno così:
Esercito nemico nei Balcani.
Bulgari tra 250 e 300 mila, turchi 200, austro-tedeschi 350.
Circa insomma 900 uomini, pronti.
A questa massa di uomini la Serbia, la Francia e l’Inghilterra contrapporranno 450 mila uomini di qui a decembre.
A questi 450 noi non potremmo oggi che aggiungere, privandoci di forze che da un momento all’altro possono esserci utili altrove, che 150 uomini.
Dunque 600 contro 900.
E di pronto non ci sono che i 200 serbi...
Sarebbe una follia.
Il Giornale d’Italia ha un proto che deve essere un uomo di spirito.
Riferisce il giornale da un altro giornale bulgaro un articolo che contiene questo periodo:
Noi non volevamo la guerra con la Serbia, esso invece ha già interrotto le relazioni con la Bulgaria, ed io credo che l’oro si avvicini in cui l’ideale nazionale sarà compiuto.
Invece de l’ora il proto ha stampato l’oro.
E trattandosi dei bulgari la sostituzione non poteva essere né più accorta né più arguta.
16 ottobre (Roma) Sono partito da Napoli alle 10 Arrivato a Roma Corsi m’avverte che il Consiglio è rimesso a domani per improvvisa indisposizione del Presidente.
Raccolgo notizie.
L’articolo del Giornale d’Italia nel quale si dimostrava come non convenisse all’Italia partecipare alla spedizione ne’Balcani ha fatta cattiva impressione negli amici del Ministero, il quale si trova ora elogiato per la propria prudenza dagli ex-neutralisti camuffati da patrioti, ma sempre a lui avversi e in agguato per combatterlo.
Chiacchiere molte a Montecitorio.
Voci di crisi.
Sonnino ed io vorremmo andare nei Balcani, Salandra e Barzilai sono di contraria opinione.
Una Agenzia di notizie ha sparsa la notizia che Sonnino è malato di otite:
e subito s’è creduto che in Italia il Ministro degli Esteri imitasse il suo collega di Francia e in una supposta malattia cercasse un pretesto ad andarsene.
S’è poi saputo che si tratta di un epigramma.
Il direttore di quell’agenzia, il comm. Cafiero giolittianissimo, ha inventata la malattia d’orecchi del Ministro degli Affari Esteri per significare che non ascolta nessuno.
Facesia d’preive, direbbero in Piemonte.
Viene a parlarmi il Coppola a nome dell’Idea Nazionale.
Riconosce che l’impresa balcanica ci esporrebbe quasi sicuramente a un insuccesso, e che non ci conviene assottigliare le nostre forze nel Trentino e sull’Isonzo.
Lo sgomenta il pensare che gli austro-turco-tedeschi rafforzatisi e riordinatisi a Costantinopoli potrebbero muover contro l’Egitto più tardi e, se non altro, danneggiare il canale di Suez minacciando l’Inghilterra e separando l’Italia da due delle sue colonie.
Pensa che allora l’Italia potrebbe intervenire ad impedire — verso Alessandretta — l’avanzarsi del nemico.
Mi domanda se il Governo vede di mal occhio che L’Idea Nazionale sostenga questo programma.
Faccia pure;
lasciar credere che qualcosa si farà non è male:
e può anche darsi che occorra di fare.
17 ottobre (Roma) Barzilai ha desiderato parlar meco prima che il Consiglio si riunisse.
Sa dei pettegolezzi di Montecitorio;
crede che sarebbe pazzia il mandar truppe a Salonicco.
Tuttavia lo preoccupano i sospetti degli alleati, la voce diffusa dell’esistenza di una nostra convenzione segreta con la Germania, e il contegno dei democratici che al solito imaginano Dio sa quali tenebrosi complotti e perfide macchinazioni.
Colajanni gli ha scritto andar persuadendosi che si prepara un tradimento simile a quello del 1866 (:) e che Vittorio Emanuele III rifarà quello che allora fece Vittorio Emanuele II.
(Le democrazie sono sempre le stesse, ignoranti e credule, puerilmente sospettose di tranelli e d’inganni.)
Il Secolo e Il Messaggero sono oramai avversari del Ministero e mostrano anche loro di credere a patti segreti ecc. ecc.
Crede che sarebbe opportuno pubblicare, far sapere quali sieno i nostri impegni con la Intesa, e che ci siamo obbligati a non fare pace separata — conformemente all’accordo di Londra da cui sono legate Francia, Russia e Inghilterra.
Mi prega di sostenere questa tesi in Consiglio.
Io non ho difficoltà di appoggiarla, perché sono persuaso anch’io che i sospetti bisogna assolutamente dileguarli, e reputo questo che il Barzilai suggerisce mezzo opportuno.
Poiché altro non possiamo, facciamo questo che non costa nulla e nulla compromette.
Consiglio de’Ministri.
Il Ministro degli Esteri espone la situazione.
La Bulgaria, com’è noto, sospinta dagli austro-tedeschi ha mosso guerra alla Serbia:
questi si propongono a traverso la Serbia giungere a Costantinopoli.
Grecia e Rumenia non si muovono;
la Rumenia dichiara nettamente che non vuole unirsi all’Intesa, perché l’Intesa dispone di forze assolutamente insufficienti.
Noi non siamo in grado, dice, di dare all’Intesa aiuti tali che possano produrre effetti risolutivi.
L’invio di truppe a Salonicco non sarebbe inoltre possibile senza danno delle nostre operazioni sul Carso e Su l’Isonzo.
Conferma le cifre che ho già notato circa le forze rispettive dei belligeranti; superiori di gran lunga quelle degli austro-turco-tedeschi.
Non bisogna esagerare circa gli effetti della occupazione di Costantinopoli.
Gli effetti morali saranno indubbiamente notevoli.
Militarmente la Russia ne soffrirà grandemente:
ma non per questo si deve credere che sarà vinta e finita la guerra.
Se si tratta di affermare la nostra solidarietà con le Potenze dell’Intesa, noi possiamo farlo nel mare, prendendo parte e cooperando al blocco della costa bulgara;
possiamo aiutare la Serbia e l’Intesa per altre vie:
e già il primo di tali mezzi è il fare una sempre maggiore pressione sull’Isonzo, il che impedisce agli austriaci di toglier di là truppe per mandarle nei Balcani.
Ripete che su la Rumenia non è da fare assegnamento alcuno.
Dà lettura di un telegramma nel quale è riferita la risposta del Bratianu all’Inghilterra.
La Rumenia scenderebbe in campo, o vi scenderà, quando si verifichino queste tre condizioni:
1. Che prontamente l’Intesa abbia 500.000 uomini sul fronte — oltre l’esercito serbo,
2. Che la Serbia non sia stata schiacciata.
3.
Che le condizioni militari della Russia non sieno peggiorate.
Quanto alla Grecia essa minaccia di fare qualche cosa a noi sgradita in Albania.
Al quale proposito è anche da notare che Essad Pascià, finora amico nostro sicurissimo, oggi pare per qualche indizio muti condotta e si sia accordato con l’Austria.
Or tornando alla Serbia e agli aiuti da darlesi, valido aiuto sarebbe una nostra spedizione in Albania, che mantenesse aperta una via ai rifornimenti, dato che le comunicazioni ferroviarie le fossero chiuse e interdette dagli eserciti nemici.
Se il caso si verifichi, una spedizione nostra che può esser limitata a 30 uomini non sarebbe un’avventura nuova, ma la continuazione della politica nostra e più particolarmente dei nostri predecessori, poiché l’on. Di San Giuliano fece dell’Albania il fulcro della sua azione internazionale;
e sarebbe opportuna specie se si trattasse di... accompagnare truppe dell’Intesa, della Francia particolarmente.
Barzilai è d’accordo nel considerare follia un invio di truppe a Salonicco.
Vorrebbe si trovasse modo di accertare i democratici, uomini e giornali, che noi non abbiamo patti segreti con la Germania, né faremo paci separate:
vorrebbe insomma fossero noti gl’impegni che abbiamo con le Potenze dell’Intesa.
Il Ministro degli Affari Esteri crede ciò pericoloso:
la nostra solidarietà possiamo mostrarla altrimenti:
i nostri impegni con l’Intesa possiamo farli conoscere... ad aures.
Da una prolungata discussione si giunge a conchiudere che tutti i Ministri rapprovano le dichiarazioni e le proposte del Ministro degli Affari Esteri.
Si autorizza la dichiarazione di guerra alla Bulgaria e la partecipazione al blocco delle coste bulgare.
Si avverte che lo Stato Maggiore Generale sarebbe favorevole a una spedizione a Salonicco.
Si crede necessario fargli osservare che questa non è questione militare ma politica: non quindi di competenza delle autorità militari.
Il Presidente del Consiglio dice di aver ragione di credere che sia prossima la ripresa della nostra offensiva e in tale proporzione e misura da produrre, se coronata da successo, effetti di singolare importanza.
20 ottobre (Napoli) Non bisogna perdersi d’animo:
e queste notizie che vengono dal Campo dimostrano che non si perdono d’animo né lo Stato Maggiore né i nostri impareggiabili soldati.
Ma neanche è possibile liberarsi da gravissime preoccupazioni.
Certa la immobilità della Rumenia:
non punto certo che la Grecia non si volga contro di noi:
poche le forze dell’Intesa in soccorso della Serbia:
dissensi fra i governanti in Francia, dissensi fra i governanti in Inghilterra, dimessosi il Carson, Attorney generale, il capo dei minacciosi dell’Ulster.
Si ha un bel dire che la guerra non si risolverà nei Balcani:
ma chi impedirà agli austro-tedeschi di andare a Costantinopoli:
E quando vi sieno, che cosa sarà da sperare dall’azione militare della Russia:
Nell’ultimo Consiglio dei Ministri accennai alla possibilità che i turchi scendessero a minacciare l’Egitto, a ostruire o comunque danneggiare il canale di Suez:
il che separerebbe l’Italia da due delle sue colonie e minaccerebbe le altre due.
Mi fu risposto esser ciò poco probabile.
Nessuno più di me desidera di ingannarsi:
ma anzi che distogliermi da quel timore mi si confermano le notizie che giungono dalle insistenze turco-tedesche presso il Senusso e delle quali un saggio è in questo telegramma del R. Agente diplomatico al Cairo.
21 ottobre (Napoli) Secondo si annunziò abbiamo ripresa l’offensiva:
ma non ancora sull’Isonzo.
E v’erano ragioni per reputarla imminente anche in quella zona.
Forse l’una prepara e nasconde l’altra...
23 ottobre (Napoli) Da due giorni non veggo anima viva che possa darmi notizie.
Ma fin che dal Campo arrivano queste, di queste mi consolo e mi appago e altre notizie non cerco.
25 ottobre (Napoli) Le notizie della nostra guerra non potrebbero essere migliori.
Della nostra:
ma buone non sono le notizie che vengono dagli altri teatri.
I bulgari hanno occupato Üsküb: e tolta così ogni comunicazione della Serbia con l’Egeo.
In Francia, in Inghilterra disegni o minacce di nuove crisi ministeriali.
Dubbio, e però da temere, il contegno della Grecia.
Si chiacchiera ma non si opera né a Parigi né a Londra.
Nella condotta dell’Inghilterra mi par di scorgere i segni annunziatori dell’inizio della sua decadenza.
È morto il povero Riccardo Pitteri in tre giorni:
L’avevo salutato un mese fa nel partir da Frascati fidente, ansioso nella liberazione della sua Trieste.
E oggi:
Incarico Mosca di rappresentarmi ai funerali.
Intanto gli austriaci bombardano Venezia e distruggono gli affreschi del Tiepolo.
27 ottobre Consiglio de’Ministri.
Il Presidente dà lettura di un telegramma da lui diretto al Capo, di Stato Maggiore, nel desiderio di avere da lui notizie più particolareggiate intorno alle nostre condizioni militari sul fronte, notizie da comunicare ai membri del Gabinetto:
dà lettura in seguito della risposta del generale Cadorna.
Le notizie sono queste.
Il giorno 18 cominciò l’azione intesa al conquisto del campo trincerato di Gorizia, azione oggi sospesa ma che sarà ripresa il giorno 28 cioè domani.
Abbiamo nel medio e basso Isonzo 400 mila uomini (363 battaglioni).
Nostre perdite dal 18 ad oggi 1000 ufficiali dei quali 150 morti: soldati 31 dei quali 3000 morti.
In queste Operazioni abbiamo fatto 5000 prigionieri dei quali 150 ufficiali.
La fanteria austriaca, in gran parte gente di Landsturm, val poco:
la nostra ottima e questa è la nostra sola superiorità:
ma il nemico ci è superiore nelle artiglierie.
Fra Plava e il mare abbiamo 1250 bocche da fuoco delle quali 311 fra medio e grosso calibro.
Le notizie dunque non hanno grande importanza né dicono molto più di quanto già sapevamo.
Ma importante il rapporto del Cadorna è per questo: che egli semina di se e di quando il suo scritto:
«se avrò, quando abbia ecc. ecc.».
In sostanza egli ha l’aria di lagnarsi che non gli si dia tutto quanto egli chiede e di cui reputa aver bisogno.
Il Ministro della Guerra afferma che in fatto di munizioni (che a queste più specialmente si riferiscono i quando ed i se) si è mandato sempre più di quanto era domandato:
l’offerta ha sempre superato la richiesta.
Si è chiesto cinquanta, si è mandato cinquantotto.
Non si vede dunque ragione alle sottintese lagnanze del Capo di Stato Maggiore.
Il Cadorna poi sa quali sieno i mezzi dei quali disponiamo e dovrebbe regolare il suo piano alla stregua delle nostre possibilità.
Unanime è il consenso dei membri del Gabinetto su questo punto Oltre le impossibilità tecniche è da tener conto delle impossibilità finanziarie.
Sonnino osserva che noi spendiamo circa un miliardo al mese e che quindi per arrivare al settembre dell’anno venturo occorrono dieci miliardi.
Oltre non possiamo andare:
non possiamo condurre il paese al fallimento:
il campo dell’azione.
Non possiamo né fallire, né restare a mezzo per difetto di danaro.
Se non può o non vuole, bisognerà cercare chi lo sostituisca.
Salandra ed altri consentono e parlano in questo senso.
La conchiusione di Sonnino è in sostanza approvata da tutti i ministri.
È da tener conto bensì che il Cadorna gode la fiducia dell’esercito e del paese e che la sua remozione avrebbe un effetto morale assai disastroso.
Bisogna dunque tentare ogni mezzo per non giungere a questa estremità:
bisogna che il Cadorna si persuada, e che, intelligentissimo quale egli è, comprenda che il paese ha mezzi tecnici e finanziari non illimitati, e oltre quelli non può andare senza compromettere le sorti stesse della guerra: che il far oggi più di quanto gli è possibile lo condurrebbe domani a dover abbandonare, stremato, l’impresa.
Si discute della riapertura della Camera.
Il Presidente è di parere che debba aprirsi il 1° decembre.
Daneo vorrebbe rimandare l’apertura al giorno 7 per tenerla riunita un minor numero di giorni.
Carcano fa osservare che i bilanci debbono per legge essere presentati entro il 30 novembre e in decembre esser fatta l’esposizione finanziaria.
Non deroghiamo a queste prescrizioni.
E si stabilisce di dar mandato di fiducia a Salandra che determinerà lui in qual giorno debba la Camera convocarsi.
Il Ministro degli Esteri per ultimo espone il timore che la Grecia voglia invadere l’Albania, o che vi sbarchino i francesi per dare aiuto alla Serbia.
Ricorda che l’Albania è stata il fulcro della politica italiana da parecchi anni, e il principale intento dell’azione diplomatica dell’on. Di San Giuliano.
Bisognerà dunque, se uno dei due casi accennati si verifichi, provvedere;
i francesi non giova lasciarli andar soli;
gioverà, invece, accompagnarli.
Prega il Ministro della Guerra e della Marina di studiare la questione.
Il Ministro della Marina crede che l’unica cosa da fare sia di presidiare i tre possibili punti di sbarco: Valona, Durazzo, S. Giovanni di Medua.
Il Ministro della Guerra potrebbe approntare dodici battaglioni che dovrebbero esser tolti dalla Tripolitania.
Io osservo che 35 uomini per tener Tripoli sono evidentemente eccessivi, dappoiché bastarono alla occupazione di tutta la Tripolitania.
Non ho bensì competenza tecnica per ordinare al Governatore di restituire alla madre patria le forze esuberanti.
Chiamerò il gen. Ameglio a Roma e il Ministro della Guerra tratterà con lui.
28 ottobre Il Ministro della Guerra stamani al Quirinale esponeva le proprie dubbiezze circa la bontà del piano di Cadorna.
«Poiché mancano le grosse artiglierie, perché tiene i pezzi da 305 sul Tonale:
Perché tanto sforzo su Plava:
Troppo esteso il fronte.
La strategia napoleonica va oggi abbandonata.
Concentrare i propri sforzi in un punto solo.
Egli, il Cadorna, ha forze sufficienti, ma le disperde.»
29 ottobre Consiglio de’Ministri.
Provvedimenti finanziari.
La guerra ci costa in cifra tonda un miliardo al mese.
Ai quattro miliardi di prestiti fatti e cioè ai 180 milioni di interessi si è provveduto coi recenti balzelli.
Occorrono ancora per andare all’agosto 1916 da 8 a 10 miliardi.
Il saggio dovrà essere del 5 %.
Tasse nuove e almeno 150 milioni d’economie.
30 ottobre Conversazioni.
Con Barrère: Vorrebbe che andassimo anche noi a Salonicco.
L’opinione pubblica in Francia è dubitante circa il nostro contegno.
Perché non dichiariamo la guerra alla Germania:
La solita tiritera.
Censura la politica balcanica della Quadruplice.
Il solo Sonnino, dice, ha veduto giusto.
Se avessero dato retta a lui le cose sarebbero andate altrimenti.
La Russia manderà truppe per modo che la Rumenia si risolva a venire in campo con noi.
La Russia riceve armi dal Giappone;
ha provveduto a poter valersi anche nell’inverno del porto d’Arcangelo, ecc. ecc.
Con Enrico Corradini:
Anche lui vede di mal occhio la nostra astensione.
Non siamo partiti in guerra per Trento e Trieste ma per il dominio dell’Adriatico.
Il paese (ognuno vede il paese, penso, con un occhio solo) vuole la spedizione nei Balcani ecc. ecc.
Con Zupelli:
Un telegramma supplementare di Cadorna accenna a buoni resultati ottenuti a Podgora, il che è importante.
Soggiunge che le nostre grosse riserve sono intatte: circa 160 uomini.
Anch’egli afferma che la Russia novamente armata riprenderà l’offensiva.
Abbiamo anche noi dati fucili al moscovita: 300.
Osserva che se si dovevano dare, sarebbe stato meglio darli prima, e ha ragione.
Ora si è dovuto tardare ancora per mancanza di legname per fare le casse.
Non c’è più legname in Italia:
31 ottobre Il Presidente partito ieri sera per Parma dove si pone la prima pietra di un ospedale, vi è stato accolto lietamente e vi fu festeggiato.
Parma è città di sindacalisti, dove De Ambris imperò.
2 novembre E queste sono davvero eccellenti notizie.
Avanti Savoia:
3 novembre Notizie ottime ancora.
Pur troppo non buone quelle che vengono d’altrove.
Il discorso di Asquith ai Comuni è stato addirittura infelicissimo.
Nessun affidamento di maggiori energie, nessuna chiarezza di propositi.
Seguita lo scambio di telegrammi augurali tra Parigi e Roma.
Quello di Sonnino a Briand molto riservato.
Parafrasi della proposta, la risposta e non altro.
Il celebre letterato deputato Cimati ha mandato alla Camera una interrogazione per sapere come si permetta di offendere in rappresentazioni teatrali uomini benemeriti ecc. ecc.
Si tratta probabilmente di qualche rivista (ma chi la conosce, chi se ne occupa:) nella quale è poco ben trattato quel Giolitti che fece di lui Cimati (incredibile dirlo:) un sottosegretario di Stato.
L’Idea Nazionale coglie l’occasione per ricordare ai giolittiani e al giolittismo il giudizio che di loro si fece dalla stampa nel maggio passato.
Meminisse juvabit.
L’arrivo del Bülow a Lucerna ha dato la stura alle chiacchiere.
Vaticano, Spagna, negoziati per arrivare alla pace ecc. ecc.
Tutto ciò sarà vero:
ma è vero che la principessa di Bülow e Donna Laura Minghetti annunziarono sei mesi fa che avrebbero passato l’ottobre in Svizzera...
4 novembre Il Ministero Zaimis in Grecia è caduto.
Il pubblico, almeno il pubblico italiano, si aspetta che Venizelos ritorni al potere e la Grecia entri in guerra al fianco della Quadruplice.
Illusioni che saran presto sventate.
Dalla Grecia paese e dal suo Re nulla è da aspettare di buono per la Quadruplice e particolarmente per noi.
5 novembre:
Il marchese Salvago che viene dal fronte mi dice che certi protezionismi destano malcontento.
Ufficiali di carriera raccomandati sono finora rimasti tranquilli in pacifici uffici mentre ufficiali di complemento hanno esposto la vita in continui combattimenti.
«Un po’per uno» sarebbe la divisa di questi malcontenti che per spirito di disciplina e amor patrio, non manifestano se non nell’intimità il proprio pensiero.
Salandra ha avuto a Milano accoglienze entusiastiche.
I giornali riferiscono il discorso pronunziato da lui al Caffè Cova in occasione del ricevimento offertogli dall’associazione liberale.
6 novembre Chiacchiere su chiacchiere intorno alla gita di Bülow a Losanna, dove sarebbero già convenuti o converrebbero uomini politici de’paesi combattenti e de’neutrali per trattare la pace.
Stamane il Padre Genocchi affermava che vi sarebbe andato per la Francia il Ribot; e per l’Italia il marchese Pepoli notissimo diplomatico.
Ho osservato che quel Pepoli diplomatico notissimo, non prevedendo che l’opera sua sarebbe stata utile e gradita nel 1915, fece lo sproposito di morire nel 1884:
7 novembre Il Re di Grecia ha nettamente dimostrato di non volere la guerra checché avvenga;
il guaio è che il paese è della stessa opinione.
Salandra ha parlato ancora prima di partire da Milano dove la sua partenza è stata salutata con una dimostrazione ragguardevolissima per numero e per qualità di persone, perché tutti quanti i ceti v’erano rappresentati Dimostrazione di popolo.
Al suo discorso ha risposto il cardinale Ferrari.
A me pare che abbia stonato troppo battendo e ribattendo sulla pace foriera di prosperità ecc.
In altri momenti avrei volentieri accettato l’invito di M.me Barrère oggi no:
ho cercato un pretesto per non andare a Palazzo Farnese.
I francesi cominciano a diventare aggressivi.
Giorni sono incontrai, uscendo dal Flora ove ero stato a vedere M.me Boux, quel signore non so più se si chiami Bernard o Bertrand, che conobbi anni sono al Cairo e ritrovai a Nizza due anni fa.
Voleva che noi andassimo con gli alleati a far la guerra in Serbia:
e poiché io gli rispondevo parole vaghe o non gli rispondevo, a un certo punto mi si rivolse accigliato e:
«Est - ce qu’il s’agirait d’une trahison:»
«Si vous répétez ce mot là» gli risposi «il ne s’agira que de gifles.»
In altre condizioni, dunque, il parlare col gen. Gouraud e con gli altri della missione francese mi sarebbe stato gradito: oggi no.
Bülow finalmente smentisce lui le chiacchiere circa le trattative di pace.
Stamani alla firma ho avuto una molto triste impressione.
Potevo averne una diversa quando il Ministro degli Affari Esteri pronunziava queste parole «Il generale Cadorna si è condotto con una leggerezza inaudita»:
E purtroppo è così.
Il gen. Gouraud, venuto in Italia soi disant per portare al Cadorna le insegne della Legion d’Onore, ha invece un preciso mandato: quello di persuadere l’Italia a partecipare all’impresa dei Balcani.
Ora il gen. Cadorna ha avuto l’imprudenza di dire al Gouraud e di scrivere a Salandra in presenza di lui Gouraud (se non in presenza, d’accordo) che può mettere a disposizione di quell’impresa tre divisioni.
Il Gouraud credeva d’aver ottenuto tutto ottenendo il consenso del Cadorna e s’è trovato male quando il Sonnino gli ha detto che il nostro intervento sarebbe tardivo e però inutile e che ad ogni modo non voleva né poteva dare per ora una risposta che dipendeva da molte cose e intorno alla quale occorreva sapere quale sia l’opinione del Consiglio dei Ministri ecc. ecc.
8 novembre Barrère viene a invitarmi a pranzo per domani sera.
Salandra è invitato e verrà anche lui.
E vi sarà M. Pernot che, reduce dal Quartier Generale francese (è segretario di Joffre), m’ha l’aria d’esser venuto qui a tastare il terreno, per prendere insomma e dare informazioni.
Barrère naturalmente non dimentica di dirmi che:
«L’Italie doit agir, c’est dans son intérêt» ecc. ecc.
La lettera anonima che mi perviene esprime giudizi e desideri che da altri non pochi ho udito esprimere in questi giorni.
Perché bisogna conservare quanto più si può per la statistica degli imbecilli, conserviamo anche questo documento oggi giuntomi per la posta.
Cose da parlarne ora:
9 novembre Un nuovo invito di Barrère non potevo non accettarlo.
Pranzo dunque all’Ambasciata di Francia:
fra i commensali il Presidente del Consiglio, l’ambasciatore di Russia.
Il pranzo è dato en petit comité cioè ci risparmiò le decorazioni.
Ma è dato in sostanza per procurare ad alcuni la conoscenza del gen. Gouraud, l’ex comandante dell’armata dei Dardanelli.
Bella figura d’uomo e di soldato, il gen. Gouraud attrae di primo acchito le simpatie, non ha che 47 anni.
Fu cooperatore del gen. Gallieni al Madagascar, poi al Marocco col Lyautey, e ovunque dette prove del proprio valore.
A Gallipoli, mentre andava a visitare una ambulanza, una granata scoppiò presso di lui con tanta forza da lanciarlo al di là di un muro donde precipitando si fratturò un braccio e le due gambe.
Si dové imbarcarlo:
nel tragitto il braccio minacciò di andare in cancrena sicché convenne amputarlo all’ascella.
Le due gambe furono rimesse, ma non così perfettamente da lasciargliene franco e libero l’uso.
Il generale difatti cammina appoggiato a un bastone e non senza qualche apparente difficoltà.
Dopo pranzo e quando già Salandra se n’era andato, mi chiese di parlare un quarto d’ora con me.
Ecco in sostanza il suo discorso:
Tre quarti dei territori dove ora si combatte sono traversati, circondati da fili di ferro.
Reticolati e trincee.
Malgrado il valore delle truppe francesi e del loro Comandante supremo, esse non riusciranno a spingere oltre il confine i tedeschi, e i tedeschi nonostante tutti i mezzi dei quali dispongono non riusciranno a guadagnare un metro di territorio francese.
Lo stesso avviene, a mio avviso, sulle vostre Alpi e sull’Isonzo.
Voi avrete per le vostre ammirevoli truppe dei successi particolari, nessuna vittoria definitiva.
C’è un solo territorio dove reticolati e trincee non esistano ancora, dove la vittoria può ottenersi piena ed intera: nei Balcani.
I tedeschi oramai hanno esaurito molte delle loro risorse di uomini.
Tenete come sicuro che sul fronte russo il Kaiser ha ridotto le compagnie da 250 a 150 uomini:
il che dimostra quanto io vi ho affermato.
L’Italia ha interessi grandi nei Balcani:
permettete ch’io dica che sarebbe per essa buon consiglio mandare 60 uomini a Salonicco ad unirsi con l’esercito alleato e col serbo.
Lo interrompo per domandargli:
«Quali forze credete che sieno sufficienti per impedire ai tedeschi di giungere a Costantinopoli:».
Risponde:
«Quattrocento mila uomini.
La Francia, l’Inghilterra, la Serbia il cui esercito impediremo così che sia distrutto, se l’Italia concorra nell’impresa, facilmente riuniranno un simile contingente.
Che se l’impresa di Salonicco, per ragioni che io non debbo esaminare, l’Italia non vuole o non può compierla, potrebbe invece mandar truppe in Albania dove ha già occupato Valona:
sarebbe anche questo un mezzo per aiutare la Serbia che si vede chiusa la via dei rifornimenti:
tuttavia una tale spedizione avrebbe carattere particolare, di cosa fatta più specialmente nell’interesse singolo dell’Italia, mentre sarebbe desiderabile un atto che solennemente attestasse la solidarietà dell’Italia con le Potenze alleate.»
Mi tengo naturalmente sulle generali, la cosa deve essere decisa dal Consiglio dei Ministri il quale considererà ecc. ecc.
E la conversazione su questo punto si chiude.
Ma continua circa le sorti della guerra:
e poiché mi scappa detto che la soluzione della guerra sta nel tuer le plus possible d’allemands il generale coglie occasione da questa frase per ricominciare la esposizione della sua tesi con la tentata dimostrazione di un nuovo argomento:
l’intervento dell’Italia diminuirebbe la durata della guerra.
Il generale è entusiasta del Re, un vero soldato, e della Regina che gli ha fatto visitare lo spedale del Quirinale, di cui è rimasto ammirato.
10 novembre Consiglio de’Ministri.
Il Presidente riferisce intorno alla venuta del gen. Gouraud a Roma:
della quale fu pretesto la consegna della Legion d’Onore al Cadorna, ragione il chiedere la nostra partecipazione alla guerra balcanica.
Ai primi di novembre quand’egli, il Presidente, si trovava a Verona il gen. Cadorna gli comunicò una lettera del gen. Joffre capo dell’esercito francese, nella quale si chiedeva appunto la nostra cooperazione.
Nell’accompagnare quella lettera il gen. Cadorna diceva esser disposto a spedire nei Balcani 15 uomini.
Il presidente rispose che avrebbe interrogato il Consiglio dei ministri.
Giunto al Campo il gen. Gouraud una nuova lettera del Cadorna raggiunse Salandra.
In essa non più 15, ma si accennava alla possibilità di mandare 60 soldati a Salonicco.
La seconda risposta del Presidente non fu dissimile dalla prima.
Il Gouraud chiedeva 100 uomini, ma si sarebbe naturalmente appagato dei 60.
Conferma la leggerezza del gen. Cadorna il Presidente, lamentando a questo proposito che non si vegga quale sia il piano del Comandante supremo, lamentando del pari ch’egli non voglia tener conto nello esplicare la propria azione delle necessità o per meglio dire delle impossibilità finanziarie.
Bisogna rendersi conto che il paese ha una potenzialità limitata e un credito limitato:
oltre quei limiti non si può andare:
il pensiero soltanto che possano varcarsi può condurci a rovina.
Il Presidente non deve per ultimo nascondere che dal suo più recente colloquio col Cadorna ebbe l’impressione che in lui fosse men viva la fiducia di conseguire gli effetti, di arrivare agli obiettivi che ci siamo proposti all’aprirsi della campagna.
Tutte queste cose ha voluto che il Consiglio dei Ministri conoscesse.
Il Ministro degli Esteri dirà il resto.
Sonnino crede che qualcosa debba farsi.
O Salonicco o Albania:
ma Salonicco non esclude l’Albania ove abbiamo interessi a noi particolari da tutelare.
In Albania molte cose sono da temere: una insurrezione albanese; un’invasione greca: un abbandono di Essad Pascià amico nostro finora, ma che potrebbe voltar casacca, se vedesse che non facciamo nulla per sostenerlo.
D’altra parte le diffidenze degli alleati perché non dichiariamo la guerra alla Germania dopo averla dichiarata alla Bulgaria, crescono …
Lo interrompo per dire che ieri sera Gouraud sotto il punto di vista della solidarietà si contentava di una azione nostra in Albania.
E Sonnino soggiunse che ciò avvenne probabilmente per le nuove istruzioni mandategli da Parigi.
Briand ha infatti detto a Tittoni che l’Italia dovrebbe andare in Albania.
Qualcosa dunque bisogna fare:
egli crede che l’impresa di Salonicco sia destinata a fare il pendant Con quella dei Dardanelli, perché iniziata tardi e condotta con forze insufficienti.
Orlando.
Sarebbe disposto in astratto a partecipare all’impresa di Salonicco, quando le nostre forze fossero tali da condurre a un resultato definitivo:
ma questo non è da sperare.
Riconosce tuttavia anch’egli la necessità che qualcosa dall’Italia si faccia.
Il Ministro della Guerra si duole che il gen. Cadorna abbia fatto promesse o dichiarazioni che non aveva il diritto di fare, che furono a ogni modo imprudenti:
si duole ch’egli mostri diminuita la sua fiducia nel successo finale.
Non intende quale piano esso abbia.
Tiene ancora truppe nella Valtellina, nel Cadore dove oramai azioni militari di qualche effetto non possono farsi
Abbiamo già de’soldati morti sotto le valanghe.
Pensare a Salonicco è follia:
in Albania non occorrono mezzi tecnici che sarebbe colpa togliere dal nostro fronte.
Preferibile sarebbe di non far nulla nei Balcani, ma se ciò è impossibile operiamo in Albania:
Ciò che sarà anche più facilmente capito dal paese.
Espone il programma della spedizione e della occupazione e presenta uno schizzo a illustrarne i termini.
Barzilai desidera Che a noi si associno sia pure con mille uomini ciascuna la Francia e l’Inghilterra; per modo che, da un lato, abbiano anch’esse una parte di responsabilità nell’impresa e dall’altro con una rappresentanza delle due nazioni sia manifestamente confermata la sincerità della nostra condotta verso gli alleati.
Orlando.
Propone che la nostra azione militare tranne sul Carso, si raccolga entro limiti determinati.
Salandra chiamerà a Roma il Cadorna e gli esporrà le risoluzioni del Consiglio.