L’armistizio: discorso pronunciato alla Camera dei Deputati dall’onorevole Oddino Morgari il 1. luglio 1916 Frase: #36
Autore | Morgari, Oddino |
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Professione Autore | Politico, giornalista |
Editore | Società editrice Avanti |
Luogo | Milano |
Data | 1916 |
Genere Testuale | Discorsi |
Biblioteca | Biblioteca Fondazione Gramsci |
N Pagine Tot | 31 |
N Pagine Pref | |
N Pagine Txt | 31 |
Parti Gold | 1-31 |
Digitalizzato Orig | Sì |
Rilevanza | 2/3 |
Copyright | No |
Contenuto
EspandiDagli Atti Parlamentari togliamo il discorso pronunciato da Oddino Morgari sulla politica estera dell’Italia in difesa del suo ordine del giorno:
«Pro armistizio».
La stampa borghese ha tentato di fare il silenzio intorno a questa forte e coraggiosa manifestazione della opposizione socialista.
Noi rimediamo coi nostri mezzi al sistematico, e del resto naturalissimo, boicottaggio dei nostri avversari.
La tesi del nostro ottimo compagno non può essere accettata integralmente da noi, sia per ciò che si riferisce alle origini ed alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la condotta della guerra e sin anche e sopratutto per quanto ha tratto ai rimedi «democratici» che Oddino Morgari indica come possibili contro la guerra.
Il deputato di Torino — che tanta parte della sua bella attività di rappresentante del proletariato ha spesa utilmente in questi tempi a riannodare le sparse file della Internazionale — ha egli stesso avvertito che in questo suo alto e sereno e nobile discorso ha voluto seguire l’avversario sul suo terreno, discutere coll’interventismo dal suo punto di vista, proporre rimedi che egli crede possibili anche in regime borghese, lasciare al nemico la responsabilità di averli visti e respinti.
Cavaliere sempre, Oddino Morgari, ha voluto essere, come è suo costume, assai benevolo coll’avversario.
Le cose che egli ha detto acquistano per ciò maggior valore.
E i proletari d’Italia leggeranno questo suo discorso, senza dubbio, col più vivo interesse.
L’ARMISTIZIO
L’ordine del giorno che taglia un nodo gordiano
PRESIDENTE.
— Segue l’ordine del giorno dell’onorevole Morgari così concepito:
«La Camera invita il Governo a proporre:
1. L’armistizio;
2. Una conferenza fra le potenze belligeranti e neutrali, la quale cerchi le basi di una pace durevole e della giustizia fra le nazioni non in programmi di vendette politiche, anco se giuste, e di schiacciamenti reciproci probabilmente utopistici e certo produttivi di nuove enormi stragi e di guerre future — ma in un ordinamento giuridico che includa il disarmo, la soppressione della diplomazia segreta, le garanzie costituzionali dove sono incomplete, le autonomie interne se ancora immature le annessioni pacifiche, secondo il voto delle popolazioni interessate e l’arbitrato obbligatorio — come avviamento a quella federazione fra gli Stati dell’Europa o del mondo i cui organi centrali, muniti dei necessari poteri, si sostituiranno al malcerto arbitrato».
Chiedo se sia appoggiato.
(È appoggiato).
Essendo appoggiato, l’onorevole Morgari ha facoltà di svolgerlo.
Il saluto delle armi tra avversari che si stimano
MORGARI.
— Signori.
In quest’aula tutta oscurata «da montanti fantasimi di guerra», secondo l’espressione del Carducci, può presentarsi la pace:
Se si presenta, deve parlare sommessa e flebile o portar alta la voce della rampogna:
In questo tempio sacrato alla dea patria, può parlare un eretico:
In questo luogo dove si pretende difendere con ogni arma gli interessi del popolo italiano, frazione della specie umana, può farsi udire la voce di chi presume di parlare nell’interesse dell’intera specie:
Taluni giornali, nell’annunziare che ero stato delegato, con altri, ad oratore del Gruppo socialista, aggiunsero che sarei stato un oratore blando.
Difatti non sarò aspro nei riguardi delle persone.
Vedo a quel banco, dall’onorevole Boselli, all’onorevole Orlando, all’onorevole Sonnino, all’onorevole Bissolati, ad altri e ad altri, tutte figure personalmente rispettabili di onestuomini e gentiluomini, rispettabili anche politicamente perché la loro fede nel patriottismo, quali essi lo intendono, è sincera.
D’altra parte tutto quello che avviene proviene da antiche cause, è frutto del clima storico in cui viviamo.
E come potrei essere aspro verso di voi, avversari, di fronte al fatto di tanti miei correligionari politici di ogni parte di Europa i quali hanno sposato la causa della guerra:
Quando persino chi parla ebbe negli inizi un momento di esitanza, e pregò un collega che è su questi banchi di tenergli in serbo una camicia rossa:
(Commenti).
Il mio linguaggio dunque non sarà aspro verso le persone;
ma per quanto riguarda le cose io debbo invocare preventivamente molta tolleranza dalla Camera.
Parlo perché credo utile che il Governo non prenda le vacanze con gli orecchi intronati soltanto da clamori ispirati dalla follia omicida che imperversa in Europa.
(Rumori).
Dove si scende a combattere sullo stesso terreno del nemico
Non parto dal punto di vista socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda, ma unilaterale.
La interpretazione materialista della storia, spiega sempre ad un modo il fenomeno della guerra.
Per essa la guerra è sempre il portato degli interessi economici delle classi dirigenti.
Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa manovra del capitalismo.
Vi è del vero in questa tesi, ma non vi è tutta la verità.
A fianco di questo coefficiente della guerra, altri ne esistono, più nobili e confessati.
Vi sono cause ideali, sdegni generosi, fedi sincere, anche superstizioni, orgogli e odî.
Vi sono cause psicologiche, come la ricerca della battaglia in sé, il bisogno estetico della violenza, la prova che si fa dei propri nervi, e la bellezza della sfida al pericolo:
le cause insomma che, secondo la mia diagnosi, hanno fatto dell’alpinista Bissolati un alpino.
(Commenti).
Preferisco seguirvi nel vostro stesso terreno, onorevoli colleghi, così sarò più compreso.
Il deserto intorno a Roma
Noi voteremo contro il Governo perché ha fatto delle dichiarazioni, le quali, a nostro avviso, non sono patriottiche.
Mi spiego:
in quelle dichiarazioni, il nome della patria ricorre frequentemente, ma nel fatto gli interessi di questa vengono sacrificati.
Voi, per esempio, onorevole Raineri, ministro di Agricoltura, nonostante la riconosciuta competenza nella materia della quale il vostro Dicastero si occupa, mancate al vostro còmpito.
Mezza l’Italia è ancora sprovvista di un’agricoltura razionale.
In Sicilia si adopera sempre l’aratro a chiodo.
E venendo a Roma, per assumere il nuovo incarico, onorevole Raineri, guardando dai finestrini a destra ed a sinistra, non vi accorgeste che la capitale del Regno, dopo cinquant’anni, è ancora circondata da un deserto malarico:
(Rumori e commenti prolungati).
Per cui cadete in grave contraddizione, onorevole Raineri, quando, per le ristrettezze del bilancio, che le conseguenze della guerra renderanno maggiori, come ministro di Agricoltura misurate con mano avara i mezzi necessari alla lotta contro la barbarie agricola ancora tanto diffusa in Italia, mentre, quale membro del Governo, consentite che si profondano miliardi per annettere rupi trentine o caverne del Carso.
(Proteste — Rumori).
Non buon patriota e poco accorto agricoltore, onorevole Raineri.
I due patriottismi
E continuando a parlare in gergo agricolo, aggiungerò che, come esistono una coltura estensiva ed una coltura intensiva, così si nota un patriottismo estensivo che, in un discorso del 1909, io chiamai chilometrico, perché consiste nella passione che spinge ad annettere chilometri quadrati di territorio: anche se di sabbia come in Libia, anche se a prezzo di un’orribile guerra, come sul confine orientale.
I partigiani di questa specie di patriottismo ritengono che la patria sia «grande» se è vasta.
Noi siamo partigiani di un patriottismo intensivo che operi all’interno per sradicare le male erbe della miseria, dell’ignoranza, della delinquenza, dello sfruttamento del lavoratore e del cinismo politico ed amministrativo.
Mi ero proposto di passare analogamente in rassegna ogni Dicastero, e di mostrare la contraddizione patente in cui cade ciascun ministro quando da un lato coopera alla guerra e vi profonde sangue e miliardi mentre, dall’altro, è costretto a lesinare i mezzi per i servizi civili intorno a cui si esercita il suo patriottismo specifico.
L’ora però mi costringe a tralasciare questi esempi.
Guerra di difesa e d’offesa
Ma un accenno non so trattenermi dal fare ai ministri dell’Interno e della Giustizia, i quali hanno come loro dovere patriottico di identificare, nel paese, arrestare e giudicare i delinquenti.
Or bene, questi delinquenti arrestati e condannati lo furono per fatti individuali, i cui moventi sono poi quelli delle guerre: o che volessero impadronirsi della cosa altrui pretestando che loro spetta o senza neppure affacciare alcun pretesto, o che avessero ferito od ucciso per orgoglio offeso, amore contrastato, volontà di dominio, vendetta e persino sport.
MARCHESANO.
- O per difesa:
MORGARI.
— In tal caso il delinquente viene assolto.
Ma questo non sarebbe il fatto dell’Italia.
Noi abbiamo aggredito.
(Interruzioni, vivi rumori).
Voci.
— Basta:
Basta:
MORGARI.
— Voi sostenete una tesi germanica.
Intendete dire che se l’Italia ha formalmente aggredito, essa sostanzialmente non ha fatto che difendersi contro una prevista futura aggressione dell’Austria.
Senonché un argomento perfettamente analogo reca appunto la Germania per giustificare le sue dichiarazioni di guerra alla Russia e alla Francia.
(Commenti prolungati).
Come si liberano i fratelli irredenti
Ma di Trento e di Trieste che calcolo fate:
sento obbiettare.
Quali uomini di libertà, noi socialisti non possiamo escludere fra le libertà legittime quella che ha una frazione d’un popolo di stabilire se intende viver sola o rimanere aggregata allo Stato di cui fa parte o passare ad altro Stato.
Quello stesso mezzo del voto che permette ad un popolo di stabilire il suo regime interno, politico, amministrativo, economico, deve valere per il trasporto delle frontiere, o per il passaggio ad un regime di autonomia o di indipendenza.
Noi non possiamo dunque negare agli italiani tuttora separati dalla madre patria di venire nel suo grembo, se lo desiderano.
Noi discutiamo il mezzo...
MARCHESANO. — Con le buone:...
MORGARI.
Coi referendum.
Il mio interruttore probabilmente desidera che il fronte attuale della guerra venga portato fino a raggiungere Trento e Trieste...
MARCHESANO.
Oltre:
Fino ai confini d’Italia:
MORGARI.
— Peggio:...
(Rumori)
Una voce.
Come peggio:
MORGARI.
— Perché sarà più estesa la distruzione.
Il trasporto del fronte fino a Trento, a Trieste e oltre significa questo: che in tutto il territorio interessato non rimarrà un edificio in piedi, un albero che non sia stato bruciato, un ponte che non sia stato fatto saltare (Interruzioni).
COTUGNO.
— Li rifabbricheremo.
MORGARI.
E questo voi chiamate liberare i fratelli irredenti:
Aggiungete i morti, i feriti, gli internati, le donne e i bambini uccisi dallo spavento...
MARCHESANO.
— Non c’è altro mezzo.
(Commenti).
La guerra rimedio peggiore del male
MORGARI.
— Ciò mi richiama alla memoria una similitudine che l’amico Turati rivolgeva ai partigiani di certi metodi estremi negli scioperi, quando diceva che essi ritenevano buon partito incendiare la casa per far cuocere un uovo.
Cattivo partito:
La guerra è un rimedio di gran lunga peggiore del male cui vuol porre riparo.
Trento e Trieste attendano:
Si domandi — e sarebbe facile ottenerlo — un regime autonomo per le frazioni di nazioni che trovansi in questi casi, e si rimandi la soluzione radicale al tempo in cui sarà possibile di ottenerla pacificamente.
(Rumori).
Quanti altri irredenti attendono:...
(Interruzioni).
Attende l’Agro romano la sua redenzione.
Attende il nostro Paese infinite riforme:
Attendono le nostre plebi la giustizia sociale:
Ecco il nostro irredentismo;
ecco i due patriottismi in contrasto.
(Commenti, interruzioni).
Una voce.
— Se i nostri vecchi avessero atteso, l’Italia sarebbe ancora da farsi:
MORGARI.
— Onorevole interruttore, vi è gran differenza fra le guerre e le insurrezioni che fecero l’Italia e questa guerra e le altre che potranno ancora presentarsi.
Le battaglie che fecero l’Italia si proponevano due scopi: l’uno, direi, formale, dell’unità della nazione; l’altro, sostanziale, della libertà politica e civile.
I nemici da abbattere erano due: l’assolutismo e il dominio straniero.
Le guerre presenti ad altro non possono mirare che a far passare un territorio da un regime costituzionale — in cui le energie civili sono libere — ad un altro.
Questo risultato non merita una guerra.
(Vivi rumori, interruzioni).
MARCHESANO.
— I ben pensanti così dicevano anche nel 1859:...
MORGARI.
— Io mi sono spiegato e sono certo che molti colleghi mi hanno perfettamente compreso.
Il mio ordine del giorno, che forse avete letto, vi avrà scandalizzato perché chiede al Governo di proporre un armistizio.
Ciò mi fa sperare che vi risparmierete di scandalizzarvi una seconda volta.
Insisto per un armistizio.
La pace germanica
Ma odo un’obiezione.
L’atroce conflagrazione che devasta l’Europa scoppiò per colpa degli Imperi centrali.
La responsabilità di questa immane guerra è del militarismo germanico.
La potenza militare germanica sta descrivendo la sua parabola discendente.
Proponendo un armistizio in questo punto voi proponete un armistizio germanico.
Io domando alla Camera, al Governo, all’onorevole presidente la facoltà di spiegarmi sopra questo argomento molto delicato.
Qui parliamo in famiglia.
Voci.
— No, no.
(Commenti animati).
MORGARI.
— Io vi dimostrerò che qui parliamo in famiglia.
PRESIDENTE.
— Qui si parla al paese, e per il paese;
non in famiglia:
MORGARI.
— Intendo dire che io esporrò tutte cose notissime ad amici e nemici.
Quanto al loro effetto sulla opinione pubblica italiana, osservo che i giornali non riporteranno che quella parte di esse che loro farà comodo.
Quanto all’Avanti:, provvederà la censura.
E se poi avvenisse che alcuni degli argomenti da me impiegati, d’indole impressionante, fossero conosciuti fuori, non faranno colpo perché si dirà che furon parole di un vile austriacante, o di un melenso utopista, il cui pensiero non conta.
Permettetemi, dunque, che vi parli sincero.
Il momento è grave.
Nessuna parte è sicura di vincere.
(Commenti).
Si obbietta che la Germania vuole la pace, che da lungo lo fa intendere per vie indirette per mezzo di ballons d’essai nei giornali, e attraverso le aperte dichiarazioni, sebbene altezzose dichiarazioni, del cancelliere dell’Impero.
E si conclude che occorre respingere questa pace germanica.
Nessuno è certo di vincere
Prima obiezione.
Ritenete probabile di far mordere la polvere agli Imperi centrali:
Il quarto d’ora, riconosco, è favorevole all’Intesa.
Fu rintuzzata la invasione austriaca.
La Russia, con inaspettato assalto, ottiene un enorme successo militare, fa 200 mila prigionieri austriaci.
I tedeschi continuano a non prendere Verdun.
L’Inghilterra si prepara all’attacco.
La carestia crea tumulti in Germania.
Perfino gli arabi insorgono alla Mecca.
Io mi spiego che il Governo dica:
proviamo, proviamo ancora.
Del resto lo farebbe anche senza il mio consenso.
Ma ricordo l’altalena continua della presente guerra.
In principio sembrò che la fiumana tedesca in poche settimane avrebbe raggiunto Parigi e Mosca.
Poi l’acqua si seccò, e la bilancia passò a pesare dall’altra parte.
I russi invasero la Galizia e si affacciarono alla pianura ungherese.
L’Intesa ringalluzzì.
Intervenne l’Italia.
Nuovo rialzo della fiducia quadruplicista.
Nuovo tracollo della bilancia un po’dopo.
I russi perdono la Polonia e quant’altro.
La Bulgaria interviene.
La Serbia e il Montenegro sono travolti.
L’Albania è invasa dalle truppe austriache, quindi silenzio.
E poi ancora un successo dell’Intesa:
la Francia concentra le sue forze nella Champagne, e spendendo tesori in materiale e centomila vite sposta il fronte nemico di alcuni chilometri, quindi si riposa sei mesi.
La Germania si sveglia, e tenta di prendere Verdun.
Ora la bilancia, ripeto, sembra posare dalla parte dell’Intesa, ma sarà questa la fase definitiva:
Ciascun Governo, in tutti i campi belligeranti proclama la sua fede nella vittoria e la stampa ripete.
Questo dicono in pubblico per tener alto «il morale» della nazione, ma in privato sono inquieti.
Ciò che soltanto è certo
Una sola cosa è certa, signori; questa, che, se la guerra continuerà per un anno ancora, periranno altri tre o altri quattro milioni di uomini che hanno diritto alla vita — tutti, quadruplicisti o teutonici — e che gli Stati belligeranti cadranno nel fallimento.
Un’altra cosa è certa, onorevoli membri della Camera e del Governo, ed è che da questa guerra pulluleranno altre guerre;
se una delle parti — e sia pure la tedesca — sarà vinta.
Essa coverà la sua rivincita.
CAPPA.
— Se ne avrà la forza.
MORGARI.
— Onorevole Cappa, vi abbandono l’Austria, un coacervo di popoli repellenti tra loro, tenuto insieme colla forza.
Se la Germania sarà abbattuta, sarà ridotta nei suoi giusti confini, ma l’onorevole Cappa è troppo buon repubblicano, e perciò amico delle libertà nazionali, per augurare che la razza tedesca scompaia dal numero dei popoli indipendenti.
Una Germania, sebbene ridotta, sussisterà, e questa Germania, ripeto, coverà la sua rivincita.
La coverà vent’anni.
Vedremo riprendere la «corsa agli armamenti», pericoloso crescendo che si concluse in questa guerra.
E poi, che ne sapete delle future combinazioni di Stati:
La Russia e il Giappone, che si scontrarono nel 1905, sono ora alleati.
La Bulgaria e la Serbia battono insieme i turchi, poi nella spartizione del bottino si azzuffano.
La Bulgaria viene privata della parte bulgara della Macedonia, e più tardi si vendica vibrando alla Serbia la pugnalata alla schiena che l’ha ridotta nel nulla.
Signori del Governo, se vincerete, siate vigilanti quando passerete a dividere il bottino:
Quello sarà un momento pericoloso.
Né vincitori né vinti
Senonché il risultato più probabile di questa guerra sarà una pace senza vincitori né vinti, cioè con tutti vinti, con tutti ritirati a curare le proprie profondissime ferite.
Ma sia così o altrimenti, una sola cosa è certa, ripeto, che col protrarre la guerra, infliggerete a tutti i popoli belligeranti nuovi enormi salassi di sangue e di denaro e genererete altre guerre.
Voci.
— Ma conosce un’uscita:
La via d’uscita
MORGARI.
— L’ordine del giorno da me presentato indica questa uscita.
Esso propone un armistizio.
Posiamo le armi — esso dice — abbia sosta il cannone.
Anzitutto, respiriamo, quindi tiriamo le conseguenze da quanto ci è accaduto.
Noi non avevamo supposto che la guerra moderna fosse sì spaventevole.
Se l’avessimo supposto, ce ne saremmo astenuti:
diranno perfino i tedeschi.
Gli avversari tradizionali del militarismo, per ragioni umanitarie o di classe, commenteranno:
vedete quanto noi avevamo ragione:
E i partiti «dell’ordine», aggiungiamo, riconosceranno che quanto meno la guerra è un pessimo affare.
(Interruzioni, commenti).
Sì, noi abbiamo ferma fede che da questa enorme iattura nascerà nei popoli che l’hanno provata — dal cittadino più umile al ministro ed al capo di Stato — la convinzione che la guerra è un ferravecchi da collocarsi nel museo della storia.
Anzi si può affermare che fin d’ora questa constatazione è stata fatta.
Tutti i paesi belligeranti l’hanno fatta.
Ed ecco appunto il mio ordine del giorno, proporre l’armistizio.
Ma perché:
per rendere possibile una conferenza fra le potenze belligeranti e neutrali «la quale cerchi le basi di una pace durevole e della giustizia fra le nazioni — non in vendette politiche, anco se giuste, o in schiacciamenti reciproci probabilmente utopistici e certo produttivi di nuove enormi catastrofi e di guerre future — ma in un ordinamento giuridico che includa il disarmo, la soppressione della diplomazia segreta, le garanzie costituzionali dove sono incomplete, le autonomie interne, se si riconoscono immature le annessioni pacifiche secondo il voto delle popolazioni interessate e l’arbitrato obbligatorio come avviamento a quella federazione degli Stati d’Europa o del mondo i cui organi centrali si sostituiranno al malcerto arbitrato».
Tutti colpevoli
Si obiettano ragioni morali:
colpevole della conflagrazione fu la Germania.
Questa deve essere punita.
Proponendo l’armistizio voi auspicate che il colpevole si sottragga al castigo.
Per la natura degli argomenti che dovrò addurre, rinnovo la mia domanda di tolleranza alla Camera, che per i motivi già detti, considero riunita in Comitato segreto.
(Si ride).
Sì, l’Austria e la Germania hanno dato la prima spinta verso questa catastrofe.
Nessuno può negare questa verità palmare.
L’Austria, il 26 di luglio, dichiara la guerra alla piccola Serbia.
Il 2 agosto la Germania dichiara la guerra alla Russia, il giorno dopo alla Francia, il terzo giorno invade il Belgio.
Gli Imperi centrali hanno dunque voluto e provocato la guerra.
Senonché permettetemi un paragone brutale.
Se per istrada assistete ad una rissa cruenta, il vostro animo insorgerà sdegnato contro quello dei rissanti che estrasse per il primo il coltello omicida;
ma se l’inchiesta constaterà più tardi che tutti i rissanti usavano portare il coltello in tasca, colla segreta intenzione di estrarlo o prima o poi...
MARCHESANO.
— Questo non era vero:...
(Commenti).
MORGARI.
— È pur vero questo, onorevoli colleghi, che in diverso grado tutti hanno torto.
L’egemonia in Europa, prima che i tedeschi, la vollero i francesi di Napoleone III e la vorranno domani i russi.
(Commenti).
Dalla guerra libica alla guerra europea
Gli italiani vogliono l’egemonia nel Levante, che ferisce il diritto di più d’un popolo balcanico.
E proprio ieri un ex-ministro, uomo di molto spirito, conveniva meco che in certo senso l’attuale guerra è una conseguenza dell’impresa libica.
(Rumori).
Rumoreggiate, ma poi udite.
Seguite meco questa catena logica e cronologica.
Eran trent’anni che le grandi potenze, Italia inclusa, tenevano fede ad un trattato che le impegnava a rispettare l’integrità territoriale dell’Impero ottomano.
E non bastarono le stragi di bulgari e di greci, e non bastò che Costantinopoli fosse inondata dal sangue di sessantamila armeni e le provincie asiatiche da quello d’altri trecentomila;
non bastò che il sultano di Turchia si meritasse l’epiteto di sultano rosso, ad indurre le potenze a ritirare la protezione giurata al turco.
Ma un giorno l’Italia dichiara guerra alla Turchia e si prende la Libia.
La Turchia, già dissestata, non ha più armi, né finanze, né prestigio.
Gli staterelli balcanici prendon coraggio, la assaltano e la battono, quindi si battono tra loro per la ripartizione delle spoglie.
La Bulgaria, umiliata, arrota l’arma che pianterà più tardi tra le spalle della Serbia.
Questa, frattanto, imbaldanzita dalle vittorie sui turchi e sui bulgari, inizia un’opera irredentista tra i jugo-slavi dell’Austria-Ungheria, che sbocca nel regicidio di Serajevo, per mano d’un Oberdan bosniaco, morto senza sapere di aver dato fuoco alle polveri che coprivano l’Europa.
Da guerra nasce guerra
Il resto è storia recente.
Ed è difficile distinguere fra guerra di difesa e di offesa.
Tutti i paesi belligeranti spergiurano di aver preso le armi per difendersi.
Alcuni si difendono contro una formale aggressione.
Altri, Germania e Italia, propalano di avere aggredito per prevenire delle aggressioni future.
E da guerra nasce guerra.
Il vincitore abusa, il vinto cova il suo odio.
Bisogna opporsi a tutte quante la guerre.
Tutti hanno colpa, ripeto.
Perciò l’inciso del mio ordine del giorno che sconsiglia dalle vendette politiche anco se giuste.
Di rado sono giuste.
E quando lo sono, la civiltà ripugna dalla vendetta.
Formule vaghe e laconismo sospetto
All’armistizio, alla pace si oppongono anche obiezioni idealiste e programmatiche.
L’onorevole Boselli, per esempio, — sincero e nobile superstite della generazione la quale fece l’Italia — ha enunciato un ben alto programma.
Ha detto che l’Italia si batte per i diritti delle nazioni e per la libertà dell’Europa.
Io non spingerò certo il sarcasmo fino a mostrare di ritenere che dall’altra parte si vantino delle intenzioni analoghe.
No:
La Germania sogna il suo plumbeo sogno pangermanista, e l’Austria comprime nel proprio seno una dozzina di popoli.
Ciò è verissimo, ma la nostra parte è essa candida come un agnello:
Fu domandato ai Governi della Quadruplice di precisare gli obietti della guerra.
Hanno risposto che consistono nella rivendicazione delle libertà nazionali.
Ciò è ben vago, signori.
Noi diffidiamo di questo laconismo delle diplomazie.
Noi non vogliamo una pace germanica, ma, onorevole Boselli, noi ameremmo di udire precisate le condizioni della pace quadruplicista.
Una serie di domande imbarazzanti
Sulla materia io avrei tutta una serie di domande da muovere, tenuto conto che la Camera, nei miei riguardi, è radunata in Comitato segreto.
L’Inghilterra, per esempio.
Avete apprezzato in tutto il suo valore ironico il movimento insurrezionale in Irlanda:
Fu sobillato probabilmente dai tedeschi, ma tale sobillazione non avrebbe trovato terreno favorevole se fosse stata prima accordata agli irlandesi quell’autonomia per ottenere la quale da cento anni combattono.
(Bravo:
Benissimo:
all' Estrema sinistra, commenti).
Soggiungo però che non intendo negare all’Inghilterra il merito di essere un paese liberale, cosa di cui in altri campi ha dato prove innegabili.
La piccola Serbia, che ha preferito di perire per mano della Bulgaria anziché retrocederle la parte bulgara della Macedonia, si è pentita di questa offesa al diritto di nazionalità:
Ma che dirò della Russia, o signori:
Della Russia che non si induce a retrocedere alla Rumania gli ottocentomila rumeni di Bessarabia, malamente carpitile nel 1878:
Della Russia ufficiale, che ha promesso l’autonomia ai polacchi quando non ebbe più polacchi da rendere autonomi che insidia l’autonomia della Finlandia, che nega le libertà allo stesso popolo russo cui ha testè rifiutato il Ministero responsabile:
E poi vorreste che ci sentissimo accesi di entusiasmo per i fini liberatori della guerra della Quadruplice:
SANDRINI.
— E il Belgio:
(Commenti).
Si creano dei nuovi irredentismi
MORGARI.
La stessa Italia è riguardata nei Balcani collo stesso occhio con cui noi riguardiamo la Germania.
il Dodecaneso è popolato di greci;
noi lo strappammo ai turchi, ma non pensiamo di restituirlo alla patria.
Abbiamo garantito l’indipendenza della Albania, ma siamo andati a Valona.
Ed è poi vero che, in caso di vittoria, noi susciteremo due nuovi irredentismi in luogo di quell’uno che avremo soppresso:
È vero che, pretestando diritti storici e necessità strategiche, annetteremo i 150.000 tedeschi dell’Alto Adige e i 700.000 jugo-slavi dell’altra sponda dell’Adriatico:
(Rumori, commenti, conversazioni).
La libertà dell’Adriatico...
Fu la diplomazia italiana l’incubatrice di questa parola d’ordine nei riguardi d’un mare a cui si affacciano cinque nazioni, parola d’ordine ipocrita che sottintende:
via ciascun altro, liberi soltanto noi:
(Rumori, commenti).
Voi preparate altre guerre...
La diplomazia segreta
Il mio ordine del giorno rinnova una antica domanda della democrazia: la soppressione della diplomazia segreta.
La politica estera dovrebbe essere materia trattata, come ogni altra, dai Parlamenti.
Certi oscuri propositi di scannamenti reciproci, certe segrete ingordigie che fanno a pugni coi principi che si conclamano in pubblico non si oserebbero bandire dalla tribuna di un paese civile.
Ed ho finito.
Col mio ordine del giorno si fa invito al Governo di proporre un armistizio non solo per motivi umanitari, ma per dar luogo ad una immediata conferenza internazionale, cui siano chiamate tutte le potenze belligeranti e neutrali a confessare:
tutte mancammo, tutte siamo responsabili in diverso grado, tutte ammettemmo come mezzo a risolvere le differenze tra le nazioni il mezzo delle armi, il mezzo della barbarie.
Si abolisca il giudice in causa propria
Dopo sforzi secolari, la civiltà è pervenuta a sanzionare nei rapporti fra i cittadini o fra gli enti di ogni Stato, il principio che nessuno potrà farsi giustizia con le proprie mani, perché è pessimo giudice il giudice in causa propria.
Invece nei rapporti fra le nazioni, supremo giudice è ancora il coltello.
Occorre estendere a questo campo della vita civile l’istituto del giudice estraneo alle parti.
Occorre rendere obbligatoria la pratica dell’arbitrato.
Si obietta:
mancherebbe la sanzione, il condannato ricuserebbe la sentenza e si appellerebbe alle armi.
Si risponde:
provate.
Già le cinque repubbliche dell’America centrale hanno firmato un trattato su questa base.
Nella convenzione si potrebbe introdurre una clausola in questo senso:
il Governo che rifiuta di sottoporre all’arbitrato una sentenza o si ribella al verdetto, scioglie de jure i cittadini dall’obbligo militare.
(Interruzioni).
Non vi va:
Questo mezzo vi pare rivoluzionario:
Accettate un mezzo legale.
Confederate le patrie, istituite gli Stati Uniti d’Europa.
Quel che bisogna vincere
L’onorevole Cappa un giorno disse:
bisogna vincere;
e l’intera Camera lo applaudì freneticamente, parte seguendolo in ciò che aveva di alto e di programmatico quel suo auspicio e parte pensando che, in fatti, in una guerra... è meglio darle che prenderle.
(Commenti, rumori).
Onorevole Cappa, è vero, bisogna vincere, ma un nemico diverso.
Bisogna vincere la barbarie internazionale, bisogna vincere quella porzione di medio evo che sopravvive nel ventesimo secolo, bisogna vincere la propaganda dell’odio fra i popoli.
(Approvazioni, interruzioni, commenti).
Bisogna vincere quella brutale forma di nazionalismo che ritiene grande la patria se è guerriera e temuta.
Bisogna vincere il nemico che è in noi; l’istinto atavico che porta l’uomo ad opprimere l’uomo.
A questo patto soltanto la vittoria sarà bella.
(Approvazioni all’Estrema sinistra, rumori e commenti prolungati sugli altri settori).