Voci della Grande Guerra

Le scarpe al sole: cronaca di gaie e tristi avventure d’alpini, di muli e di vino Frase: #708

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AutoreMonelli, Paolo
Professione AutoreScrittore, giornalista
EditoreL. Cappelli
LuogoBologna
Data1921
Genere TestualeMemorie
BibliotecaThe University of Connecticut Libraries (Internet Archive)
N Pagine Tot227
N Pagine Pref
N Pagine Txt227
Parti Gold[122-131] [1-121] [132-229]
Digitalizzato Orig
Rilevanza3/3
Copyright

Contenuto

I muli non portano più la posta e il vino, portano cartucce e bombe, il conducente non ha più voglia di fare le quattro chiacchiere, scarica in fretta il suo bagaglio e poi giù di nuovo per la mulattiera battuta dai colpi lunghi che mancano la cima, e non ride Pupo se ridiamo noi vedendolo arrancare laggiù tirandosi dietro a furia il mulo riluttante, preoccupato più della discesa che del bombardamento.

I soldati, addossati alla baracchetta nell’illusione d’averne riparo, seguono con occhi affettuosi i buoni muli, compagni della nostra guerra aspra, solo legame adesso fra noi e il mondo verde e oro della valle imboscata.

Damin racconta che Antelao, ch’era il mulo più brutto del battaglion Feltre, in Libia fu premiato al valore per il suo contegno tranquillo sotto le fucilate, e ottenne doppia razione di biada, e continua a sbafarsi la doppia razione anche adesso che non è più militare perché l’hanno riformato e venduto a un carrettiere di Lamon.

Facchin dice che i muli sanno mettersi sull’attenti — drizzano il muso e levano le orecchie e gli brillano gli occhi e stanno così fermi nella stalla quando vien dentro el major e al piantone di scuderia gli viene l’idea di dar l’attenti.

Commenti allegri e buoni, mentre la carovana a distanza scende balzelloni la mulattiera, conducenti con i cappelli così schiacciati che sembrano conici, penne a bilanciarm, il fregio sull’orecchio, moschetto a tracolla, peli grigi fra la barba piena — e i muli cauti nella discesa, occhiatine di traverso se c’è un po’d’erba da beccare, ma del resto serî e tranquilli come si conviene a bestie che fanno la campagna, arruolate nei registri del Re, che portano nomi di monti e di valli, e che sono la provvidenza di quei poveri alpini lassù che potrebbero ben morire di fame o dovrebbero mollar la cima se non ci fossero loro.

Brave bestie, che non marcan visita la mattina anche se la sussistenza gli cala la razione, che portan saldo sul basto il vino (se non fosse quel mulo che porta il Chianti, che, pare impossibile, cade sempre e rompe sempre un fiasco per ogni cassetta di venticinque:), portano le ghirbe e i viveri, il rotolo spinoso e le munizioni, il cappellano e il ferito, e quando il tenente non vede e la salita è dura tiran su aggrappato alla coda il conducente — e non ragliano, e non calciano che quando proprio ci hanno il vizio, ma allora calciano onestamente e lo dicono prima con una strizzatina d’occhi, e peggio per chi non la capisce;

e vanno indifferenti nella cannonata e nella tormenta, e trovano il sentiero nella notte e nella nebbia, e quando balenano gli shrapnells sulla testa s’addossano alla parete con uno sguardo intelligente e aspettano che il conducente gli dica — arri;