La guerra alla fronte italiana fino all’arresto sulla linea della Piave e del Grappa: 24 maggio 1915-9 novembre 1917 vol. 2 Frase: #613
Autore | Cadorna, Luigi |
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Professione Autore | Militare |
Editore | Treves |
Luogo | Milano |
Data | 1921 |
Genere Testuale | Memorie |
Biblioteca | University of Toronto Library (Internet Archive) |
N Pagine Tot | 272 |
N Pagine Pref | |
N Pagine Txt | 272 |
Parti Gold | [89-118] + [119-193] |
Digitalizzato Orig | Sì |
Rilevanza | 3/3 |
Copyright | No |
Contenuto
EspandiCAPITOLO X.
Caporetto.
— I.
PREDISPOSIZIONI PER FRONTEGGIARE L’ATTACCO AUSTRO-TEDESCO Notizie sul nemico.
— Fin dai primi giorni di settembre voci vaghe dell’offensiva nemica pervenivano al Comando italiano, e furono poi confermate da prigionieri nemici catturati sulla Bainsizza che diedero l’annunzio di una prossima offensiva di due corpi d’armata contro il San Gabriele e contro il Monte Santo.
Verso la metà di settembre altre informazioni pervenute da disertori e prigionieri confermavano la notizia di prossime azioni offensive nemiche da attuarsi tra il 20 e il 25 dello stesso mese.
La chiusura della frontiera svizzera, ordinata il 14 settembre dagli Imperi centrali all’evidente scopo di nascondere i preparativi bellici che stavano compiendo, il concentramento di una divisione bavarese nel Trentino meridionale e il trasferimento di truppe austro-ungariche dal Trentino ad altro settore, confermarono le intenzioni offensive del nemico.
Il 25 settembre il nostro centro di informazioni di Berna partecipava che si parlava seriamente di offensiva austriaca alla fronte italiana in doppia direzione a datare dal 3 ottobre, e si trattava di azione di grande importanza; al quale scopo, si diceva, si stavano effettuando ingenti movimenti di truppe dalla Galizia alla nostra fronte.
Sebbene la situazione generale nemica non risultasse sostanzialmente mutata sulle varie fronti, e sulla nostra non risultassero presenti nuove divisioni nemiche, tuttavia i vari indizi non facevano escludere la possibilità di azioni nemiche, le quali però, data la stagione avanzata, si riteneva non potessero assumere importanza che sulla fronte Giulia.
In seguito ad altre notizie pervenute nei primi giorni di ottobre, l’ufficio informazioni del Comando supremo segnalava il 7 ottobre che, dall’insieme delle notizie raccolte da informatori e prigionieri, dal tono della stampa nemica e da altri indizi, pareva che l’Austria - Ungheria, libera ormai dall’incubo della Russia, ed illusa sullo stato interno dell’Italia, mirasse ad avvicinare con una operazione militare la conclusione della sospirata pace.
Quale fosse l’entità dello sforzo ed il punto della sua principale applicazione era difficile precisare; ma, concludeva l’ufficio:
probabile offensiva sul medio Isonzo allo scopo di riprendere in tutto od in parte l’altopiano di Bainsizza; operazioni locali sul resto della fronte, con carattere diversivo in Trentino.
Concorso germanico molto limitato.
Erano, in complesso, segnalate alla sera del 6 ottobre, e su tutta la fronte, 43 divisioni nemiche (555 batta glioni), delle quali 8 e mezza (106 battaglioni) sulla fronte della 3.a armata e 18 (231 battaglioni) sulla fronte della 2.a armata.
Erano inoltre segnalate nelle retrovie:
il corpo alpino germanico, la 12.a divisione germanica e due divisioni austro-ungariche.
Le notizie sull’offensiva nemica si precisano sempre più e si hanno particolari sulle forze che saranno impiegate nella zona di attacco (Kal sull’altopiano di Bainsizza- Tolmino), sulla raccolta di truppe germaniche tra Bischoflack e Krainburg.
E l’ufficio informazioni, esaminata il 9 ottobre la situazione, esprime il parere che l’ultima decade di ottobre dovesse ritenersi come la data più attendibile per l’inizio dell’offensiva nemica.
Il 10 ottobre l’ufficio informazioni concludeva un suo promemoria dicendo che «gli Imperi centrali avendo preparati i mezzi per una seria e tenace difesa, potevano pensare ad approfittare della situazione per muovere a loro volta ad operazioni offensive, della cui portata non era pel momento possibile avere un concetto esatto».
Il 13 ottobre la situazione delle forze nemiche sulla nostra fronte non era, nel complesso, molto diversa da quella prospettata il 6 ottobre; però, alcune speciali caratteristiche inducevano l’ufficio informazioni alle seguenti conclusioni:
«Se a tutti questi indizi si aggiunge: che al nemico non saranno certamente sfuggiti i movimenti di artiglieria verso le retrovie effettuatisi sulla fronte della nostra 2.a armata, e che non gli sarà rimasto nascosto il movimento di treni carichi di artiglierie franco-inglesi sulle nostre linee ferroviarie diretti al confine francese — che, con ogni probabilità, o da informatori o da disertori, gli saranno giunte voci che da parte nostra non è imminente alcuna azione offensiva — che è radicata in Austria e Germania la convinzione che la situazione politica interna dell’Italia sia estremamente grave, talché un successo militare austro-tedesco potrebbe far scoppiare la rivoluzione avente per obbiettivo una pace separata — che è imminente la riapertura del Parlamento italiano — che con insistenza si ripete che l’offensiva austro-tedesca, dovrebbe iniziarsi tra il 16 ed il 20 corrente, si può concludere che un’azione offensiva nemica da Tolmino al Monte Santo debba considerarsi come molto probabile e prossima».
Le informazioni giunte fino al 16 ottobre, confermano dal più al meno le precedenti.
Mancavano però tutti quegli indizi che potevano indiscutibilmente assicurare l’immediato approssimarsi di una grande operazione, quali l’attività lungo le immediate retrovie, la presenza di nuove batterie in linea, ecc., mentre si notavano, dai nostri aviatori, grandi movimenti sulle retrovie lontane, maggiore affluenza di disertori, attività crescente delle artiglierie già note, impulso notevole per la preparazione di nuovi appostamenti per artiglierie e bombarde, per la mascheratura delle strade, ecc.
Tutto ciò sembra indizio di attiva preparazione di un’azione offensiva, che non avrebbe potuto avere inizio che verso la fine di ottobre.
Discorsi di ufficiali austriaci prigionieri, intercettati al campo di Manzano, confermavano pure l’imminenza dell’offensiva con proporzioni vaste, con la partecipazione dei germanici, da sferrarsi nella regione da Tolmino all’altopiano di Bainsizza, ed anche più a sud.
Il 17 ottobre l’ufficio informazioni segnala il continuo addensarsi delle truppe austro-ungariche sulla estrema sinistra della 2.a armata; dichiarazioni di prigionieri però e l’esame della nostra situazione e delle nostre posizioni nel settore segnalato per l’attacco (Tolmino - Plezzo) portavano a confermare il concetto difensivo e controffensivo, e successivamente offensivo dello schieramento nemico e ad attribuire al nemico l’intendimento di contrastare una eventuale nostra avanzata con azione controffensiva diretta sul fianco sinistro ed a tergo delle nostre truppe operanti sull’altopiano di Bainsizza.
La situazione austriaca al 20 ottobre appariva essere la seguente:
Sulla fronte della 3.° armata — divis. 7 1 /2 (di cui 1 in 2.a linea) — batt. 92 = 2.a armata — 19 — (di cui 6 in 2.a linea) — 246 = Zona Carnia 2 1 / 2.
31 = 4.a armata 5 71 = 1.a armata 7 1 /2, (di cui 2 in 2.a linea) — 90 del III c. a.
2 1/2 32 Totale divisioni 44 battaglioni 562
Si confermavano la maggiore attività nemica verso l’ala settentrionale della fronte Giulia, arrivi di nuove unità sulle retrovie dell’Isonzo e la presenza di nuove divisioni germaniche nella conca di Tolmino.
Lo stesso giorno 20 ottobre un ufficiale czeco presentatosi alle nostre linee del Vodil precisava che l’offensiva si sarebbe sferrata dalla conca di Tolmino.
Egli asseriva che fra il Vodil e la conca di Santa Maria doveva incastrarsi un contingente germanico imprecisato, destinato all’urto contro le nostre linee della piana di Tolmino.
L’azione, rinviata a causa del cattivo tempo, con molta probabilità al 26, doveva svilupparsi con lo sfondamento della linea Dolje e Santa Maria.
Obbiettivo: il Kolovrat.
Ancora piu importanti furono le notizie che si ebbero il 21 ottobre da due ufficiali austriaci di nazionalità romena presentatisi alle nostre linee del Vodil.
Essi affermavano imminente l’offensiva ed avevano portato seco copia dei piani d’attacco contro la posizione del Mrzli e la retrostante linea del Monte Pleka.
Essi davano per certissima l’offensiva da Plezzo al mare, accompagnata probabilmente da azione diversiva sul rimanente della fronte.
L’attacco risolutivo si svolgerebbe nel settore Plezzo - Selo (sud di Santa Lucia) e con maggiore violenza nella piana di Tolmino.
Essi erano molto espliciti nell’indicare l’azione della 50.a divisione (dal Monte Nero al Vodil compreso).
Per il resto riferivano per sentito dire.
Secondo loro l’azione doveva svolgersi così:
Nella conca di Plezzo un corpo d’armata (che non sapevano se germanico od austriaco) agirebbe con obbiettivi che non erano in grado di precisare.
Dal Monte Nero al Vodil la 3.a e la 15.a brigata da montagna opererebbero contro la linea Monte Nero-Pleka- Spika.
Piu a sud la 12.a divisione germanica fino alla piana di Dolje, doveva tentare di risalire l’Isonzo.
Dalle alture di Santa Maria- Santa Lucia e nel resto della piana di Tolmino opererebbe il deutsches Alpenkorps che dicevano composto di tre divisioni.
Piu a sud, e fino all’altopiano dei Lom, opererebbero altre due divisioni germaniche; fra esse affermavano trovarsi la 200.a che avrebbe azione convergente col deutsches Alpenkorps sul Monte leza.
Obbiettivo principale delle azioni concorrenti da Plezzo, da Morte Nero e da Tolmino doveva essere l’occupazione della linea Monte Mia, Matajur -Kolovrat.
Oltre alle forze sopra indicate, altre tre divisioni germaniche avrebbero costituito la riserva d’armata.
I particolari dell’azione dovevano consistere in un tiro di quattro ore con granate a gaz contro le postazioni di artiglieria, ed in un tiro violentissimo di distruzione di 90 minuti, eseguito specialmente con bombarde sulle linee di fanteria; si faceva principale assegnamento sull’opera dei gaz e si parlava di un nuovo gaz che sarebbe già stato usato dai tedeschi a Riga con grandissimo effetto.
— L’offensiva era indicata al 25 - 26 senza escludere che potesse essere anticipata.
Il 22 ottobre il computo della forza nemica era aumentato di 9 divisioni germaniche, che, pur essendo da tempo considerate presenti, non erano ancora state computate nella forza a noi contrapposta, per mancanza di accertamenti.
In complesso si avevano la sera del 22 ottobre tra forze austriache e germaniche:
Sulla fronte della 3.a armata — divisioni 7 1 /2 — battaglioni 92 = 2.a armata 28 n 329 = Zona Carnia - 21 /2 - 33 = 4.a armata 5 73 = 1.a armata 7 1 /2 — 86 del III c. a.
2 1 /2 — 32 Totale divisioni 53 battaglioni 645 Il 23 ottobre si aveva notizia che anche l’Alpenkorps, prima raccolto nel Trentino meridionale, era stato trasferito sulla fronte Giulia e costituiva una delle tre divisioni del III corpo d’armata bavarese dislocato nella conca di Tolmino.
Delle 9 divisioni germaniche segnalate sull’alto Isonzo, erano indicate con certezza la 12.a, la 200a e l’Alpenkorps; con qualche attendibilità la 5.a e la 26.a; per le altre quattro i dati erano incerti.
Ulteriori dichiarazioni di prigionieri facevano poi ritenere sempre più probabile la presenza nelle retrovie dell’altopiano di Bainsizza della 29.a divisione austro - ungarica, e contatti avuti in conca di Plezzo, facevano risultare colà dislocata la 22.a divisione proveniente dal Trentino.
Si aveva così una nuova prova che sulla fronte tridentina il nemico alleggeriva le forze con evidenti intenzioni difensive.
Contemporaneamente, da fonte inglese e dal nostro addetto militare in Romania veniva segnalata la partenza del Comando della 3.a armata austro-ungarica con numerose truppe dalla frontiera romena verso la fronte italiana.
Nel comunicare tale notizia l’ufficio informazioni così concludeva:
«Le voci correnti e gli ammassamenti in corso sulla fronte italiana hanno fatto ritenere la fronte Giulia come probabile teatro di impiego di queste truppe, tanto più che essa è l’unica del teatro occidentale di guerra che offra la possibilità di continuare le operazioni, anche in grande stile, durante gran parte del periodo invernale».
Mi sono molto diffuso nell’esporre la successione di queste notizie, perchè è sul fondamento delle medesime che il Comando supremo ha preso le sue disposizioni per far fronte alla minaccia nemica.
Disposizioni del Comando supremo.
— Dal complesso delle informazioni sopra riferite, si poteva considerare come certo l’attacco nemico nelle conche di Plezzo e di Tolmino, ma non si poteva escludere l’attacco sull’altopiano di Bainsizza, e neppure si poteva escludere che esso si estendesse fino al mare.
Ancora il giorno 21, tre soli giorni prima dell’attacco, i due ufficiali romeni presentatisi alle nostre linee, che furono gli informatori più attendibili, davano per certissima l’offensiva da Plezzo al mare.
Che questa fosse la credenza del Comando supremo lo stesso 24 ottobre lo si desume da una mia lettera del medesimo giorno di retta ai capi di stato maggiore degli eserciti francese ed inglese, nella quale io davo partecipazione della iniziatasi offensiva nemica;
in essa io riferivo che l’offensiva «dovrà svilupparsi sull’intera fronte da Plezzo al mare, con preponderanza di sforzo fra la conca di Plezzo e la testa di ponte di Tolmino entrambe comprese».
D’altra parte, le informazioni pervenute non potevano avere il carattere di certezza assoluta.
La fronte raggiunta sull’altopiano di Bainsizza la si stava fortificando, come pure due linee retrostanti;
ma al 20 ottobre i lavori, di lunga durata perchè in buona parte in terreno roccioso, erano ben lungi dall’avere il necessario grado di consistenza; e però il nemico poteva essere tentato di estendere l’attacco all’altopiano per riconquistare quelle importantissime posizioni.
Sul Carso, di fronte alla 3.a armata, gli austriaci avevano uno schieramento di artiglierie e di fanterie molto denso (92 battaglioni su 14 - 15 chilometri di fronte);
esso poteva essere in brevissimo tempo rafforzato, sia per la ferrovia litoranea e per quella della valle del Vippacco, sia con spostamenti di truppa dalla valle dell’Idria a quella del Vippacco per mezzo delle vie trasversali della valle di Chiapovano e dell’altopiano di Ternova.
Non vi sono che 35 chilometri in linea d’aria dalla valle dell’Idria al centro del Carso ed una ventina alla conca di Gorizia, e non era difficile di nascondere a noi qualche marcia di colonne che si spostassero dall’una all’altra zona, poichè le informazioni risalivano sempre a qualche giorno prima di quello in cui esse pervenivano al Comando supremo.
Anche i nostri precedenti dovevano metterci sull’avviso.
L’attacco della testa di ponte di Gorizia il 6 agosto 1916 riuscì di sorpresa, non solo per il rapido e nascosto trasporto di truppe e di artiglierie dalla fronte tridentina, ma anche perchè l’attenzione del nemico era stata richiamata verso Monfalcone dall’attacco ivi eseguito due giorni prima.
Nel maggio dello stesso anno 1917 l’attacco del Monte Kuk e del Monte Vodice, che ebbe così felice esito, fu preceduto dall’altacco sul Carso.
Lo stesso attacco dell’altopiano di Bainsizza, il 18 agosto 1917, riuscì per sorpresa, come fu dimostrato dalle poche forze che il nemico teneva in quelle importanti posizioni da lui credute inespugnabili.
La nostra stessa esperienza ci sconsigliava dunque dal fare assoluto fondamento sulle informazioni ricevute (le quali, del resto, non escludevano l’estensione dell’attacco fino al mare) e ci persuadevano a prendere dei provvedimenti che ci mettessero in grado di far fronte a qualunque attacco sulla fronte Giulia, pur avendo speciale riguardo alla zona di più probabile attacco.
È facile il dire col senno del poi che non dovevamo attendere l’attacco che dalla regione Plezzo - Tolmino:
ma chi dirige le operazioni deve ragionare col senno del presente, ossia sul fondamento degli elementi reali e possibili che gli son forniti sul nemico dagli informatori e dal proprio raziocinio, il quale ultimo interviene per determinare il valore degli elementi ignoti o mal noti, che nella guerra sono i più numerosi.
È per questo appunto che quella della guerra è la più difficile delle arti.
Il primo provvedimento era quello relativo alla distribuzione delle forze.
Queste dovevano comprendere:
forze in prima linea o ad immediata portata, le quali, in ciascun settore di difesa, in relazione alla forza naturale del terreno ed ai lavori difensivi eseguiti, dove — vano essere sufficienti ad una difesa prolungata (sia pure eseguendo parziali ripiegamenti), di tanto almeno da dar tempo alle riserve d’armata ed a quelle a diretta disposizione del Comando supremo di accorrere in tempo utile per irrobustire la difesa, o per contromanovrare.
La dislocazione delle riserve doveva corrispondere a tale loro compito.
È ovvio che, nella difensiva, il giuoco delle riserve, sul quale si fonda la difesa e la contromanovra, non è possibile, se le truppe di prima linea in ciascun settore non resistono quel tanto che il Comando aveva giudicato necessario e possibile per il tempestivo impiego delle riserve, sia pure indietreggiando parzialmente, secondo i dettami della difesa elastica.
Se ciò non si verifica, allora è la breccia che si apre improvvisa nella linea di difesa, le riserve giungono in ritardo, quando già la prima linea è travolta, ed invece di agire di conserva con essa, sono esposte ad essere battute successivamente dalle truppe nemiche già vittoriose della prima linea.
Molti esempi ci offre la storia militare di truppe for temente impegnate contro nemico assai superiore in forze, che hanno dato tempo, colla loro strenua resistenza, a truppe lontane di accorrere e di vincere la battaglia.
Basti per tutti quello del III corpo prussiano alla battaglia di Vionville (16 agosto 1870) il quale resiste quasi l’intera giornata a gran parte dell’esercito francese finchè il X corpo a sinistra ed il IX a destra entrano in linea a tempo per guadagnare la battaglia.
Era poi recentissimo l’esempio degli stessi austriaci alla battaglia della Bainsizza, i quali, sorpresi su questo altopiano che occupavano con poche forze perchè giudicato inespugnabile, ci costrinsero ad impiegare parecchi giorni per la sua conquista, durante i quali ebbero tempo a condurre altre truppe che rinsaldarono più indietro le loro difese e ci impedirono di giungere al vallone di Chiapovano.
Corrispondeva nel mattino del 24 ottobre la distribuzione delle forze ai concetti ora esposti:
Aveva diritto il Comando supremo di fare assegnamento sopra una vittoriosa resistenza, nella stessa guisa che nelle offensive di quell’anno e del precedente aveva nutrita la più grande fiducia, giustificata poi dal risultato, in una vittoriosa avanzata:
È ciò che andremo ora esaminando.
Ma, prima di parlare delle forze, è necessario che io trascriva l’ordine del 10 ottobre al comandante della 2.a armata, il quale ordine costituisce il documento fondamentale (insieme a quello del 18 settembre già riferito alla fine del capitolo precedente e a quello del 20 ottobre di cui discorrerò in seguito) dell’azione del Comando supremo.
Esso ha per oggetto:
«Offensiva nemica».
«Prendo atto del telegramma n. 577 in data di ieri.
«Concordo con codesto Comando nel ritenere possibile un’offensiva nemica su codesta fronte, e soprattutto nel giudicare necessari ed urgenti tutti i provvedimenti intesi ad adeguatamente fronteggiarla.
«A questo fine bene rispondono le direttive n.
5757 diramate l’8 corrente ai Comandi dipendenti e inviatemi in comunicazione.
Le approvo in massima, e particolarmente richiamo l’attenzione di codesto Comando su alcune questioni di importanza capitale per la condotta della difesa.
«1.° La difesa delle linee avanzate sia affidata a poche forze facendo fondato assegnamento sull’uso delle mitragliatrici, sui tiri di sbarramento e di interdizione delle artiglierie, sull’organizzazione dei fiancheggiamenti.
«Questo concetto deve avere larga ed appropriata applicazione nella zona a nord dell’Avschek, dove la limitata efficienza difensiva delle nostre posizioni consiglia un assai parsimonioso impiego di truppe, pena uno sterile logoramento delle energie della difesa.
Il XXVII corpo dovrà pertanto gravitare colla maggior parte delle sue forze sulla destra dell’Isonzo.
«2.° Perchè qualsiasi evento, compresi quelli più inverosimili non ci colga impreparati, dei medi calibri non rimangano sull’altopiano di Bainsizza che quelli più mobili;
ed anche per questi non si tralasci di predisporre, in dannata ipotesi, mezzi acconci per un tempestivo ripiegamento.
«3.° Durante il tiro di bombardamento nemico, oltre ai tiri sulle località di affluenza e di raccolta di truppe, sulle sedi dei Comandi ed osservatori, ecc., si volga una violentissima contropreparazione nostra.
Si concentri il fuoco dei medi e grossi calibri sulle zone di probabile irruzione delle fanterie, le quali essendo esposte in linee improvvisate, prive o quasi di ricoveri, ad un tormento dei più micidiali, dovranno essere schiacciate sulle trincee di partenza.
Occorre, in una parola, disorganizzare e annientare l’attacco ancora prima che si sferri; disorganizzazione e annientamento che il nostro poderoso schieramento di artiglierie sicuramente consente.
«4.° Il nemico suole lanciare le fanterie dopo brevissima preparazione di fuoco:
si tenga presente questa possibilità, e artiglierie e fanterie siano in ogni istante vigili e pronte a prevenire e a rintuzzare l’attacco.»
Come si vede, quest’ordine attribuiva grande importanza alla contro preparazione.
Si vedrà poi come essa sia stata attuata.
Passiamo ora a discorrere delle forze.
La 2.a armata disponeva in totale, il 24 ottobre di 353 battaglioni (315 di fanteria di linea, 24 di bersaglieri, 14 di alpini) ripartiti in nove corpi d’armata, dei quali sei corpi in prima linea, comprendenti 251 battaglioni, e tre corpi in seconda linea con un totale di 96 battaglioni; inoltre, sei battaglioni si trovavano nella piazza di Gorizia.
Si trovavano in prima linea i seguenti corpi d’armata:
IV corpo - (64 battaglioni), dalla conca di Plezzo, pel Monte Nero, all’Isonzo presso Gabrjie.
XXVII
- (49 battaglioni), a cavallo dell’Isonzo, tra la riva destra del fiume a Gabrjie e Kal sull’altopiano di Bainsizza, con 27 battaglioni sulla riva destra e 22 sulla riva sinistra.
XXIV corpo - (36 battaglioni), da Kal fino ad un chilometro a nord di Podlaka.
II - (42 battaglioni), da un chilometro a nord di Podlaka alla selletta di Dol. VI - (24 battaglioni), dalla selletta di Dol fino ad un chilometro sud-ovest di Grazigna.
VITI - (86 battaglioni), sulla destra del VI corpo fino al Vippacco.
Si trovavano in seconda linea i seguenti corpi d’armata:
VII corpo - (30 battaglioni), nel triangolo Monte Matajur - Monte Kuk- Savogna.
XIV
- (24 battaglioni), con tre brigate sulla sinistra Isonzo tra Descla e Canale ed una brigata sulla destra Isonzo ad est di Claunico.
XXVIII
- (42 battaglioni), tra Cormons, Corno di Rosazza e Buttrio in piano.
Dei 114 battaglioni della riserva generale a disposizione del Comando supremo (dei quali 10 si trovavano ancora nel territorio della 1.a armata), 39 erano collocati nel territorio della 2.a armata, e cioè: 53.a divisione (9 battaglioni), tra Cividale e il Monte Purgessi 10. 13.a (12), tra Cividale e Caporetto.
60.a (12), con una brigata a 8 chilometri a sud di Cividale e una presso Cormons.
Brigata Teramo (6 battaglioni), a San Martino nelle colline del Coglio.
Perciò, in complesso, nel territorio della 2.a armata, comprendendo i 39 battaglioni a disposizione del Comando supremo, vi erano 251 battaglioni in prima linea e 135 costituenti le varie riserve, fortissima proporzione, sommando esse a più di un terzo del totale delle forze.
Gli altri 60 battaglioni della riserva generale si trovavano nel territorio della 3.a armata (composta questa di 92 battaglioni, schierata fra il Vippacco ed il mare) all’incirca nel triangolo Talmasson - Tapogliano - Cervignano.
Queste riserve gravitavano perciò verso il lato nord dello schieramento della 3.a armata, ed erano disposte da est ad ovest su larga fronte, in buone condizioni perciò anche per una rapida marcia verso nordest sulle retrovie della 2.a armata.
Prima di discutere la suindicata ripartizione delle forze, è d’uopo confrontare le nostre forze che si trovavano nella zona che fu poi sfondata con quelle nemiche contrapposte.
Il confronto risulta dal seguente specchio nel quale si sono descritte distintamente per ciascuna delle due parti, le forze direttamente contrapposte nel settore di sfondamento, le forze ad immediata portata tattica del campo di battaglia e le riserve in grado di intervenire nella battaglia in una giornata di marcia.
Questi dati come i precedenti sono desunti da documenti ufficiali compilati dal Comando supremo dopochè io ho lasciato la fronte.
Rimane adunque assodato che, calcolando le forze direttamente contrapposte sulle prime linee nel settore di sfondamento, noi eravamo superiori di 14 battaglioni; inferiori di 12 battaglioni erano le forze a immediata portata tattica del campo di battaglia;
ed eravamo superiori di 13 battaglioni nelle riserve; dovendosi però tener conto che i 24 battaglioni tedeschi dislocati nella valle di Wochein, non avrebbero potuto esercitare in tempo breve la loro azione che in direzione del Monte Nero; ma per agire contro le nostre linee retrostanti del Volnik e del Monte Stol avrebbero impiegato tempo assai più lungo di quello richiesto ai nostri 60 battaglioni della riserva generale dislocati nel territorio della 3.a armata per intervenire sulla fronte di difesa.
In conclusione, e pur tenuto conto della minore forza dei nostri battaglioni rispetto a quelli austro-tedeschi, ci trovavamo in buone condizioni per poter resistere.
Si noti poi che i 184 battaglioni disponibili nel settore che fu poi sfondato, si trovavano tutti nel territorio della 2.2:
armata.
Perciò al comandante di questa spettava il loro totale impiego e la loro distribuzione.
Ricordo che al Comando supremo spetta l’azione direttiva;
ma l’azione esecutiva è di competenza esclusiva delle armate, le quali, nei grandi eserciti moderni, funzionano come tanti eserciti posti uno al fianco dell’altro, coordinati nella loro azione dal Comando supremo:
da ciò chiaramente emerge nei vari casi, la responsabilità di ciascun Comando.
Ond’è che il Comando supremo, se non voleva adottare il biasimevole metodo di invadere le attribuzioni dei comandanti d’armata (metodo tanto più biasimevole quando si trattava del generale Capello che aveva dato così buona prova di sè nelle offensive di Gorizia e della Bainsizza), il Comando supremo, dico, non poteva far altro che esplicare la sua azione direttiva (come ha fatto nelle sue lettere del 10 e del 20 ottobre) e mettere a disposizione del Comando d’armata le riserve da lui dipendenti quando ne avesse giudicato il momento opportuno, anche quelle che si trovavano nel territorio della 3.2:
armata, come fu poi fatto in parte.
Ma il loro impiego, ripeto, era di spettanza del Comando della 2.a armata.
Nel fatto, adunque, noi potevamo giudicarci sicuri di poter disporre in tempo di forze superiori a quelle del nemico nel settore in cui si effettuò lo sfondamento.
Però, assodato questo fatto, si può domandare:
la disposizione delle riserve del Comando supremo era realmente la più opportuna, o non sarebbe stato meglio di farle gravitare più a nord:
Anzitutto bisogna tener conto del fatto che la 2.a armata doveva provvedere a tutte le necessità della difesa sulla sua fronte coi suoi 353 battaglioni, e che le riserve del Comando supremo dovevano far fronte a tutte le eventualità che potevano presentarsi sull’intera fronte Giulia, e non dovevano intervenire che ultime, sia per rafforzare determinati tratti di fronte, sia per sostituire truppe logorate dal combattimento, sia per contromanovrare nella direzione che la battaglia avrebbe rivelato come la più opportuna.
Ciò posto, i criteri che servirono di base alla dislocazione delle riserve del Comando supremo furono i seguenti:
1.° Bisognava tener conto della minaccia dalla fronte Plezzo - Tolmino;
ed a questa si aveva diritto di credere di aver bene provveduto, quando in un sol giorno si potevano riunire all’ala settentrionale del nostro schieramento forze superiori di 26 battaglioni a quelle del nemico, appoggiate a posizioni formidabili, sulle quali non mancavano i lavori di difesa come vedremo poi.
2.° Ma bisognava pure provvedere di riserve la rimanente parte della fronte, perchè, ancora il 21 era stato segnalato dagli ufficiali disertori nemici un attacco fino al mare;
ed in ogni modo esso era sempre possibile, data la rapidità con cui il nemico poteva spostare, a nostra insaputa, forze dall’ala destra al centro ed all’ala sinistra, dove già aveva forze notevoli ed un potente schieramento di artiglieria.
Per cui si provvide collocando 60 battaglioni della riserva generale nella parte settentrionale del territorio della 3.a armata, e disponendoli su larga fronte, nella direzione est-ovest.
Da questa posizione quelle riserve erano prossime alla 3.a armata nonchè all’ala destra della 2.a, corrispondente quest’ultima all’importantissima zona goriziana, dalla quale, se fosse riuscito a sboccare sulla destra dell’Isonzo, il nemico avrebbe potuto tentare di addossare ai monti la maggior parte della 2.a armata.
Nello stesso tempo, dato l’orientamento delle strade da sud-ovest a nord-est, esse erano in misura di giungere in due giornate di marcia, servendosi di parecchie strade, alla fronte: conca di Bergogna -alta valle del Iudrio.
E si noti che una di queste divisioni avrebbe potuto essere trasportata in un sol giorno cogli autocarri che erano disponibili.
Data la superiorità delle nostre forze che potevano intervenire nella battaglia in un giorno, e data la forza delle posizioni, non si doveva fare assegnamento sopra un secondo giorno di resistenza:
Non sopra un giorno ma sopra un tempo lunghissimo si doveva fare assegnamento:
A questo proposito mi richiamo a quanto ho detto a pag. 129 sulla minima durata di resistenza necessaria per rendere possibile la manovra.
3.° Come ho detto, la rete stradale era orientata da nord-est a sud-ovest, perchè tale è la direzione delle valli e dei contrafforti percorsi dalle strade; mentre le comunicazioni in direzione ovest-est, perpendicolare alla direzione generale del nostro schieramento, sono scarse, lunghe e difficili, perchè debbono scavalcare i contrafforti che separano le valli.
Consegue che le riserve non dovevano essere collocate in direzione perpendicolari ai vari tratti di fronte;
dovevano invece essere spostate più a sud e distribuite intorno ai nodi stradali, in modo da poterle facilmente spostare in qualsiasi direzione; non dovendosi dimenticare che le riserve, nella difensiva, non devono servire solamente per rafforzare la fronte, ma anche — e specialmente — per contromanovrare.
Per tutto questo complesso di ragioni, e pur giudicando col senno del poi, se mi trovassi un’altra volta in un simile caso, non esiterei a disporre le riserve come sono state disposte.
E, nel fatto, fu gran ventura che esse gravitassero verso sud, poichè altrimenti sarebbero state inevitabilmente travolte dalla fiumana degli sbandati nella rotta dell’ala sinistra della 2.a armata.
Quanto ad artiglierie, la 2.a armata possedeva ancora tutte quelle che le avevano servito per l’offensiva della Bainsizza, ad eccezione di 87 batterie di vario calibro e di 16 batterie di bombarde (compensate in piccola parte dall’invio di 10 batterie di medio calibro e di 1 di grosso calibro) che erano state in gran parte cedute alla 1.a armata per reintegrarvi l’armamento di sicurezza.
Difatti, per l’offensiva della Bainsizza, non solo era stato tolto alla 1.a armata il nucleo di artiglieria di riserva, ma era stato diminuito lo stesso armamento di sicurezza;
la qual cosa se non creava soverchio pericolo quando una così potente offensiva premeva sulla fronte Giulia, richiamando da questa parte le forze nemiche, non poteva continuare quando, cessata questa pressione, il nemico diventava libero di inviare forze alla fronte tridentina.
Rimaneva dunque alla 2.a armata l’ingentissima quantità di circa 2430 pezzi d’ogni calibro e di 1134 bombarde colle quali si poteva battere potentemente ed in ogni senso il terreno d’attacco e le retrovie nemiche.
Più particolarmente poi erano stati costituiti due baluardi con artiglierie di medio e grosso calibro: uno nel territorio del XXVII corpo, l’altro a cavallo dei territori dei corpi d’armata II e VI.
All’estrema sinistra il IV corpo d’armata disponeva di circa 450 bocche da fuoco.
Quanto a mitragliatrici, ne avevamo ormai una ricca dotazione, la quale era in continuo aumento.
Tenuto conto delle compagnie mitragliatrici addette ai reggimenti ed ai Comandi più elevati, e delle pistole mitragliatrici in distribuzione alle compagnie, ne avevamo in media quasi cinquanta per ciascun reggimento di fanteria.
In definitiva, le forze e le artiglierie radunate sulla fronte Giulia che, globalmente considerate, rappresentavano i due terzi dell efficienza dell’intero esercito quanto a fanteria e piu della meta quanto ad artiglieria, rimasero, nell’imminenza dell’offensiva, ripartite secondo queste aliquote approssimative:
per la fanteria, oltre a tre quinti alla 2.a armata, un po’meno di un quinto alla 3.a armata, un quinto come riserva del Comando supremo; per l’artiglieria: due terzi alla 2.a armata;
un terzo alla 3.a armata.
La disponibilità della 2.a armata in fatto di forze risultava così largamente commisurata alle esigenze della difesa, da non potersi ammettere l’intervento delle riserve del Comando supremo che in sostituzione delle unità della 2.a armata provate in combattimenti di usura, oppure a scopo di contromanovra.
Darò ora un brevissimo cenno delle linee difensive in corrispondenza del IV e del XXVII corpo.
IV corpo.
— Una prima linea di difesa partiva dalle falde del Rombon, passava ad oriente di Plezzo e di Cezsoca, saliva al Vrsic e al Monte Nero, e per le falde ovest del Mrzli e per Gabrjie scendeva all’Isonzo.
Era in complesso buona, per lo piu scavata in roccia, fornita di ricoveri.
Aveva due punti deboli:
il primo davanti a Plezzo, ove però il nemico avrebbe dovuto trovare difficoltà a sboccare dalle anguste valli dell’Isonzo e della Koritenza sotto il tiro delle nostre artiglierie;
il secondo al Mrzli, ove la linea era in contropendenza, ma col terreno sul dinanzi potentemente battuto dalle masse d’artiglieria collocate su i versanti dell’Isonzo.
Seguiva la linea di resistenza ad oltranza, che dal Veliki Skedeni (ove si appoggiava ai dirupi di Monte Canin), per Polianika, stretta di Saga, la sommita del contrafforte del Polonik, andava ad allacciarsi alla precedente al Vrsic.
Era una linea assai forte, multipla; sulla cresta del Polonik era doppia, ma tuttora in costruzione, però fortissima per forza naturale del terreno.
La linea di resistenza ad oltranza si confondeva colla prima linea nel fortissimo tratto Vrsic - Monte Nero; poi per la cresta di Monte Pleka scendeva all’Isonzo presso Selisce.
Aveva trincee continue con traverse e reticolato, ricoveri non numerosi e appostamenti per mitragliatrici;
si svolgeva pure su terreno fortissimo.
La terza linea, non ancora compiuta, era quella che partiva da Monte Stol, scendeva per cresta all’Isonzo, comprendeva a guisa di testa di ponte il Volnik, riattraversava l’Isonzo ad est di Idersko e per la cresta di Luico e Monte Cucco continuava nella terza linea del XXVII corpo d’armata.
Erano trincee del tipo dei primi tempi della guerra, che si stavano modificando, con due ordini di reticolati e lungo posizioni fortissime.
Da questa linea una se ne staccava a nordovest di Caporetto di non grande valore che passava ad ovest di Staroselo, si sviluppava sulle falde nord del Monte Matajur e pel Monte San Martino si attaccava alla linea del XXVII corpo a nord di Monte Xum.
XXVII corpo.
— La prima linea partiva dall’Isonzo presso Gabrjie e per Volzana e Cigini saliva al Jesenjak, fronteggiando da presso la testa di ponte di Tolmino.
Era continua e con reticolato fisso, ma molto dominata dalle vicine posizioni nemiche.
La seconda linea, dall’Isonzo presso Selisce, saliva alla costa Raunza ed al Jesenjak, con reticolato e trincee continue, ricoveri non numerosi e appostamenti per mitragliatrici.
Continuava fino alla cresta di case Cemponi, poi scendeva all’Isonzo ad un chilometro a sud di Selo;
era una linea continua, con occupazione dei costoni che si affacciano alla valle; erano in corso lavori di rafforzamento per battere i valloni compresi tra i costoni sopradetti, e si stavano aumentando i ricoveri.
La terza linea, in prolungamento della terza linea del IV corpo, si svolgeva per la dorsale del Kolovrat dal Monte Cucco al passo di Zagradan, al Monte Jeza, al Monte Globokak, e poi per Liga, Monte Korada e Planina.
Essa era stata costruita coi criteri in uso nei primi tempi della guerra, poi migliorata in corrispondenza della testata del Iudrio, in seguito ad ordini del Comando supremo dell’aprile 1916.
In complesso essa era deficiente ancora di ricoveri e di appostamenti per mitragliatrici, sebbene ordini fossero stati dati dal Comando supremo, pel suo rimodernamento — ordini che non avevano potuto avere prima esecuzione per la penuria di lavoratori colla quale si doveva continuamente lottare.
Essa però, al pari di quella sottostante dei Cemponi, si svolgeva su terreno fortissimo per natura.
Finalmente, dal passo di Zagradan partiva una breve linea che allacciava questo passo con quella già accennata che univa il Monte Xum col Globokak; entrambe costituivano un rientrante che aveva per iscopo di arrestare il nemico che, dopo aver conquistato il saliente di Monte Jeza, fosse penetrato nella testata del Iudrio.
1) E dal Monte Xum partiva una linea, appena abbozzata, che percorreva da un lato la dorsale tra Iudrio e Natisone, e dall’altro per San Martino si allacciava al Monte Cucco a quella della dorsale del Kolovrat già accennata.
Sull’altopiano di Bainsizza, dopo la sua conquista, era stata iniziata la costruzione di tre linee di difesa, alle quali si stava lavorando alacremente, ma che, durante la battaglia, non furono seriamente attaccate.
Da questo sommario cenno sulle linee difensive, risulta bensì che esse non eran prive di difetti;
ma è d’uopo anche di tener conto che il Comando supremo, colla lettera del 18 settembre riferita alla fine del capitolo precedente (cioè ben trentasei giorni prima dell’inizio dell’attacco), aveva ordinato di procedere tosto a tutte «le disposizioni per la difesa ad oltranza, affinchè il possibile attacco ci trovi validamente preparati a rintuzzarlo».
A ciò non era mancato il tempo.
D’altronde, io ritengo che le linee arretrate, in una organizzazione difensiva a linee successive, hanno meno bisogno di essere forti contro un attacco sfondante:
basta che siano ben tracciate e che valgano a resistere ad attacchi di fanteria, mitragliatrici ed artiglierie leggere, essendo ovvio che in un attacco sfondante e che procede rapido, le artiglierie di grosso e medio calibro e le bombarde dell’attaccante non hanno effetto alcuno sulle linee al di là della loro gittata massima; nè possono seguire immediatamente od a breve distanza l’attaccante.
Perciò, se era innegabile l’inconveniente di avere, in corrispondenza della testata del Iudrio, le tre linee di difesa molto ravvicinate, su una profondità di tre chilometri e soggette perciò al fuoco dello schieramento di artiglieria nemico, si deve anche riconoscere che tale inconveniente era di molto attenuato dall’esistenza a tergo della linea dal passo di Zagradan a Monte Xum e a Srednje, e di quella che dal Monte Cucco per San Martino si allaccia alla precedente a Monte Xum.
Difatti, sebbene queste linee non fossero molto robuste, per la forza del terreno, per la distanza dallartiglieria nemica e perchè erano coperte alla vista di questa, potevano essere tenacemente difese.
Del resto si può affermare, anche sulla base di testimonianze nemiche, che, nel complesso, l’arte aveva reso formidabili posizioni che, già per caratteristiche naturali, erano ritenute fortissime.
Un ufficiale germanico fatto prigioniero, avendo combattuto per tre anni su tutte le fronti, scriveva in alcune note trovategli addosso «di non aver mai visto in nessun fronte del teatro della guerra un sistema di fortificazioni così perfetto e solido come quello che costituiva le nostre difese di fronte a Tolmino, aiutato dalla natura dei luoghi», e il Koster, in un articolo sulla Frankfurter Zeitung di cui parlerò tra poco, scriveva:
«....
il terreno di attacco era irto di ostacoli....
non mancavano le voci che ritenevano l’impresa pazzesca».
Coll’ordine del 10 ottobre precedentemente trascritto, il Comando supremo aveva stabilito alcuni criteri di base per la difesa, fra i quali vi erano — espliciti e categorici — i seguenti: che «il XXVII corpo dovrà gravitare colla maggior parte delle sue forze sulla destra dell’Isonzo» e che «dei medi calibri non rimangano sull’altopiano di Bainsizza che quelli più mobili».
A formulare il primo di tali criteri — il quale si riferiva ad un particolare che non sarebbe neppur stato di spettanza del Comando supremo — questo era stato indotto, oltrechè dalla necessità di fronteggiare gli sbocchi della testa di ponte di Tolmino colla maggior parte delle forze del XXVII corpo, anche dalla considerazione che le posizioni occupate da questo corpo d’armata sulla sinistra dell’Isonzo a nord del torrente Avscek non erano buone perchè molto dominate dalle fortissime posizioni occupate dagli austriaci, ed era mancato il tempo di fortificarle solidamente.
Perciò, quelle posizioni, o avrebbero dovuto essere occupate con molte forze — e non era il caso — oppure dovevansi occupare debolmente, a scopo di semplice copertura, portando la difesa ad oltranza sulle forti posizioni più arretrate (che il Comando supremo, già aveva ordinato di fortificare), le quali per il margine settentrionale dell’altopiano di Vhr e per la quota 675 si saldano attraverso l’Isonzo col contrafforte del Doblar - Cemponi oppure con quello di Ronzina- Globokak.
Sta di fatto non pertanto, che nel mattino del 24 ottobre, dei 49 battaglioni del XXVII corpo d’armata, 22 si trovavano ancora sulla sinistra dell’Isonzo.
Ben si può dire perciò che quell’ordine non fu eseguito.
Il secondo criterio implicava che dei medi calibri quelli meno mobili fossero tosto fatti passare sulla destra dell’Isonzo, criterio rispondente alla necessità di salvare quelle artiglierie meno mobili in caso di ritirata dall’altopiano di Bainsizza.
Tale ordine non fu interamente eseguito, almeno in quella misura che sembrava necessaria al Comando supremo, se si giudica dalla quantità di artiglierie provenienti dall’altopiano di Bainsizza cadute in mano del nemico durante la ritirata.
A ciò certamente contribuirono concezioni di ordine controffensivo per parte del comandante della 2.a armata, delle quali parlerò in seguito.
Debbo a tal riguardo particolarmente notare che fin dal 18 settembre, coll’ordine con cui prescrivevo il passaggio dall’offensiva alla difensiva — ordine che ho riferito alla fine del capitolo precedente — io prescrivevo:
1.° «di concentrare ogni attività nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza» (non parlavo di controffensiva in grande stile);
2.° di orientare, fin da quel momento, a tale precisa direttiva, ogni predisposizione, compresa quella dello schieramento delle artiglierie, il che importava l’arretramento delle artiglierie di medio e di grosso calibro, per passare dallo schieramento offensivo al difensivo.
Nè certamente sarebbe mancato il tempo, nei 36 giorni che passarono fino a quello dell’attacco, se all’ordine si fosse data immediata esecuzione, come fu dato dalla 3.a armata.
In altra non lontana pubblicazione, discorrerò della imperfetta esecuzione di questo ordine, mettendolo in relazione coi miei ordini posteriori.
Passerò ora a discorrere della grande manovra controffensiva ideata dal generale Capello e della sua opportunità in quelle circostanze.
Premetto che nella seduta del 13 dicembre 1917 del comitato segreto della Camera, il ministro della guerra del tempo, in un discorso pieno di apprezzamenti infondati, soprattutto perchè basati su dati di fatto erronei, raccolti in una inchiesta sommaria nella quale io non fui nemmeno interpellato, accennò ad un punto che egli chiamava delicato, per dimostrare di non voler nascondere nulla di ciò che gli era possibile chiarire con dati sicuri (sic).
Si era detto — continuò egli — che il comandante della 2.a armata dissentisse dal parere del Comando supremo; è vero, soggiunse, e su questo punto dissentiva anche allora, ma era un suo concetto personale, e non avrebbe osato neppure allora garantire che i risultati sarebbero stati quali egli sperava.
Ciò che confermava la difficoltà di giudicare in materia come questa in cui tutto dipende dall’esito.
Ha in qualche modo, — si domandava il ministro — e in caso affermativo in qual misura, influito questo dissenso, in modo decisivo sull’andamento delle cose:
Egli aveva motivo di ritenere che se ciò era accaduto, fosse stato in proporzione assai minore di quanto era stato detto.
Certo è però che il comandante della 2.a armata intendeva, e ciò non era forse in piena armonia coi concetti del Comando supremo, che questa difensiva non avesse carattere passivo, ma controffensivo, e voleva, dopo una prima resistenza, piombare sul nemico con truppe raccolte nella conca di Vhr.
Era questo un punto — soggiunse il ministro — che meritava di essere chiarito sotto il punto di vista delle conseguenze che ne potevano essere derivate.
E io mi accingo a chiarirlo.
In quel discorso si lascia intendere che io avrei preferito la difesa passiva in contrapposto al comandante della 2.a armata che «intendeva che questa difensiva avesse carattere controffesivo».
Nulla di meno vero.
Ciò sarebbe stato contrario al mio temperamento, a tutto il mio insegnamento del tempo di pace, ed a quanto ho costantemente praticato durante 29 mesi di guerra, la quale è stata tutta offensiva o controffensiva; e sarà, del resto, pienamente smentita dal mio ordine del 20 ottobre del quale dirò in seguito.
Ma è ora necessario accennare le ragioni che milita vano pro e contro una controffensiva in grande stile sull’altopiano di Bainsizza.
Pensava il comandante della 2.a armata che il valore del nostro soldato è assai più elevato nell’offensiva che nella difensiva; egli era d’avviso che si dovesse parare l’azione avversaria o con un attacco, o almeno apprestando una poderosa controffensiva strategica.
A tale scopo rispondeva bene lo schieramento delle artiglierie e la preparazione che si andava facendo delle migliori brigate di fanteria.
Questa controffensiva, da effettuarsi con una massa di 6 brigate ben preparate, avrebbe dovuto partire dalla conca di Vhr (come il comandante della 2.a armata disse nelle conferenze tenute il 17 - 18 ottobre ai comandanti di corpo d’armata) e svolgersi «nelle direzioni che si riveleranno più convenienti».
Queste direzioni possibili, soggiungeva egli, erano tre, cioè: verso nord-est, «molto redditizia per paralizzare un attacco nemico partente da Santa Lucia e volgere la situazione a nostro vantaggio»; verso est «per rompere le linee a cavallo delle strade che conducono nel vallone di Chiapovano verso l’Idria»;
verso sud-est «per mettere piede sull’altopiano di Ternova e puntare sulla grande linea difensiva dell’altopiano»
Era poi indicata come direzione più probabile quella verso nord-est.
Dal canto mio mi opposi al piano controffensivo a grande raggio proposto dal comandante della 2.a armata perchè si inspirava, a mio avviso, ad una concezione di manovra che era in contrasto con gli insegnamenti della presente guerra; perchè si basava su aleatorie ripercussioni strategiche che l’esperienza dell’ultima offensiva dimostrava incontestabilmente poco promettenti.
Delle tre direzioni controffensive proposte, prescindo da quelle verso est e verso sud-est che egli stesso designava come meno utili e che infatti ci avrebbero condotto ad agire sterilmente in direzione divergente rispetto all’attacco nemico, e mi limito invece a considerare quella della conca di
Vhr verso nord-est.
Il comandante della 2.a armata, ideando una simile manovra, si riprometteva certamente di raggiungere l’orlo settentrionale ed orientale dell’altopiano dei Lom, come era necessario per tenere sotto il cannone la valle dell’Idria (programma minimo quando si voglia «paralizzare un attacco nemico partente da Santa Lucia»).
Ma non risulta, nè può risultare, su quali clementi di fatto e di giudizio egli basasse tali previsioni, dato che nell’agosto, pur essendo le nostre truppe animate da un vigoroso impulso offensivo, ed il nemico sorpreso, disgregato e travolto in una battaglia di rottura, quelle stesse posizioni avevano opposto validissima resistenza ad ogni nostro sforzo.
Di fronte a questi precedenti, quali nuovi fattori erano intervenuti nel mese di ottobre per fare considerare l’impresa promettente e redditizia ai fini controffensivi:
Non certo l’accresciuta resistenza delle posizioni, che per la organizzazione fortificatoria apprestata in quasi due mesi di assiduo lavoro e per il continuo aumento di forze e di artiglierie nemiche invertiva tutti i rapporti dinamici a nostro danno:
Perciò questa controffensiva (che sarebbe poi stata un’offensiva vera e propria) avrebbe richiesto grande spiegamento di artiglierie di medio e grosso calibro (a ciò certo non bastando la massa di artiglieria progettata nella conca di Vhr a piu di 8 chilometri dal culmine dei Lom) e lunghi preparativi, venendo così anche a mancare gli effetti della sorpresa insiti in una fulminea controffensiva, quale la voleva il comandante della armata, e lasciando tempo al nemico per rafforzare le sue difese e per sboccare dalla testa di ponte di Tolmino, dove la nostra difesa sarebbe stata alleggerita.
Aggiungo che per una controffensiva in grande stile contro posizioni fortissime e logoratrici di forze, io giudicavo insufficienti le sei brigate richieste dal comandante della 2.a armata, e che se avessi accolto la sua richiesta di nuove forze e di nuove artiglierie per l’attuazione della manovra controffensiva, avrei troppo assottigliato le riserve del Comando supremo, e per contro si sarebbero addensate ancora maggiori forze ed artiglierie sull’altopiano di Bainsizza, aggravando quello stato di cose che ha poi reso la ritirata del XXIV corpo e di parte del XXVII estremamente difficile.
E finalmente avrei cagionato un notevole consumo di uomini e di munizioni, la cui penuria era appunto stata una delle cause della sospensione delle operazioni offensive e del passaggio alla difensiva, come risulta dal mio ordine del 18 settembre.
Se si dovesse giudicare col senno del poi, io domanderei:
poichè la controffensiva non la si poteva sferrare subito, ma solo dopo il primo urto nemico, che ne sarebbe stato delle ingenti truppe ed artiglierie che fossero state raccolte a tale scopo sull’altopiano di Bainsizza, mentre fin dal primo giorno, ossia prima che la controffensiva potesse aver inizio, le tre linee difensive del XXVII corpo cadevano nelle mani del nemico, e a questi rimaneva pressochè aperta la strada di Cividale:
Fu adunque ben provvida misura il non averla autorizzata.
Ho voluto ben precisare i termini della questione poichè se n’è discorso alla Camera dei deputati e fuori ignorando quali essi fossero.
Al lettore intelligente e competente il giudizio.
Qualunque esso sia, esso nulla può togliere all’alta competenza militare del generale Capello, ben dimostrata specialmente nell’organizzazione delle due offensive più dure e più difficili della guerra:
quella della testa di ponte di Gorizia, e quella dell’alto: piano di Bainsizza.
Qui invece importa di mettere in rilievo che in questa circostanza mancò nel comandante della 2.a armata (e non in lui solo) quello spirito di ubbidienza in che essenzialmente risiede la disciplina delle intelligenze e la disciplina formale.
Esso avrebbe consentito di contrastare più energicamente l’offensiva e l’avanzata nemica, se le artiglierie che avrebbero dovuto essere portate indietro, fossero tempestivamente entrate in azione insieme alle altre già schierate;
esse avrebbero allora indubbiamente recato un contributo non indifferente a impedire o a limitare il disastro.
Di questo argomento parlerò più diffusamente in altra pubblicazione.
Nel mattino del 19 ottobre io facevo ritorno al quartier generale di Udine, da Vicenza dove mi ero recato per ispezionare i lavori difensivi in corso sulla fronte tridentina, e specialmente quelli delle Melette sull’alto piano di Asiago e del Monte Grappa, che un mese dopo furono teatro di così importanti e sanguinosi combattimenti.
Nel giorno stesso avevo un colloquio col comandante della 2.a armata al quale davo le ultime istruzioni circa l’imminente attacco austro-tedesco, istruzioni che venivano tosto concretate nel seguente ordine del 20 ottobre, diretto al comandante della 2.a armata:
«Riassumo i concetti fondamentali che ho espresso a V.
E. nel colloquio di ieri ed i miei intendimenti circa l’azione che dovrà svolgere la 2.a armata nella nota ipotesi di una prossima azione offensiva nemica.
«Il disegno di V. E. di contrapporre all’attacco nemico una controffensiva di grandissimo stile è reso inattuabile dalla presente situazione della forza presso le unità e dalla gravissima penuria di complementi.
V. E.
conosce l’una e l’altra e sa che per questo appunto ho dovuto con grande rammarico rinunciare alla seconda fase della nostra offensiva, fase che si delineava promettente di fecondi risultati.
«Ciò posto, è necessario ricondurre lo sviluppo del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace entro i reali confini che le forze disponibili ci consentono.
«Il progetto della grande offensiva di armata ad obbiettivi lontani deve essere abbandonato;
esso ci condurrebbe in sostanza a sviluppare una grande offensiva di riflesso, non meno costosa di quella seconda fase alla quale già abbiamo rinunciato.
Troveranno posto, invece, nel quadro di una tenace difesa attiva, risoluti contrattacchi, condotti da truppe appositamente preparate ed inspirati a quel concetto dell’attanagliamento ben delineato dall’E. V., ma con carattere locale, contenuti cioè entro il raggio tattico, per mantenere la difesa nei limiti dell’indispensabile economia.
«Per tutte le esigenze di una siffatta difesa, i 338 battaglioni di cui l’armata dispone debbono largamente bastare.
V. E.
tenga presente che se nel venturo anno si pronunciasse contro di noi uno sforzo imponente degli Imperi centrali, la necessità di fronteggiare attacchi in altre direzioni e di conservare una potente riserva generale a mia disposizione, non mi consentirebbe certo di lasciare su codesta fronte, per la difesa ad oltranza, forze pari a quelle che vi si trovano.
Quanto alle artiglierie, V.
E. mi ha accennato alle due poderose masse, costituite alle ali della presumibile fronte di attacco ed alla mancanza delle batterie occorrenti per formare altra potente massa al centro.
Ora però, tenuto conto dei più modesti limiti entro i quali è stato ricondotto il disegno operativo, i 2500 pezzi di piccolo, medio e grosso calibro, e le 1134 bombarde di cui dispone l’armata debbono essere sufficienti per provvedere in modo completo a tutte le esigenze di un saldissimo schieramento di difesa ad oltranza.
«Circa i complementi ho provveduto per l’urgente affluenza di alcune migliaia di questi provenienti dai piccoli di statura già istruiti, presso le brigate di marcia della 2.a armata.
«Ai suesposti concetti V. E.
vorrà pertanto informare le nuove direttive da impartire ai Comandi dei corpi d’armata dipendenti, o le varianti alle direttive precedentemente emanate, e di tali nuove disposizioni gradirò avere conoscenza al più presto.»
Come si vede, erano queste — come quelle del ’10 ottobre — disposizioni di natura generica, dovendo il comandante di armata, come già dissi, insieme colle direttive ed i mezzi della difesa, avere quella libertà di decisione e di azione, cui ha sempre diritto un comandante di armata in relazione alla sua responsabilità;
mirai infine, a che la vigilanza non degenerasse in inframmettenza, menomando quel giusto senso della responsabilità che è attributo indispensabile all’esercizio del comando, e specialmente di un comando così elevato.
Date le disposizioni prese per la ripartizione delle forze, per la loro distribuzione nelle prime linee e nelle riserve e per il loro impiego, che sembrava il più adatto alla situazione del momento — considerata la quantità ingentissima di artiglierie e di bombarde esistenti e di mitragliatrici presso le fanterie — tenuto conto delle linee difensive costruite e della forza naturale, grandissima del terreno su cui esse si svolgevano — e data, infine, la constatata capacità dei Comandi di corpo d’armata, frutto di lunga selezione durante tutta la guerra — il Comando supremo doveva necessariamente nutrire la più assoluta fiducia nel buon risultato della lotta che stava per impegnarsi.
Rimaneva bensì l’amaro ricordo di alcuni fatti men belli accaduti durante le offensive del maggio e del giugno, e taluno anche in quella dell’agosto, dei quali si è discorso;
nonchè dei non pochi attentati contro la disciplina verificatisi prima dell’agosto (dei quali parlerò in altra pubblicazione), conseguenze queste della propaganda velenosa svolta dai disfattisti del Paese, che il Governo tollerava malgrado le energiche proteste del Comando supremo.
Ma queste penose impressioni si erano in parte attenuate dopo di aver constatato il morale piuttosto elevato che aveva quasi ovunque animato le truppe durante l’offensiva dell’agosto sulla Bainsizza e sul Carso.
Volle in ogni modo il Comando supremo assicurarsi dello spirito delle truppe e delle condizioni della difesa presso i corpi d’armata contro i quali si presumeva che con maggiore probabilità si sarebbe sferrato l’attacco nemico.
Perciò il 19 ottobre furono inviati i colonnelli Testa e Calcagno ad assumere informazioni presso i Comandi del IV, XXVII, XXIV e II corpo d’armata, costituenti l’ala sinistra e il centro della 2.a armata.
Riferirò testualmente le impressioni riportate dai suddetti colonnelli — e solo per quanto riguarda il IV e il XXVII corpo che poi subirono lo sfondamento — dopo di avere conferito coi comandanti di questi corpi d’armata, coi loro capi di stato maggiore, cogli ufficiali di collegamento, ecc.
IV corpo d’armata.
— Rapporto del colonnello Testa.
a) Il Comando del corpo d’armata non aveva una sensazione propria, personale, della esistenza di una preparazione nemica (poco o nulla di anormale rilevato dagli osservatori — non molti disertori nemici — pochi tiri di inquadramento, ecc.).
Tuttavia non la escludeva, e in obbedienza agli ordini emanati dal Comando di armata si preparava alacremente a sostenerla, anche se si fosse sviluppata presto e poderosa.
«I preparativi, salvo alcuni lavori nella regione Kozliak e l’arrivo di un certo numero di batterie, pressochè ultimati.
«b) In relazione alle caratteristiche del terreno ed alla situazione propria e nemica, il Comando del corpo d’armata riteneva, come più probabili, attacchi nemici contemporanei nella conca di Plezzo e da Tolmino, intesi a mettere fuori causa, senza attacco diretto, il gruppo centrale di difesa Vrsic - Monte Nero (il Comando del corpo d’armata ne riteneva difficile, quasi impossibile l’attacco frontale).
«Dava perciò la massima importanza, per uno schieramento delle artiglierie e per la manovra controffensiva, alla regione Krasji Vrh - Vrsic - Monte Nero-Monte Pleca.
Si preoccupava della debolezza della falda tra quota 900 e quota 700 a sud del Cukla e della importanza del collegamento con la Carnia — della opportunità perciò che fossero assegnati alla Carnia elementi possibilmente alpini, per una eventuale manovra controffensiva sulla conca di Plezzo — della necessità di assicurare con unità di indirizzo e di comando il concorso delle artiglierie della regione orientale della Carnia per la difesa della conca di Plezzo.
«Nei riguardi delle offese dalla regione Sleme-Mrzli, il Comando del corpo d’armata giudicava infelice la nostra situazione tattica sulla prima linea (dominata);
1) abbastanza favorevole invece, nei riguardi dell’azione di sbarramento delle artiglierie.
Sull’opera efficace di queste, in quel tratto di fronte, faceva il massimo assegnamento per la difesa.
Direttrici più pericolose: dal Leskovka - Rudeci Rob e dalla selletta tra Sleme e Mrzli.
Discrete condizioni e non molte preoccupazioni, per il fondo valle sino all’Isonzo, sulla destra del quale la difesa era già affidata al VII ed al XXVII corpo di armata.
«c) Bisogni:
in linea generale nessuno.
L’armata aveva già concesso quanto era stato largamente richiesto (una parte delle batterie doveva però ancora giungere).
Se desiderî per un di più si fossero dovuti rappresentare, questi riflettevano aumenti di mitragliatrici, artiglierie da campagna, autocarri per trasporti, assegnazione di tende alpine.
«d) Condizioni morali:
in linea di massima soddisfacenti; nessun grave avvenimento di carattere disciplinare; pochissime le diserzioni al nemico.
Diserzioni all’interno in misura diversa, a seconda dei riparti e del reclutamento di essi;
numero complessivo non allarmante, nè sintomatico; molti casi ritenuti di diserzione, si venivano giustificando più tardi.
«Al quesito esplicitamente posto (dal colonnello Testa) circa la capacità morale delle truppe di resistere ad un forte bombardamento (la maggior parte di esse da circa un anno non aveva partecipato a grandi operazioni) il generale Cavaciocchi ha risposto affermando la propria fiducia....
«e) Per tutte tali ragioni, in complesso, l’azione nemica non destava timore, nè dubbio sulla possibilità di infrangerla.
Il colonnello Boccacci (il capo di stato maggiore del corpo d’armata) ascriveva quasi a fortunata circostanza per le nostre armi il determinarsi di essa.» XXVII corpo d’armata.
— Rapporto del colonnello Calcagno.
«Nella mia visita al XXVII corpo d’armata ho lungamente conferito con S. E. il generale Badoglio, comandante del corpo d’armata.
«L’offensiva nemica era attesa più per le concordi voci che la segnalavano, che per la constatazione di ingenti movimenti di uomini e di materiali sulle retrovie nemiche.
È da notare anche che per il persistente maltempo le osservazioni suddette erano assai difficili.
«S. E. mi parlò delle predisposizioni di ordine materiale già prese:
modificato l’andamento della linea di difesa di costa Raunza, difettosa — piazzamento di numerosissime mitragliatrici sulle probabili vie di accesso del nemico (Val Kamenka specialmente) — completata la sistemazione della linea del Monte Xum, in modo da formare un incapsulamento, nel caso che il nemico avesse potuto arrivare a Monte Ieza.
«Richiesto dal sottoscritto se le artiglierie e le mitragliatrici erano sufficienti, disse che nulla aveva da desiderare;
tutto quanto aveva chiesto gli era stato dato subito.
Aggiunse:
«Se aveste ancora qualche mitragliatrice di cui non sapeste che farne, datemela ed io la metto subito a posto».
Ma ciò disse, non nel senso di segnalare una qualsiasi deficienza.
Per le artiglierie disse:
non me ne manca, ne ho abbastanza».
«Era soddisfatto dello stato morale delle truppe.
Nei soldati l’idea che avrebbero avuto di fronte i germanici, pareva avesse rianimato il loro spirito combattivo.
S. E. mi raccontò che il giorno precedente, avendo incontrato una compagnia in marcia, la fermò e disse:
«Io sono il vostro comandante di corpo d’armata.
Dunque saremo attaccati dagli austriaci e dai germanici.
Niente paura, ragazzi, gliele daremo.
Io ho tanti cannoni da fracassarli prima che giungano alle nostre linee».
Un caporale della compagnia, fattosi avanti disse:
«Signor generale, non c’è bisogno di tanta artiglieria, bastiamo noi con le mitragliatrici».
«Ciò mi raccontava S. E. come indice dello spirito delle truppe....»
Le dichiarazioni dei due comandanti di corpo d’armata, ed in particolar modo quelle del comandante del XXVII corpo, eran tali da infondermi la più completa fiducia nel risultato della imminente battaglia; imperocchè, chi meglio di loro, a continuo contatto colle truppe, era in grado di sentirne le pulsazioni, di valutare lo spirito che le animava:
chi poteva meglio apprezzare i mezzi materiali necessari alla difesa del rispettivo tratto di fronte, e segnalarne le eventuali deficienze:
Ma, non ancora completamente soddisfatto di quelle informazioni, volli assumerne io stesso direttamente, ed a tale scopo mi recai il 22 ottobre, al quartier generale del IV corpo a Creda (5 chilometri ovest di Caporetto) ed il 23 ottobre al quartier generale del XXVII corpo a Carraria, sobborgo di Cividale.
Il comandante del IV corpo mi confermava quanto risulta dal succitato rapporto.
Soltanto avendogli io chiesto esplicitamente se giudicava sufficienti le forze di cui disponeva per una tenace difesa della sua fronte, mi parve di rilevare qualche suo dubbio al riguardo; perciò ordinai subito che fosse assegnata al IV corpo un’altra divisione, che fu la 34.a del VII corpo, il quale era il più prossimo;
questa divisione era composta della sola brigata Foggia di tre reggimenti.
Al VII corpo fu assegnata la 62.a divisione proveniente dalla fronte tridentina.
Se tale osservazione fosse stata fatta prima, anche l’assegnazione di una nuova divisione avrebbe potuto essere anticipata.
Il comandante del XXVII corpo mi confermò le dichiarazioni già fatte al colonnello Calcagno, compresa quella dell’ottimo spirito delle truppe, e si mostrò animato dalla più grande fiducia.
Nel giorno seguente, tutte e tre le sue linee di difesa, delle quali due tracciate su posizioni formidabili, erano sfondate; lo sfondamento di fondo valle sulla destra dell’Isonzo fu la maggior causa del fierissimo colpo inferto al IV corpo; ma, peggio ancora, la caduta dei monti che circondano la testata del Iudrio, permettendo al nemico di dilagare verso Cividale, apriva una breccia mortale nello schieramento della 2.a armata, e perciò in quello dell’esercito:
II.
— LA BATTAGLIA.
Dalla già accennata relazione del Köster pubblicata sulla Frankfurter Zeitung tra il 6 e il 10 dicembre 1917 e dalla citata conferenza del capitano Schneider dello stato maggiore austro-ungarico, desumo i seguenti particolari circa i concetti cui si informò l’attacco austro-tedesco.
La 14.a armata, comandata dal generale germanico von Below, era composta di 7 divisioni tedesche e di 8 austriache; di queste 15 divisioni, 8 erano in linea tra il Rombon e Selo sull’Isonzo; immediatamente dietro si trovavano altre 4 divisioni, e altre 3 in riserva più lontana.
Questa armata venne spinta fra l’ala meridionale del gruppo di eserciti Conrad von Hötzendorf e l’ala settentrionale del gruppo di eserciti Boroevic (armata dell’Isonzo).
Suo còmpito era la rottura fra Plezzo e Tolmino e la conquista della linea: alture a nord di Cividale — antica linea di confine a nord-ovest del Korada.
Nello stesso tempo l’armata settentrionale dell’Isonzo (la 2.a) doveva con la sua forte ala destra avanzare a scaglioni sulla linea: linea di confine a nord-ovest del Korada-Monte Santo.
L’avanzata a scaglioni di questa armata aveva lo scopo di trattenere il più a lungo possibile le nostre truppe sull’altopiano di Bainsizza e cader loro sul fianco e alle spalle da nord-est.
La 1.a armata dell’Isonzo doveva regolare la sua azione su quella della 2.a armata, temporaneamente impegnando le forze nemiche in azioni dimostrative, e lasciandole nell’incertezza circa la direzione dell’attacco principale.
Tenendo conto dello schieramento da nord a sud, la 14.
a armata risultava composta dei seguenti gruppi:
Il gruppo Krauss era formato di tre divisioni austroungariche, colle quali operavano battaglioni d’assalto ed artiglieria germanica.
Si trovava nella conca di Plezzo e si estendeva a sud fino a Monte Nero.
Il suo còmpito consisteva anzitutto nello spezzare il triangolo montuoso Plezzo-Saga-Monte Nero, ancora da noi tenuto ad oriente dell’Isonzo.
L’azione si doveva poi estendere a nord-ovest di Plezzo verso Monte Canin, ad ovest di Saga per risalire val Uccea, e a sud contro Monte Stol.
Proseguendo poi giù lungo l’Isonzo, doveva prendere collegamento col gruppo Stein, quando questo irrompesse da nord nella conca di Caporetto.
Il gruppo Stein era il vero gruppo d’assalto della 14.a armata, e si trovava nella zona del Monte Nero- Tolmino.
Era composto di una divisione austro-ungarica, della 12.a divisione slesiana e del così detto Alpenkorps (3 reggimenti).
Còmpito di questo gruppo era di prender d’assalto il Monte Nero, il Mrzli
Vhr ad est dell’Isonzo, e di conquistare il dosso del ripido Kolovrat, che domina completamente la conca di Tolmino e che per la sella di Luico si collega ad ovest colla cima del Matajur.
Contemporaneamente a questa operazione doveva spingersi fra le due zone di combattimento sulla strada che risale l’Isonzo fin verso Caporetto, ed ivi prendere collegamento col gruppo Krauss.
Il còmpito affidato al gruppo Stein era perciò il perno di tutta l’azione della 14.a armata.
Finalmente, a contatto col gruppo Stein e sulla strada Bischoflak - Santa Lucia, si trovava il gruppo del generale würtemburghese von Berrer (poi caduto alle porte di Udine);
esso era composto della 200.a e della 117.a divisione germanica.
L’azione di questo gruppo doveva svilupparsi a sud della testa di ponte di Tolmino, col mandato principale di conquistare il massiccio di Monte Ieza, e se la battaglia si svolgeva secondo il piano prestabilito, doveva raggiungere per primo gli sbocchi delle montagne in pianura.
Il gruppo di ala sud della 14.a armata, composto della 1.a divisione austro-ungarica e della 5.a divisione germanica, era al comando del generale von Scotti.
Questo gruppo doveva, in stretta cooperazione con l’estrema ala del gruppo d’eserciti Boroevic, varcare l’Isonzo a sud di Selo e attaccare la prospicente cresta montuosa.
Terminati tutti i preparativi, l’attacco fu fissato per il 24 di ottobre, e doveva essere iniziato alle due di notte con tiro a gaz asfissianti.
Alle 6,30 del mattino doveva aver principio il tiro di distruzione delle artiglierie, e alle 8 le fanterie dovevano muovere all’attacco da Plezzo fino a Selo.
L’offensiva austro-germanica si iniziò infatti nel mattino del 24 ottobre alle ore 2 su tutta la fronte dell Isonzo, con vivaci azioni di artiglieria nelle alte valli Raccolana, di Dogna (zona Carnia), con un violentissimo fuoco di distruzione sulle prime linee e di interdizione e a gaz asfissianti sulle postazioni di artiglieria dal Rombon alla testata dell’Avschek (fronte del IV, XXVII e di parte del XXIV corpo), con un bombardamento intenso sulle posizioni del II e del VI corpo (2.a armata), con azioni dimostrative di artiglieria e di nuclei di fanteria sulla fronte della 3.a armata.
Sulla fronte della 2.a armata, tra le 7,30 e le 8, le fanterie attaccano nelle seguenti direzioni principali: nella conca di Plezzo; a sud del Vrsic; nella zona di Monte Nero-Monte Rosso; nel settore Mrzli -Vodil (IV: corpo d’armata);
per il fondo valle lungo le due rive dell’Isonzo (IV e XXVII corpo d’armata);
alla costa Raunza e alla costa Duole (propaggini del Kolovrat); alla dorsale di Cemponi-Krad Vhr (XXVII corpo d’armata).
Attacchi dimostrativi avvengono alla testata del Vogercek e alle quote 774 e 778 (XXVII corpo d’armata);
nel settore Koprivsce-Kal (XXIV corpo d’armata);
a Caverne (II corpo d’armata), alla testata del vallone di Sorgente, sul San Gabriele (VI corpo d’armata).
Oltrepasserei il còmpito che mi sono prefisso se descrivessi i particolari della battaglia, essendomi proposto di dire solo quel tanto degli avvenimenti che basti a dar ragione delle disposizioni prese dal Comando supremo ed a rendere manifesto il filo conduttore del suo pensiero durante lo svolgersi delle operazioni.
Accennerò pertanto, solo per sommi capi quali furono i risultati complessivi della battaglia, e qual’era la situazione alla sera del 24 ottobre.
IV corpo d’armata.
Nella conca di Plezzo (fronte della 50.a divisione), il nemico, sfondato alle 9,30 il settore centrale a Fornace, dilaga pel fondo valle e incalza;
ma alle 12 è fermato dinanzi alla stretta di Saga, già presidiata — secondo ordini dati in precedenza dal Comando supremo — da altre truppe (poichè l’esperienza, specialmente delle operazioni sulla fronte tridentina nel 1916, aveva dimostrato la necessita di presidiare anche le posizioni piu importanti di seconda linea, se si voleva assicurare la resistenza in tempo debito).
I settori laterali (Rombon e Cezsoca) resistono sulle prime linee, poi, minacciati di aggiramento per l’avanzare del nemico sul fondo valle, ripiegano, e le truppe del Rombon nella notte si ritirano in Val Raccolana ed alla Sella Prevala unendosi alla fronte della Carnia.
Sulla fronte della 43.a divisione, forze nemiche attaccano l’insellatura tra Krasji e Vrsic, sfondano prima delle ore 14 a quota 1270 la linea di resistenza ad oltranza, dilagano nella conca di Za Kraju, d’onde, verso le 17, scendono verso Caporetto, qui collegandosi colla divisione slesiana proveniente da Tolmino.
All’ala destra della divisione, fra le 11 e le 13, il nemico è in possesso della quota 2133 a nord di Monte Nero e della sella tra Monte Rosso e Monte Nero, ed appare nella regione del Kozliak, all’origine del contrafforte del Monte Pleka, attaccato fortemente dalla 50.a divisione austro-ungarica.
Tutta la fronte della 46.a divisione è attaccata in più punti dalla 50.a divisione austro-ungarica e dalla colonna settentrionale della 12.a divisione germanica, slesiana, la quale divisione opera sulle due rive dell’Isonzo contro l’estrema destra del IV corpo e l’estrema sinistra del XXVII che avevano il loro punto di contatto sul fiume.
Senonchè, il XXVII corpo, al quale era stata assegnata la brigata Napoli perchè fosse presidiata l’intera linea Monte Plezia-Foni - Isonzo, a sbarramento della riva destra dell’Isonzo, aveva soltanto occupato con un battaglione il Monte Plezia, tenendo in riserva il rimanente della brigata sull’alto versante.
Facile fu perciò alla divisione slesiana di sopraffare il battaglione di Monte Plezia e di aprirsi il passo per la riva destra, concorrendo così efficacemente allo sfondamento della prima linea sulla sinistra dell’Isonzo, presso Gabrjie — sfondamento che ebbe luogo prima delle 11.
La 12.a divi sione germanica, poco dopo sfondava anche la seconda linea verso Selisce, mentre la 50.a austro-ungarica, impossessatasi delle posizioni del Mrzli, attaccava la fronte Kozliak-Pleka - Spika.
Il Comando del IV corpo d’armata cerca di arginare colle truppe a sua disposizione (2.° e 9.° bersaglieri e brigata Foggia) la rotta del Krasji-Vrsic e quella di Selisce, ma non vi riesce.
Truppe della 12.a divisione germanica verso le 12 arrivano a Kamno, si impossessano verso le 14 del ponte di Idersko sull’Isonzo, ed alle 16, dopo vani nostri tentativi di resistenza al cimi tero di Caporetto, entrano in Caporetto.
Esse avanzano poi verso la linea d’armata Starijski- Staroselo- Matajur, dove la difesa è presto travolta.
E così, in poche ore tre successive linee di difesa cadevano nelle mani del nemico.
Il generale Montuori, il quale ha intanto assunto il comando dell’ala sinistra della 2.a armata (IV e VII corpo), organizza la difesa della stretta di Creda con la brigata Potenza della riserva d’armata, che era stata avviata a Sedula nella conca di Bergogna.
A sera, sulla fronte del IV corpo d’armata, la nostra linea di difesa va dalla Valle d’Uccea a Robic per Monte Stol, Potoki e San Volario.
La divisione slesiana spinge pattuglie di fronte a Robic.
Lo sfondamento della conca di Plezzo fu certamente un fatto deplorevole, ma rimediabile, perchè più formidabili posizioni noi avevamo più indietro nella stretta di Saga e sull’aspro contrafforte del Polonik per coprire la Val d’Uccea e la conca di Caporetto.
Ma lo sfondamento della insellatura Za-Kraju e quella della duplice linea che sbarrava la Val d’Isonzo, furono un colpo gravissimo inferto al IV corpo, perchè permisero al nemico di giungere a Caporetto, cioè al centro del vasto arco sul quale eran disposte tutte le difese, dalla stretta di Saga, pel Polonik ed il Monte Nero, all’Isonzo.
le quali caddero cosi di colpo.
La pioggia e la densa nebbia favorirono l’avversario in quanto impedirono a noi di scorgere le colonne nemiche che avanzavano, ed ostacolarono il tiro della nostra artiglieria; avrebbero dovuto invece essergli di danno impedendogli di vedere i nostri reticolati e di rettificare su di essi il tiro delle artiglierie e delle bombarde.
I reticolati coprivano con una linea ininterrotta tutta la fronte, e per superarli era d’uopo distruggerli con le artiglierie di medio e grosso calibro e colle bombarde.
È bensì vero che il tiro viene regolato nei giorni antecedenti all’attacco; ma, trattandosi di un tiro di precisione su un bersaglio di pochi metri di profondità, è necessario rettificarlo all’ultimo momento, bastando una variazione nelle condizioni igrometriche dell’atmosfera per modificare la gittata dei proiettili, specialmente quelli delle bombarde, i quali, contro i reticolati sono i più efficaci.
A queste deduzioni noi eravamo da lungo tempo giunti coll’esperienza della guerra.
Infatti, quando il 15 settembre 1916 l’offensiva del Carso (la prima dopo la presa di Gorizia) fu effettuata col cattivo tempo, le truppe che andavano all’assalto furono arrestate dai reticolati non ancora distrutti; perciò il Comando supremo prescrisse che le successive offensive si iniziassero soltanto col tempo bello, quando cioè si potessero individuar bene i bersagli.
Ho dovuto estendermi su questo argomento per rettificare ciò che da molti è stato detto ec cioè che il cattivo tempo abbia in tutto favorito l’offensiva nemica.
La verità è invece questa: che, dopo lo sfondamento delle nostre linee di difesa l’ha favorita; ma prima, quando si trattava di sfondarle, l’ha ostacolata.
XXVII corpo d’armata.
Alle 2 ebbe inizio il bombardamento nemico con gaz ed alle 4,30 il fuoco di distruzione sulle nostre linee e sulle vie di comunicazione, senza, come già dissi, che il fuoco di contropreparazione da me ordinato fosse effettuato.
Tra le ore 7,30 e le 9, anche a cagione della nebbia, ogni comunicazione telefonica e ottica tra il Comando del corpo d’armata, il Comando della 19.a divisione (quella delle 4 divisioni del XXVII corpo che era schierata sulla destra dell’Isonzo) e il Comando di artiglieria è interrotto.
Solo verso le 15 il Comando è informato che la linea CemponiKrad Vhr è stata sfondata.
Il Comando, portandosi alle cave di Kambresco, assoda che tutta la linea Jesenjak - Krad Vhr è perduta e il caposaldo di Monte Jeza è minacciato.
Dalla testa di ponte di Santa Lucia e di Santa Maria pare siano sboccate: la colonna meridionale della 12.a divisione slesiana; 3 reggimenti ed una batteria da montagna würtemberghese dell’Alpenkorps; truppe germaniche del gruppo von Berrer (composto delle divisioni 5.a, 26.a e 200.a); truppe austriache del gruppo Scotti (composto delle divisioni 1.a, 33.a e, più tardi, della 35.a).
Se però si considerano la scarsità delle strade (epperciò il molto tempo occorrente a lunghe colonne per sboccare dalla testa di ponte e per spiegarsi), le difficoltà grandissime di quel terreno così erto e stemperato dalla pioggia, e si tenga conto che già il nemico aveva dovuto superare la prima linea nella pianura di Volzana, è da arguire che alle ore 15 non abbiano potuto apparire sulla linea dei Cemponi che delle teste di colonna.
Dopo molte vicende, in seguito alle quali le brigate Taro e Spezia sono sopraffatte su tutta l’estensione della fronte, e la brigata Puglie, della riserva del corpo d’armata, interviene con poca efficacia nel combattimento, alla sera i resti della 19.a divisione, commisti alla 3.a del VII corpo, si trovano sulla cresta verso il passo di Zagradan ed attorno alla testata del Iudrio (verso Clabuzzaro e fino alla riva destra del torrente).
Cosicchè, anche la terza linea di difesa, che copriva la testata del Iudrio, era andata perduta.
Sulla sinistra dell’Isonzo, sulle fronti della 65.a, 22.a e 64.a schierate tra l’Isonzo e l’Avschek, si sviluppano attacchi e contrattacchi in seguito ai quali, fino alle ore 18 la situazione non muta.
Il Comando del corpo d’armata ordina alla 64.a divisione di occupare sulla destra dell’Isonzo il costone del Cicer a sbarramento del fiume e a sicurezza di tutti i ponti a valle della stretta di Doblar; ma, nella notte, prima che l’ordine sia eseguito, il Comando di armata dispone che le divisioni 65.a, 22.a e 64.a, che hanno perduto il collegamento col loro corpo d’armata, passino alla dipendenza del XXIV corpo.
A sera la prima brigata bersaglieri riceve ordine di portarsi dal Iudrio a Kambresco, a disposizione del comando del XXVII corpo.
VII corpo d’armata.
Era composto della 3.a divisione su tre brigate e della 62.a su due.
Esso aveva il còm pito, nel caso che l’azione nemica (attesa pel mattino del 23) fosse riuscita a soverchiare le prime linee dei corpi d’armata IV e XXVII, di sostenere le ali interne di tali corpi d’armata, schierandosi sulla fronte dal Matajur alla testata di val Iudrio, e di tenersi sempre in grado di pronunziare energiche controffensive.
Il 23, non essendosi pronunziato l’attacco, la 3.2 divisione si era portata verso la linea del Kolovrat (fronte a nord) e la linea Cima Xum-Pusno (fronte a nordest);
la 62.2 da Cividale verso la fronte compresa tra il Matajur e l’insellatura di Luico inclusa.
Nel mattino del 24 ottobre il Comando supremo aveva ordinato al generale Capello (trasferitosi il 23 col Comando della 2.2 armata da Cormons a Cividale) di presidiare fin da allora con forze adeguate la seconda linea di difesa del XXVII corpo lungo la dorsale lezaGlobokak, mettendovi anche artiglieria di piccolo calibro per impedire al nemico di mantenersi sulla linea Cemponi-Krad Vhr, se riuscisse a penetrarvi; e ciò allo scopo «di assicurare in ogni evento l’inviolabilità della testata del Iudrio».
Il generale Capello tosto rispondeva che gli ordini già dati al VII corpo corrispondevano a questo intendimento e che dietro il Globokak vi era la 5.a brigata bersaglieri.
Verso le ore 12 del 24 ottobre, il Comando del VII corpo, informato da quello del IV che il nemico, a quanto sembra, ha occupato Selisce, ordina alla 62.° divisione di predisporsi alla effettiva occupazione dell’insellatura di Luico e a quella del contrafforte GolobiIdersko, collegandosi ivi col IV corpo; alla 3.2 divisione di guarnire subito il Kolovrat e di presidiare colla 5.
brigata bersaglieri (concessa prima per questo scopo dal Comando della 2.2 armata), il tratto da Pusno al Globokak.
Al VII corpo era stato assegnato dal comandante dell’armata il còmpito di assicurare la linea del Kolovrat e la testata del Iudrio (còmpito corrispondente anche agli intendimenti del Comando supremo espressi con lettera del mattino del 24 ottobre, come dissi), e quello di contrattaccare il nemico avanzante per la destra dell’Isonzo, o che fosse riuscito a sfondare le prime linee.
Questo corpo d’armata non potè soddisfare nè l’uno, nè l’altro compito.
La testata del Iudrio ed il Kolovrat caddero in mano del nemico tra la sera del 24 ed il 25, e la 12.a divisione germanica giunse a Caporetto alle 16 del 24 senza che fosse attaccata sul fianco dall’insellatura di Luico.
Troppe circostanze mi sono ignote perchè io possa definire le cause della mancata azione del VII corpo.
La Commissione d’inchiesta per Caporetto, a pag. 138 del volume II della sua relazione, afferma che tra queste cause «culmina quella della imprevista e difficilmente prevedibile rapidità con cui gli eventi precipitarono».
Certo si è che fu per la grande breccia aperta attraverso al XXVII corpo e non chiusa, o non potuta chiudere a tempo dal VII, secondo il mandato assegnatogli, che si produsse la mortale rottura nella fronte della 2.a armata.
XXIV corpo d’armata.
Dopo un bombardamento durato dalle 3 alle 8 si pronuncia un attacco di fanteria su tutta la fronte.
Alcuni elementi di trincea perduti sono riconquistati.
Alle 21,30, in seguito alla perdita del Krad Vhr, il corpo d’armata riceve l’ordine dal Comando d’armata di ripiegare nella notte (unitamente alle tre già accennate divisioni del XXVII corpo) sulla linea Costone Cicer Vhr-Sobruk - Isonzo-Na Gradu.
Il movimento si compie regolarmente.
II corpo d’armata.
Nulla di importante avviene sulla sua fronte.
Alle 21,30 il Comando della 2.a armata invia l’ordine di ripiegare dietro la linea di protezione delle artiglierie, mantenendo saldissima l’occupazione di Monte Santo.
VI corpo d’armata.
Fuoco tambureggiante della 66.a divisione e attacco alla testata del vallone Sorgente, che riesce a rompere la linea e a giungere presso Kamarka.
Ma, contrattaccato da riparti delle brigate Cuneo ed Abruzzi, il nemico è respinto, ed alle 16 la linea è completamente ristabilita.
All’VIII corpo d’armata non si ebbe nessuna azione di fanteria.
Alla 3.a armata non vi furono il giorno 24 che azioni dimostrative di artiglieria e fuoco tambureggiante in alcune ore, seguito da piccoli attacchi a sud di Castagnavizza ed a sud di Selo, tutti respinti.
Riassumendo, nella giornata del 24 ottobre il nemico sfondava tre linee di difesa sulla fronte del XXVII corpo ed all’ala destra del IV corpo, giungeva a Caporetto facendo cadere di un sol colpo tutte le linee di difesa avanzate del IV corpo e prendendo prigioniere, in quel giorno e nei successivi, gran parte delle truppe di questo; s’impadroniva del nodo montuoso di capitale importanza che sorge intorno alla testata del Iudrio, avanzava sulla grande strada Caporetto - Cividale fino alla stretta di Robic, si apriva la via nella bassa val d’Uccea per la nuova strada che per Val Resia adduce alla bassa Val Fella.
Cadevano così in poche ore le formidabili posizioni sulle quali il Comando supremo faceva pieno assegnamento per una prolungata difesa e per il giuoco delle riserve.
La situazione si presentava adunque con caratteri estremamente allarmanti.
Caduto il grande baluardo della testata di val Iudrio, si poteva ancora impedire al nemico di dilagare verso;
la valle del Natisone difendendo la linea che dal Globokak (ove si attacca alla linea del contrafforte fra Isonzo e Iudrio) va al Monte Xum ed al passo di Zagradan a riallacciarsi a quella che per la sella di Luico, le falde del Matajur e la stretta di Robic va al Monte Stol.
Dietro questa vi era ancora il raccordo che da Monte Xum pel Monte San Martino si riannoda alla precedente sulle falde orientali del Monte Matajur.
Queste linee erano mediocri, in sè stesse considerate, ma avevano il notevole vantaggio di trovarsi lontane e non viste dallo schieramento di artiglieria del nemico, schieramento che avrebbe richiesto molto tempo per essere condotto innanzi; per queste ragioni sarebbero state capaci di lunga difesa se le truppe non fossero state demoralizzate in seguite agli avvenimenti del giorno 24.
Più indietro — ultima copertura della pianura — vi era ancora la linea che, appoggiandosi al Monte Maggiore, si svolge lungo la cerchia dei monti che avvolgono l’alto Natisone (Monte Cuniza-Monte CarnizaMonte Juanez) e proseguendo per Monte Madlesena e Monte Purgesimo, attraverso al Natisone ed al Iudrio, va a collegarsi al Monte Korada alla linea del contrafforte di destra dell’Isonzo.
Su questa linea, prima dello scoppio della guerra erano stati eseguiti dei lavori difensivi in quella parte di essa che si svolgeva nel territorio nazionale; ma eran lavori ormai antiquati.
E poi questa linea aveva maggiore sviluppo delle precedenti e si svolgeva in un terreno meno forte per natura.
Per tutte queste ragioni era d’uopo di contemplare fin dalla sera del 24 ottobre la possibilità che il nemico riuscisse a sboccare nella pianura di Cividale; nel qual caso le conseguenze avrebbero potuto essere gravissime:
il nemico sarebbe sboccato con direzione generale da nord a sud, perpendicolare alle linee di ritirata dei tre corpi d’armata che tuttora si trovavano sull’altopiano di Bainsizza (tre divisioni del XXVII, il XXIV ed il II), i quali avrebbero anche dovuto attraversare il profondo solco dell’Isonzo e condur seco la numerosa artiglieria di tutti i calibri che si trovava sull’altopiano; gli altri corpi della 2.a armata (VI ed VIII) e tutta la 3.a armata si sarebbero trovati in condizioni altrettanto difficili di ritirata, perchè tutti situati sulla sinistra dell’Isonzo (la 3.a armata molto avanzata sul Carso) con enorme quantità di materiali di artiglieria e d’altra specie e disponendo di una scarsa rete stradale in direzione del Tagliamento; mentre invece è ricchissima la rete stradale orientata da nord a sud che avrebbe permesso al nemico giunto nella pianura di Cividale di gettarsi con grandi forze sul fianco e sulle retrovie dei corpi d’armata retrocedenti e di stringerli tra il Tagliamento e il mare.
Questo grandissimo pericolo che mi si affacciò alla mente fin dalla sera del 24 era molto aggravato dalla rapidità con la quale si erano svolti gli avvenimenti nel giorno stesso, potendosi presumere e temere uguale rapidità nei giorni successivi.
La ritirata di quasi un milione di combattenti e di enorme quantità di materiale d’ogni specie (oltre a 5000 tra cannoni e bombarde), su una fronte di una cinquantina di chilometri solamente, sarebbe già stato un problema logistico e tattico di grande imponenza in condizioni normali, quando cioè fosse stato possibile di scaglionare in tempo debito in profondità truppe e materiali, e di effettuare una ritirata graduale ed ordinata, protetta da successive e tenaci resistenze di forti retroguardie disposte sulle linee a ciò indicate.
Ma, nelle condizioni morali in cui si trovava una parte della 2.a armata, le quali si temeva che si propagassero alla rimanente parte, nonchè alla 3.a armata, e col conseguente acceleramento nella ritirata, il pericolo diventava gravissimo, non escluso quello della perdita quasi totale dell’esercito, se non si prendevano immediate misure per farvi fronte.
Durante la giornata del 24 il Comando supremo dava le seguenti principali disposizioni:
1.° Ai Comandi della 1.a e della 4.a armata e della zona Carnia.
Durante l’offensiva austro-germanica sulla fronte Giulia dovevano assicurare l’inviolabilità della rispettiva fronte contro azioni diversive che sarebbero tentate; e ciò col più oculato e parsimonioso impiego di truppe e di munizioni, affinchè fosse conservata la massima disponibilità di forze e di mezzi per la fronte principale attaccata.
2.° Al comandante della zona Carnia si ordinava alle ore 18,10 di provvedere a qualunque costo e colla massima urgenza all’occupazione del Monte Maggiore e alla chiusura dello sbocco di val d’Uccea e del Rio Bianco (fronte Monte Baba-Monte Maggiore), avvertendolo che per val d’Uccea ripiegavano i resti della 50.a divisione ritiratisi da Plezzo, i quali passavano alla sua dipendenza.
Rispondeva alle 19,45 il comandante della zona Carnia di avere già disposto in conseguenza nel pomeriggio inviando due battaglioni alpini, due compagnie mitragliatrici e quattro batterie, oltre quelle mandate il giorno prima;
ma presumeva che i nuovi battaglioni non sarebbero giunti sul posto che il 26.
3.° Alle ore 19 si ordinava al comandante della 2.a armata di trasferire urgentemente a Bergogna una divisione su due brigate da prevalersi dalla riserva del Comando supremo.
Lo si avvertiva che si disponeva: a) perchè due divisioni della 3.a armata col Comando del XXX corpo si trasferissero a Nimis e un’altra divisione, pure della 3.a armata, a Torreano, e perciò in riserva dietro l’ala sinistra della 2.a armata (nel fatto, e su richiesta della 2.a armata, esse furono poi avviate:
due nel triangolo Cividale - Campeglio - Remanzacco, ed una fra Tarcento e Nimis); b) pel trasferimento dal Trentino di due divisioni che sarebbero sbarcate nella zona;
Udine - Tarcento (si avvertiva poi che questo trasporto non sarebbe stato completo che il giorno 28).
4.° Al comandante della 2.a armata si ordinava alle ore 21, in conseguenza degli avvenimenti di quel giorno, di arretrare la nostra occupazione sull’altopiano di Bainsizza dalla prima linea alla linea di resistenza principale e di prendere tutte le disposizioni per potere, ove la situazione lo esigesse, abbandonare anche quest’ultima linea e ritirarsi sulle posizioni della destra dell’Isonzo.
5.° Alle ore 22 si ordinava ai comandanti della 2.a e della 3.a armata di impartire d’urgenza e colla massima riservatezza le disposizioni per rimettere in efficienza la linea difensiva del Tagliamento, provvedendo ciascuno al tratto di sua giurisdizione con mano d’opera borghese.
6.° Il Comando supremo provvedeva per la immediata preparazione degli ordini di ritirata verso la linea del Tagliamento, da diramarsi, ben inteso, soltanto quando essa fosse imposta dalle circostanze.
7.° Finalmente, a conferma delle direttive verbali già impartite nella giornata al comandante della 2.a armata, gli si riassumevano con lettera delle ore 23 i concetti fondamentali ai quali egli doveva informare la difesa fronte a nord, nella doverosa previsione di tutte le ipotesi possibili.
Essi erano i seguenti:
a) L’ala sinistra dell’armata doveva essere imperniata al Monte Maggiore, ed ivi saldarsi colla destra del XII corpo (zona Carnia), che lo difendeva, in quel momento, con scarse forze.
b) Si doveva strenuamente contrastare ogni progresso nemico sulle seguenti linee successive di resistenza:
Prima linea.
Monte Maggiore-Monte Musi-Stol- Cima Starijski - Sella di Staroselo- Monte Matajur - dorsale del Kolovrat - Monte Jeza-Globokak.
Seconda linea.
Monte Maggiore - Monte Cavallo-Monte Le Zuffine-Monte Luppia-Monte Mia-Monte Matajur - Cima Merzl-Polava-Monte San Martino-Monte Xum- Globokak.
Terza linea.
Monte Maggiore - Monte Le Zuffine-Monte Carnizza-Monte Juancz - Monte Gragnenza-Monte Madlesena-Monte Purgessimo - Castel del Monte-dorsale del Korada.
c) Fra le suddette linee una difesa organizzata a compartimenti stagni doveva localizzare l’irruzione ovunque avvenisse, ed impedire che una breccia aper tasi in un tratto determinasse la caduta dell’intera linea.
Si segnalava come cosa di capitale importanza il mantenere la linea dello Stol, di minor sviluppo e che impediva il dilagare del nemico nella conca di Bergogna; e per tanto, se cadesse il tratto di fronte più orientale di esso (Vrsamia Glava- Cima Starijski) si doveva egualmente tenere la dorsale Monte Music -Monte Stol stabilendone il più economico collegamento con Monte Mia.
Molte delle disposizioni suaccennate risentono, naturalmente, della necessità di provvedere affrettatamente a far fronte alla imprevedibile situazione che si era creata colla precipitosa caduta delle principali linee di difesa.
25 ottobre.
Nel successivo mattino del 25 il Comando supremo partecipava a S. A. R. il comandante della 3.a armata che, in conseguenza della situazione creatasi all’ala sinistra della 2.a armata ed in previsione delle possibilità future, era necessario dare sollecitamente corso ai provvedimenti seguenti in conformità delle direttive verbali impartite nella mattina stessa a S. A. R.: 1.° Effettuare subito e celeremente lo sgombro delle artiglierie di grosso e medio calibro meno mobili oltre la Piave, intorno a Treviso.
2.° Arretrare tutte le altre artiglierie di medio e grosso calibro più mobili ad occidente del Vallone, tenendo presente l’eventualità considerata al successivo numero 5. 3.° Lasciare, per allora, ad oriente del vallone le poche artiglierie pesanti campali necessarie alla difesa.
4.° Presidiare fin d’allora, colle due divisioni di riserva lasciate all’armata, la linea del Vallone, la quale linea doveva servire a proteggere il ripiegamento dell’armata dall’attuale fronte, qualora venisse ordinato.
5.° Prendere tutte le predisposizioni per potere, ove la situazione lo imponesse, effettuare il ripiega mento dell’intera armata ad ovest del Tagliamento, restando inteso che per tale movimento sarebbero state a disposizione della 3.a armata la strada così detta dei paesi (Palmanova-Castion di Strada-Talmasson - Codroipo al ponte della Delizia), e quelle a sud.
Questo importantissimo ordine rivela chiaramente che ancora nel mattino del 25 ottobre, colle disposizioni date la sera prima a tarda ora alla 2.a armata, il Comando supremo non disperava di potere arginare l’invasione a nord e di poter mantenere la fronte tra il Korada ed il Carso;
ma, nello stesso tempo non esitava a prendere tutte le misure prudenziali per una ritirata sul Tagliamento, se la situazione lo imponesse, ed anche alla Piave, ove faceva inviare fin d’allora le artiglierie meno mobili.
Contemporaneamente all’ordine succitato alla 3.a armata, si scriveva al Comando del XII corpo d’armata (zona Carnia) che, nell’eventualità di dover disporre la ritirata delle armate 2.a e 3.a al Tagliamento, quel corpo avrebbe dovuto ritirarsi gradualmente sulle Prealpi Carniche.
Il collegamento colla 2.a armata doveva, pel momento, rimaner fisso a Monte Maggiore, la cui difesa spettava al XII corpo, ed il collegamento colla 4.a armata alla Casera di Razzo (altopiano di Razzo, tra l’alto Piave, l’alto Tagliamento ed il Degano).
Lo si invitava infine a considerare tale eventualità ed a tener pronti gli ordini senza diramarli.
Nella stessa mattina del 25 il comandante della 2.a armata mi aveva esposto verbalmente la situazione, riferendola poi in una relazione, alla quale, per la sua importanza, io debbo piu particolarmente accennare.
In essa era detto che il nemico, dopo aver sfondata la fronte del IV corpo, era dilagato facendo cadere tutte le posizioni di sinistra Isonzo di questo corpo d’armata — che in quel mattino aveva avanzato su Creda vincendo le nostre resistenze, ed attaccando con successo il Monte Stol — che il nemico aveva intaccato a Monte Ieza la linea di cresta di destra Isonzo e premeva fortemente su Luico — che reparti nemici per la destra Isonzo avevano raggiunto Auzza, mentre altra forte pressione veniva esercitata sulla fronte del XXIV e del II corpo d’armata (altipiano di Bainsizza) — che la situazione era molto grave:
l’ala sinistra dell’armata sfondata;
le linee frontali intaccate seriamente; la situazione sull’altopiano di Bainsizza insostenibile — che se molti reparti fecero bene il loro dovere, molti altri non lo fecero affatto, o resistettero in modo irrisorio.
Data questa situazione, il comandante della 2.a armata si chiedeva se allo stato delle cose non convenisse, nell’interesse supremo del Paese, anzichè impegnare le ultime divisioni per ristabilire una situazione con scarsissime probabilità di riuscirvi, pensare piuttosto a conservare in efficienza il massimo di uomini e di mezzi per dominare in seguito gli eventi.
Tale decisione era, secondo lui, per quanto dolorosa, la più razionale, ed imponeva la necessità di sottrarsi allo stretto contatto col nemico sotto la protezione di strenue difese di retroguardia e di ritirarsi almeno fino al Torre e forse al Tagliamento — soluzione quest’ultima più radicale e più dolorosa e forse in quel momento la migliore.
Dunque, anche il Monte Stol sul quale, come già dissi, facevo grande assegnamento per arginare a nord l’offensiva nemica, era caduto:
Eppure quella formidabile posizione dominante, che era lontanissima dallo schieramento d’artiglieria del nemico, e contro la quale questo non aveva certamente potuto portare che scarse artiglierie molto mobili pei fondi di valle, avrebbe dovuto resistere a lungo:
D’ora in ora tutto precipitava:
La situazione si presentava in modo sempre più tragico:
Delle tre linee di difesa che erano state contemplate nella lettera del Comando supremo delle ore 23 del giorno precedente, la prima era già stata sfondata nei due capisaldi di Monte Stol e di Monte Ieza.
Se la condizione morale delle truppe fosse stata quella dei tempi addietro, il Comando supremo non avrebbe esitato a gettare le ultime riserve sulle linee di combattimento per ristabilire la situazione.
Ma, se ciò fosse stato fatto in quel momento, quasi certamente anche esse sarebbero state travolte e sarebbero poi mancate nelle successive difese.
Io condividevo pertanto in quel momento il parere del comandante della 2.a armata, salvochè sulla celerità della ritirata.
Poichè era pur necessario di trattenere con ogni mezzo ed il più a lungo possibile il nemico incalzante; senza di che egli sarebbe presto dilagato nella pianura di Cividale, minacciando i fianchi e le retrovie del rimanente dell’esercito che avrebbe dovuto ritirarsi più a sud.
Tutto il tempo in tal modo guadagnato avrebbe consentito di trarre in salvo una parte almeno delle artiglierie che, altrimenti, si sarebbero dovute abbandonare.
Intanto, verso il mezzogiorno del 25, il generale Capello, da qualche tempo non lievemente indisposto, es sendosi aggravato, era costretto a lasciare il Comando della 2.a armata, del quale veniva incaricato il generale Montuori che già ne comandava l’ala sinistra.
La 2.a armata, la più forte dell’esercito, era troppo pesante in quel frangente.
La sua composizione aveva ben corrisposto, anche nell’offensiva di grande stile dell’agosto, ed avrebbe pur bene corrisposto in una difesa passo a passo di quel difficile terreno montano.
Ma, condotta improvvisamente, in seguito a tragici eventi, a dovere effettuare una guerra manovrata, ed in ritirata, aveva bisogno di esser resa più maneggevole.
Si ordinò pertanto nel pomeriggio del 25 che l’VIII corpo, di estrema destra dell’armata (conca Goriziana) passasse alla 3.a armata, e che il rimanente della 2.a armata fosse diviso in tre parti, agli ordini dei generali Etna a nord, Ferrero ad est e Sagramoso sul Torre, del quale doveva organizzare la difesa.
Nella sera di quel giorno 25 alle ore 20,30 il Comando supremo faceva conoscere al nuovo comandante della 2.a armata che gli ordini per il ripiegamento al Tagliamento erano pronti, ma, prima di diramarli, voleva sapere se tale ripiegamento era giudicato assolutamente necessario.
Il generale Montuori, interrogati i comandanti di corpo d’armata sulla situazione e sulle probabilità di resistenza della linea di difesa dell’armata, rispondeva ritenere possibile tale resistenza.
Fu pertanto decisa la ulteriore resistenza della 2.a armata sulla linea degli sbocchi.
In quello stesso pomeriggio del 25 il Comando supremo riceveva ancora le seguenti informazioni:
1.° Sulla fronte della 62.a divisione (VII corpo) il nemico si era impadronito dell’insellatura di Luico e le nostre truppe avevano ripiegato sulla linea difensiva Cepletiskis - Monte San Martino ove si sarebbe tentato di resistere.
2.° Molte truppe che si trovavano verso Auzza in val d’Isonzo e le batterie della valle dell’Avschek erano cadute nelle mani del nemico, il quale aveva anche occupato Ronzina.
3.°
Una colonna austriaca della forza di almeno una brigata aveva occupato Uccea fin dalle ore 7. 4.° Il ripiegamento delle fanterie ed artiglierie del XXIV corpo era stato iniziato nella notte sul 25, ma non era ancor compiuto alle ore 10.
Le truppe si trovavano sulle alture di Na Gradu, ripiegando verso l’lsonzo, dove occupavano il margine di Auzza, coprendo il ponte e collegandosi sulla destra dell’Isonzo colla brigata Treviso che stava salendo il Cicer Vhr, e colla 5.a brigata bersaglieri.
Tutto ivi procedeva in ordine.
In seguito a queste e ad altre consimili notizie di minore importanza, nella sera del 25 si invitava con fonogramma il Comando della 3.a armata ad accelerare lo sgombero e l’arretramento delle artiglierie e ad effettuare l’arretramento della fronte dell’armata sulla linea:
Vallone — teste di ponte sull Isonzo — linea di difesa della piazza forte di Gorizia, sfruttando accortamente le organizzazioni difensive intermedie.
Lo si informava che il VI corpo (ala destra della 2.a armata) ripiegava sulla linea: destra Isonzo — testa di ponte di Salcano — Sella di Dol, e lo si invitava a far conoscere quando il movimento sarebbe presumibilmente ultimato.
Si disponeva infine che l’8.° gruppo alpini di 4 battaglioni passasse a disposizione del Comando della zona Carnia per l’occupazione di Monte Maggiore e per la chiusura dello sbocco di Val d’Uccea e del Rio Bianco.
Nel pomeriggio del 25 telegrafavo al Ministro della guerra le tristi notizie della giornata, segnalandogli le perdite gravissime in dispersi e cannoni.
E soggiungevo:
«Vedo delinearsi un disastro contro il quale lotterò fino all’ultimo.
Ho disposto per resistere fino possibile nei monti e sul Carso, e predisposto, senza emanarlo, ordine ripiegamento sul Tagliamento».
Nella giornata del 25 il nemico aveva proseguito energicamente l’offensiva, allargando i risultati ottenuti il giorno 24.
Il gruppo Krauss, impadronitosi della stretta di Saga, sfondava lo sbarramento di Val Uccea esi affacciava alla Val Resia; con parte delle sue forze si impadroniva di Monte Stol, costringendo verso sera la nostra 50.a divisione a ripiegare su Bergogna, ove si ritiravano pure, dopo aver combattuto tutto il giorno, anche le truppe degli sbarramenti di Potoki e di Robic, abbandonando il Monte Mia, lasciando così libero alla 12.a divisione germanica l’accesso alla stretta del Pulfero, dove essa si incontrava col XXVIII corpo inviato a sbarrare la valle del Natisone.
Sul Kolovrat il nostro VII corpo si trovava impegnato fin dal mattino.
Dopo varie vicende, nel pomeriggio, mantenendo il Monte Matajur non ancora attaccato dal nemico, si ritirava sullo sbarramento di Polava e sulla linea Monte San Martino-Planina - Monte Napur.
Anche il XXVII corpo, il quale aveva difeso tutto il giorno il Globokak, ripiegava in conseguenza dei progressi del nemico in fondo a Val d’Isonzo.
Sull’altopiano di Bainsizza la nostra occupazione, premuta dal nemico, indietreggiava sulla linea Loga- FrattaSemmer-Kuk (711) - Jelenik; parte delle truppe passavano l’Isonzo.
Verso sera l’ala sinistra della 2.a armata era in ritirata sulla linea Monte Maggiore - Monte Cavallo- Monte Janer - Monte Carnizza-Monte Joanez - Monte MadlesenaMonte Purgesimo - Castel del Monte-Korada.
Su questa linea, secondo gli ordini dati dal Comando supremo, si doveva opporre resistenza ad oltranza.
26 ottobre.
Nel mattino il Comando supremo scriveva ai Comandi della 2.a e 3.a armata che la situazione che si era determinata sulla fronte della 2.a armata in seguito alle azioni del 24 ottobre aveva reso necessario il ripiegamento di questa sulla linea Monte Maggiore-Monte Juanez - Monte Madlesena-Monte Purgesimo - Castel del Monte-Monte Korada-Monte Kuk-Vodice - Monte SantoSella di Dol- Salcano, e che questa linea doveva essere difesa ad oltranza, perchè cederla sarebbe stato aprire la porta all’invasione.
Mettevo a disposizione della 2.a armata le divisioni 20.a e 33.a (della riserva del Comando supremo e dislocate a sud-ovest e sud-est di Palmanova) perchè ne costituisse riserva d’armata.
Il Comando d’armata doveva tosto riorganizzare le truppe che avevano ripiegato sul Torre e sul Versa, per farle concorrere alla difesa.
Per realizzare la massima economia di forze, la 3.a armata doveva tosto arretrare la propria fronte sulla linea indicata la sera innanzi tra la piazza di Gorizia ed il Vallone.
Si disponeva infine che, a ripiegamento ultimato, o, possibilmente, mentre questo si compiva, la 3.a armata dovesse mettere a disposizione del Comando supremo una divisione dell’VIII corpo e le 4 brigate della riserva d’armata, due delle quali dovevano, pel momento, rimanere presso l’armata, ma pronte a partire per esser portate rapidamente altrove.
E si concludeva con queste parole:
«occorre moltiplicarsi ed esigere da tutti il massimo sforzo, reprimere immediatamente qualunque segno di debolezza;
si deve contendere il terreno palmo a palmo, sbarrare a qualunque costo la strada all’invasore.
Fede e tenacia ci daranno vittoria».
Come si vede, nel mattino del 26 mi era rinata la speranza di potere sbarrare la strada all’invasore.
Era talmente duro il pensiero di dovere abbandonare il terreno conquistato con due anni e mezzo di lotta tenace e sanguinosa, e di dover lasciare in balìa del nemico le magnifiche provincie e le patriottiche popolazioni del Veneto, che la mente ed il cuore vi si ribellavano:
D’altra parte, come già dissi, se si volevano salvare le truppe che dal Iudrio al Carso ancora copriva» no la pianura, e gli immensi materiali che avevan seco, era assolutamente necessario arrestare il nemico agli sbocchi del Natisone; e ciò non si poteva ottenere che mediante una resistenza tenace sulla linea che dal Monte Maggiore va al Monte Korada.
Queste sono le ragioni che indussero il Comando supremo ad emanare quell’ordine.
La nuova speranza concepita non impediva però di prevedere che il corso degli avvenimenti imponesse la ritirata al Tagliamento.
In queste previsioni si emanavano in quello stesso mattino del 26 le seguenti disposizioni: 1.° Al Comando della zona della Carnia.
Nell’eventualità della ritirata della 2.a e 3.a armata al Tagliamento e del XII corpo alle Prealpi Carniche, doveva fin d’allora ritirare le artiglierie di grosso e medio calibro del tipo meno antiquato e meno mobile (20 pezzi in totale), sgombrare i materiali ingombranti ed effettuare questi movimenti specialmente per la nuova strada militare di Val d’Arzino (da Tolmino a Pinzano) verso il poligono di Spilimbergo, perciò sulla destra del Tagliamento.
Questo arretramento di artiglierie non doveva però influire sul contegno e sulla resistenza delle truppe nella difesa.
Doveva inoltre prendere tutte le disposizioni per effettuare nel miglior modo il ripiegamento delle truppe sulle Prealpi Carniche se e quando ordinato;
avvertendo che in questo caso era necessario iniziare l’arretramento dal settore orientale, solo quando il movimento di sgombro di cui sopra avesse oltrepassato il Monte Sflincis (alla confluenza di Val Resia e Val d’Aupa col Fella), il quale Sflincis (che era armato con pezzi di medio calibro) doveva resistere fino all’ultimo colpo, come pure il forte di Monte Festa che dominava la confluenza del Fella col Tagliamento e la valle di questo fiume fino a Tolmezzo.
Lo si informava infine che si metteva a sua disposizione la 63.a divisione.
2.° Al Comando della 4.a armata.
Si partecipava che nell’eventualità (considerata solo in via di doverosa previsione) che 2.a e 3.a armata dovessero ripiegare sul Tagliamento, il XII corpo ripiegherebbe sulle Prealpi Carniche.
In tal caso la 4.a armata dovrebbe ritirarsi sulla linea di resistenza ad oltranza (dalla Casera di Razzo, al Monte Tudaio, col Vidal, sbarramento di Val Boite a valle di Borca, testata di Val Maè, passo Duran, stretta del Cordevole al Sasso di San Martino, Piz Sagron, Viderna, Totoga, Remitte, Monte Levre).
Si ordinava di ritirare fin da allora le batterie di grosso e medio calibro meno antiquate e meno mobili (erano 32 pezzi in totale) e di sgomberare i materiali più ingombranti;
i quali materiali dovevano essere diretti sulla destra della Piave verso la zona Pederobba - Asolo - Montebelluna.
Si soggiungeva che tale parziale ritiro di artiglieria non doveva menomamente influire sul contegno e sulla resistenza delle truppe nella difesa.
Lo si invitava infine a prendere tutte le disposizioni per effettuare nel miglior modo il ripiegamento sulla linea di difesa ad oltranza se e quando ne fosse dato l’ordine.
Nella ritirata dall’attuale fronte tra il lago di Garda ed il mare (disposta su di un grande arco dell’estensione di circa 500 chilometri) a quella segnata in pianura dal Tagliamento, ed eventualmente alla Piave (estesa quest’ultima di circa 200 chilometri tra il lago di Garda ed il mare), il movimento retrogrado della 3.a e 2.a armata, delle truppe della Carnia e della 4.a armata doveva essere coordinato in modo che esse venissero successivamente ad occupare degli archi concentrici fino a quello definitivo determinato dalla linea montana Monte Altissimo-Monte Grappa e dal corso del basso Piave; e ciò doveva esser fatto in modo da mantenere costantemente la saldatura tra le armate ed i corpi delle stesse armate, per impedire che il nemico, infiltrandosi fra i medesimi, specialmente nelle gole montane, tagliasse fuori le colonne che fossero rimaste più indietro.
Ed era pur necessario che la 4.a armata, la quale aveva lunga strada da percorrere per giungere dall’alto Cadore allo sbocco della Piave nella pianura, iniziasse per tempo la ritirata della sua ala destra, per non correre rischio di vederla tagliata dal nemico che sboccasse dal passo della Mauria su Lozzo, o da quella di Fadalto su Ponte nelle Alpi.
A questi concetti corrispondono gli ordini già dati alla e alla 4.a armata ed i due ordini ora esposti ai Comandi della zona Carnia e della 4.a armata.
Difatti, la fronte di difesa della 4.a armata avrebbe arretrato sulla linea di resistenza ad oltranza, mentre la 3.a e la 2.a armata si sarebbero ritirate al Tagliamento, e, ultimato il ripiegamento, tutti si sarebbero trovati all’incirca alla medesima distanza dalle linee che avrebbero poi dovuto occupare tra il Monte Grappa ed il mare, se la ritirata avesse dovuto proseguire fino alla Piave.
In quello stesso 26 ottobre si avvertiva il Comando della 2.a armata che si metteva a sua disposizione la 20.a divisione che, da Mortegliano dove si trovava, si sarebbe trasferita a Nimis, ed inoltre la 2.a divisione cavalleria.
Lo si invitava pure a far ritirare la 50.a e la 34.a divisione, del IV corpo, in località arretrate dietro il Tagliamento ed a riorganizzarle colla massima sollecitudine ed energia, ed a costituirsi, sul totale delle forze disponibili, una congrua riserva d’armata.
Rispondeva il comandante della 2.a armata di aver collocato in riserva d’armata la 16.a divisione a Torreano, la 10.a a Corno di Rosazza e la brigata Sassari presso Manzano.
Nel pomeriggio si invitava infine il comandante della 2.2 armata a disporre perchè le posizioni di Monte Kuk-Vodice - Monte Santo fossero tenute con poche forze e che la linea di difesa ad oltranza si prolungasse dal Monte Korada per le alture di destra dell’Isonzo fino a collegarsi colla 3.a armata al Sabotino.
Lo si avvertiva inoltre di aver disposto per concentrare a cavallo del Tagliamento, nei dintorni di Pinzano, due divisioni agli ordini del generale Di Giorgio (che passava alla sua dipendenza), cui si era affidato il còmpito di garantire in ogni evento il possesso dei ponti da Pinzano a Trasaghis compresi, e ad impedire ad ogni costo infiltrazioni nemiche per le comunicazioni che penetrano nelle Alpi Carniche nel senso dei paralleli.
Basta difatti esaminare la carta per scorgere che il Monte Maggiore, punto di capitale importanza perchè al medesimo si appoggiava lo schieramento difensivo della sinistra della 2.a armata e della destra della zona Carnia, è notevolmente più vicino al Tagliamento nel tratto a monte di Pinzano di quanto lo fossero le posizioni ancora occupate dalla destra della 2.a armata e dalla 3.a armata dal basso Tagliamento.
Difatti, il Monte Maggiore dista in linea d’aria di 34 chilometri dal ponte di Pinzano e molto meno dal Tagliamento nel tratto più a monte; mentre vi sono 60 chilometri da Salcano al ponie della Delizia e 45 dal Vallone del Carso al ponte di Latisana.
Perciò, se il Monte Maggiore fosse improvvisamente caduto nelle mani del nemico (e tutto si poteva temere dopo quanto si era visto in quei giorni), non sarebbe più stato possibile difendere l’ultima linea occupata sui monti a cavallo del Natisone:
il nemico avrebbe trovato aperto l’accesso alla pianura ed al Tagliamento nel tratto importantissimo in cui questo si salda ai monti;
ed è facile vedere quali conseguenze disastrose avrebbero potuto manifestarsi alla destra della 2.a armata ed alla 3.a Giudicai pertanto necessario di fare al più presto occupare dalle due divisioni 20.a e 33.a collocate in riserva dietro la 3.a armata, e che furon poste agli ordini del generale Di Giorgio, costituendo quello che fu detto corpo d’armata speciale, quel tratto così importante del Tagliamento, ed ordinai che vi si recassero a marce forzate.
Che quei timori fossero fondati, è provato dal fatto che nella successiva notte sul 27 giunse la notizia che il Monte Maggiore non era più nelle nostre mani e che le nostre truppe avevano ripiegato su Monteaperta e Santa Trinità.
Si diedero tosto gli ordini i più energici perchè mediante contrattacchi tale occupazione venisse subito ristabilita e perchè fosse in tempo assicurata la effettuazione di tutte le interruzioni stradali previste.
Ma il Monte Maggiore non fu più ripreso:
Intanto, nella giornata del 26, la 2.a armata aveva compiuto il ripiegamento sulla linea Monte Maggiore - Monte Cavallo-Monte Purgesimo-Korada-Kuk - Vodice - Monte Santo.
Le operazioni del nemico segnano, nel complesso, in questa giornata, una sosta, pur riportando alcuni notevoli risultati.
Infatti, egli riesce a sopraffare in parte il VII corpo, costringendolo a ripiegare dalla linea Cepletischis - Monte San Martino-Hum, alla linea di resistenza ad oltranza.
Ed inoltre intacca questa linea di resistenza ad oltranza nei due capisaldi di Monte Maggiore e di Monte Juanez, respingendo la nostra difesa su posizioni retrostanti di poco valore.
In Val Resia giunge a San Giorgio, e sul Carso occupa Dosso Fajti.