Lettere di combattenti italiani nella grande Guerra (vol.2) Frase: #756
Autore | |
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Professione Autore | |
Editore | Edizioni Roma |
Luogo | Roma |
Data | 1935 |
Genere Testuale | Lettere |
Biblioteca | Biblioteca di Area Umanistica dell'Università di Siena |
N Pagine Tot | 241 |
N Pagine Pref | |
N Pagine Txt | 241 |
Parti Gold | 7-46 |
Digitalizzato Orig | No |
Rilevanza | 2/3 |
Copyright | Sì |
Contenuto
Vigino carissimo, a tavola oggi ho aperto la tua lettera del 23; ho cominciato a leggerla, ma quando ho visto che mi parlava di Carlo, ho chiesto il permesso di alzarmi; sono entrato nella mia baracca, mi son chiuso là dentro e ho divorato la tua lettera interrompendomi non so quante volte.
È inutile;
tu puoi avere tutta la forza che vuoi, puoi ormai avere avvezzato in quaranta giorni di guerra la mente alle visioni più truci, più terribili, ed esserti formato sull’anima quasi una maschera impenetrabile di stoicismo agli spettacoli più commoventi; e così riuscire a non pianger mai dinanzi a nessuna di quelle visioni crudeli e disumane che qui abbondano.
Ma tutte le volte che io mi fermo sul pensiero del nostro Carlo, la tristezza che mi assale è infinita.
Allora a nulla più vale la miglior forza d’animo e la maggior volontà d’essere forte:
allora come oggi davanti al racconto del Maggiore che lo amò come padre e che ebbe l’immensa fortuna di vederlo morire, allora io devo piangere.
È segno, senza dubbio, di debolezza, che forse sta male in un soldato, ma credi che qualche volta la volontà troppo poco può sul cuore.