Diario critico di guerra 1: Anno 1915 Frase: #119
Autore | Douhet, Giulio |
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Professione Autore | Militare |
Editore | Paravia |
Luogo | Torino |
Data | 1921 |
Genere Testuale | Diario |
Biblioteca | Biblioteca Comunale di Lucca |
N Pagine Tot | VII, 432 |
N Pagine Pref | 7 |
N Pagine Txt | 432 |
Parti Gold | 1-60 |
Digitalizzato Orig | No |
Rilevanza | 2/3 |
Copyright | No |
Contenuto
EspandiDIARIO CRITICO DI GUERRA 23 Maggio 1915.
— Ieri siamo partiti da Milano per recarci ad Ambaraga.
Era già noto dai giornali l’ordine di mobilitazione, ma noi lo ricevemmo arrivando a Brescia.
La Divisione è completamente, o quasi, mobilitata.
Ci mancano tuttavia un reggimento di fanteria, due batterie e le compagnie del genio già distaccate presso la 6a Divisione, la quale è in occupazione avanzata.
Siamo in seconda linea e, forse, destinati a mandare rinforzi a spizzico verso la 6a.
Questa mattina è giunto il decreto che stabilisce lo stato di guerra per diverse provincie, fra le quali quella di Brescia.
Ambaraga è un paesetto in mezzo alle colline, noi siamo alloggiati in una villa, il Comando è nell’asilo infantile.
Il Comando non è ancora completo, ma funziona e cerco di farlo funzionare con calma.
La tranquillità è completa.
Seguitano a piovere le disposizioni dirò così aeree.
In un paio di giorni sono arrivate:
le disposizioni per il riconoscimento degli aerei; le disposizioni per coprirsi dalla vista dall’alto; le disposizioni contro il bombardamento aereo.
Tutto ciò non è ancora giunto alle truppe, la maggior parte delle quali non ha mai visto un aereo e non avrà occasione di vederne tanto presto perchè non ne abbiamo.
Vero è che in questi giorni è giunto anche il nuovo regolamento del servizio in guerra, Parte IIa, e quello per l’esplorazione vicina e sicurezza.
Meglio tardi che mai.
Non ostante che il regolamento prescriva di ridurre la corrispondenza al minimo, il protocollo va avanti a tutto vapore.
Il Comando del Corpo d’Armata seguita nel sistema degli attergati, qualunque cosa avvenga.
La preoccupazione del superiore pesa più di quella del nemico:
sembra che il peggior nemico sia il superiore.
Il Comando del Corpo d’Armata vuole due telegrammi ed uno schizzo al giorno;
le disposizioni si avvicendano e si contrastano.
Qui non abbiamo nessuna notizia.
Ieri sera era corsa voce che fosse stata dichiarata la guerra, e forse il cannone ha già tuonato.
31 Maggio 1915.
— Domina la paura del superiore.
Unico scopo è di fare quanto può esser approvato dal superiore, non quanto ordina il buon senso.
La batteria di Fontana Nass (Edolo) è situata stupidamente, ma è approvata dal Comando d’Armata.
Non si può dimostrare la inopportunità di quella postazione perchè ciò potrebbe dispiacere al Superiore Comando.
E così di seguito.
Nella costituzione dei Comandi vi è stata, da un lato, la ricerca egoistica di avere buoni elementi, dall’altro, la ricerca affannosa dei buoni posti tranquilli, vicino al sole, rimunerativi a poco prezzo.
Così gli Alti Comandi sono pieni di gente e più si va in basso più si sente la deficienza dei quadri.
I Comandi di Armata e di Corpo d’Armata, riboccanti di personale che non ha nulla da fare, turbano i comandi inferiori con circolari, stati, statini, schizzi e schizzetti, che complicano il lavoro di chi deve agire e non ha mezzi.
Tutto ciò che importa un lavoro viene scaricato in basso con attergati.
Gli studi per gli attacchi e le difese finiscono per essere compiuti da qualche capitano e firmati da qualche Eccellenza.
A loro volta le Eccellenze comandano i battaglioni.
L’esagerazione del segreto giunge al punto che lo Stato Maggiore non sa quello che fa il Comandante.
Ieri il Capo di Stato Maggiore del Corpo d’Armata non sapeva se la 35a era ancora al Corpo d’Armata oppure no.
Il Comandante di Artiglieria del Corpo d’Armata non sa dove sia la sua artiglieria.
Noi non sappiamo quali truppe sono dinanzi a noi.
Ma si proseguono studi per la linea del Tonale, si seguitano a studiare posizioni difensive all’indietro e mi aspetto di dover studiare la messa in stato di difesa di Brescia.
Si studia, ma non si fa.
Al Tonale spariamo colla polvere nera e lo studio teorico della occupazione, all’atto pratico, ha dimostrato la sua falsità;
l’occupazione ha dovuto retrocedere sotto il fuoco austriaco.
Mancano all artiglieria gli strumenti di puntamento.
Mancano alla fanteria 4 mitragliatrici su 6 per reggimento, ma ci sono le sezioni, e non si comprende come ciò sia dannoso al morale delle truppe che notano la mancanza delle armi.
5 Giugno 1915.
— Ho l’impressione che nè il Comando Supremo nè il Ministero della Guerra abbiano chiaramente compreso il carattere della guerra attuale.
Questo carattere è dato dal larghissimo impiego delle macchine e dei lavori e dalla grande lentezza delle operazioni.
La vittoria non può venir data dalla battaglia, più o meno manovrata, ma dalla sapiente economia delle proprie forze, materiali e morali, e dall’esaurimento completo delle risorse e delle energie nemiche.
Questa mancanza di un giusto apprezzamento del carattere della guerra attuale ha già arrecato due gravissimi inconvenienti:
primo, che il nostro esercito è il più povero di macchine e quello che meno si preoccupa dei lavori; secondo, che si eccede nello spirito offensivo e nel tentare di procedere rapidamente, senza tenere abbastanza conto che non basta andare avanti, ma interessa, sopra tutto, non mettersi nelle condizioni di venire costretti a retrocedere.
Le condizioni generali della guerra sono tali che certamente — a meno di errori madornali — la vittoria finirà per arriderci.
Ma la deficienza delle macchine, l’indifferenza per i lavori e l’offensiva avventata procureranno un maggior consumo di uomini e, molto facilmente, scacchi parziali anche rilevanti.
La deficienza di macchine da guerra dimostra un deplorevole errore nel concetto organizzatore del nostro esercito.
I nostri Reggimenti di Fanteria posseggono una sola Sezione Mitragliatrici, le altre due sono senza armi, e ciò influisce sul morale delle truppe; solo in questi giorni vengono distribuite otto pinze tagliafili per Compagnia:
il complesso del nostro armamentario non differisce da quello che si poteva ritenere sufficiente prima della guerra russo-giapponese.
Tutto ciò che è avvenuto in questi dieci mesi di guerra non sembra sia stato osservato;
sembra quasi che non si siano letti neppure i giornali.
Le truppe non sono state esercitate a fare lavori in terra:
ne ho veduto, alcuni giorni fa, qualcuno eseguito da un Reggimento della Divisione, addirittura infantile.
Nè ufficiali nè truppe hanno l’idea di ciò che sia una trincea moderna.
L’Ispettorato del Genio, qualche tempo fa, mandò una istruzione per la costruzione delle trincee di cemento; la Divisione chiese l’autorizzazione di farne fare venti metri per Reggimento, ma il Comando del Corpo d’Armata rispose di no perchè il terreno sul quale la Divisione è destinata ad operare non vi si presta, essendo montano.
Viceversa, quasi contemporaneamente, mandava una informazione del Comando del Corpo di Stato Maggiore nella quale era detto che, in Val Cismon, gli Austriaci avevano costruito trincee di cemento armato.
D’altra parte è strano che il Comando del Corpo d’Armata affermi che la 5a Divisione debba sempre operare in terreno montano.
Ci ha però ordinato di fare esercitazioni di trincee in roccia, ma i Reggimenti non posseggono un chilogramma di esplosivo.
In Valtellina ed in Val Camonica si seguitano a studiare posizioni arretrate di difesa:
si studiano tutte, nessuna eccettuata, ma tutto si limita allo studio; a costruire ci sarà tempo, dicono, ed intanto migliaia di uomini oziano o si trastullano in tattichette ridicole, fra la sveglia ed il primo rancio, evitando danni alla proprietà privata.
Nessuno ha l’idea di come si costruisca un reticolato, di come si lanci una granata a mano, di come si attacchi un sistema di trincee, di come si abbatta una difesa accessoria.
Le truppe impareranno a loro spese, come è avvenuto in Francia; l’unica cosa che abbondi nel nostro esercito è la carta, in tutte le sue forme.
Questa deficienza di mezzi materiali dipende, e si ricollega, all’esagerato e falso spirito offensivo che sembra dover essere fine a sè stesso.
La facilità dei primi successi presenta il pericolo di far ritenere tutto facile.
Esiste, inoltre, il pericolo che sorga la tentazione di fare meglio e più degli alleati e di ricordarsi troppo spesso di Napoleone e di Moltke.
Nella guerra attuale necessita procedere lento pede e sarebbe davvero una fatale illusione ritenere che i nostri poveri 14 Corpi d’Armata possano decidere la guerra con un colpo di audacia.
La fortuna aiuta gli audaci, ma è passato il tempo in cui una guerra poteva esser vinta con un colpo di fortuna;
oggi la guerra si vince colla fermezza, colla perseveranza, col sacrificio di tutte le ore.
Naturalmente io non conosco il piano del nostro Capo di Stato Maggiore, ma ho la certezza che di piani non può esservene che uno di pratico;
tutti gli altri non possono derivare che da errori di calcolo, di apprezzamento, di criterio e di buon senso.
Per giungere a fiaccare la potenza austro-tedesca necessita lo sforzo concorde di tutti gli alleati.
Le azioni singole e slegate non fanno che il giuoco nemico che consiste nel lanciare colpi di mazza ora su di un punto, ora sull’altro del cerchio che lo serra.
Militarmente, il momento opportuno per dichiarare la guerra sarebbe stato quello in cui tutti gli alleati si fossero trovati pronti ad una offensiva generale.
Se, politicamente, non si potè attendere questo momento, dobbiamo attenderlo ora.
Perciò, se gli altri non sono pronti a fare lo sforzo massimo, è un errore il farlo noi:
occorre che ci limitiamo ad occupare quelle posizioni favorevoli che ci potranno servire come basi di partenza per la successiva avanzata generale.
Su tali posizioni è necessario affermarci solidamente, costituire una barriera sicura capace di rompere le corna a chi credesse avventarvisi contro.
Il tempo di attesa non è tempo perduto se viene utilizzato: manchiamo di tante cose:
Ma guai se ci spingiamo inconsideratamente avanti attirandoci contro la massa operante delle forze nemiche:
Certo contro di noi essa si rivolgerà, sia per necessità politiche, sia per odio: guai a noi se in quel punto saremo in aria:
Lo sforzo comune non può essere che lento, metodico, simile a quello di un sistema di macine inesorabili che si avanzino da tutte le parti, impedendo al nemico i suoi giuochetti ferroviari.
Infantile il credere ad una battaglia decisiva.
Bisogna adottare il metodo di Joffre: far consumare al nemico uomini e munizioni, portarlo alla fame, alla disperazione, trattenerlo da tutte le parti, minacciarlo dovunque, essere sempre pronti ad attaccarlo, ma attaccarlo solo quando e dove conviene, non mai attaccarlo perchè la teoria moderna predica l’offensiva.
Portare avanti, mano mano, la nostra linea di investimento, non perdere un’ora per renderla forte, considerare delitto il lasciare gli uomini oziosi.
Fare economia di uomini;
non indurre mai nel soldato il dubbio che si giuochi spensieratamente sulla sua pelle; avanzare anche solo di un metro, ma non retrocedere mai, neppure di un centimetro.
Il nostro soldato è meraviglioso e per soprappiù intelligente; se non si vuole essere criticati, occorre non dare ragioni alla critica.
Il soldato costretto a retrocedere fa risalire, e giustamente, la responsabilità ai suoi capi che non hanno saputo provvedere.
La nazione è ora in un momento di mirabile concordia, pronta a tutto, capace di ogni sacrificio, ma, per antico costume, facile allo scoramento:
necessita non provocarlo con scacchi parziali.
Il nostro piano di guerra non può essere quindi che semplice e pedestre.
Portare le nostre forze a contatto col nemico cercando di restringere al massimo la fronte di battaglia per renderla più densa e più salda.
Limitare la zona nella quale si intende procedere e nelle restanti fermarsi in buone posizioni e su queste affermarsi:
lavorare, lavorare e lavorare.
Nella zona prescelta procedere con cautela, sfruttare i vantaggi della difensiva per fiaccare l’impeto nemico e dell’offensiva per romperlo, una volta fiaccato.
Pensare che l’iniziativa delle operazioni non vuol dire affatto offensiva, ma bensì libera scelta fra offensiva e difensiva, a seconda che conviene.
Agire in stretto accordo cogli Alleati: gareggiare con essi, non imporsi di primeggiare.
Avere molta pazienza e molta costanza; imparare dai Francesi a smorzare la «furia», organizzare il paese a produrre ciò che chiede la guerra attuale: macchine, munizioni.
La mia prima impressione, sia dall’insieme, sia da quel poco che posso conoscere per la posizione che occupo, mi fa ritenere che i concetti adottati non corrispondano affatto a quelli qui espressi.
14 Giugno 1915.
— Gli articoli dei giornali magnificanti la perfezione della nostra preparazione fanno sorridere chi vive nell’esercito.
È utile, certamente, mantenere alta la fiducia del paese, sia pure esagerando l’ottimismo, ma sarebbe stato meglio l’avere realmente organizzato e preparato l’esercito in modo rispondente alle reali necessità della guerra.
Le deficienze della nostra organizzazione e della nostra preparazione, come ho già accennato, dipendono dal fatto che le nostre altissime autorità militari non hanno avuto una chiara visione del carattere della guerra moderna e sono perciò rimaste arretrate rispetto al progresso incalzante, rispetto allo stesso spettacolo della grande guerra, l’unica che poteva fornire degli insegnamenti veramente pratici.
Così, mentre presso le altre nazioni si provvede alla scarsezza delle munizioni facendone fabbricare in larghissima misura, presso di noi si crede rimediare mediante circolari, prescriventi, in tono burbero, l’economia delle munizioni.
Mentre la guerra attuale ha già provato che contro le sistemazioni difensive campali è necessario gettare uragani di proiettili capaci di tutto sconvolgere, presso di noi si ordina di non tirare che a colpo sicuro e di raccogliere i bossoli di fucileria.
Si è atteso il maggio per modificare le cariche delle artiglierie campali riducendole di 1 /6 per conservare più a lungo le bocche da fuoco.
Questa operazione delicata venne compiuta presso i corpi, non da specialisti.
Con ciò si viene ad ottenere una minor gittata precisamente nel momento in cui la guerra dimostra l’utilità delle grandi gittate.
La variazione della gittata influisce sulla graduazione delle spolette nel tiro a tempo, ma, niente paura, l’Ispettorato di Artiglieria fornisce una apposita formuletta che i Comandanti di batteria applicheranno tranquillamente sul campo di battaglia.
Oh:
l’Ispettorato di Artiglieria si è dimostrato all’altezza del suo compito:
Per alcune bocche da fuoco, ancora a polvere nera, il cambio colla polvere infume avvenne precisamente a cavallo dell’ordine di mobilitazione.
Alcune bocche da fuoco, colle nuove cariche, scoppiarono, ed allora, in fretta e furia, venne ordinato di non adoperare più la carica massima, ma come massima la successiva a questa.
Gli ordini relativi vennero spediti per telegrafo ed in cifra, per cui si finì per non capire più niente.
Di fatto i tre sbarramenti dipendenti dal settore — e due sono al confine — non sapevano più con quali cariche sparare.
Il Comandante di Artiglieria dello sbarramento del Tonale mi fece vedere la comunicazione ricevuta al riguardo.
La comunicazione cifrata era incomprensibile per la cifratura inesatta; fatta correggere la cifratura, era incomprensibile per il testo.
Si fu costretti a scrivere al Comando del Corpo d’Armata pregandolo di fornire tali delicatissime comunicazioni per lettera.
Finalmente, dopo alcuni giorni, arrivarono le lettere spiegative.
Un caso elegantissimo avvenne allo sbarramento di Bormio Da quello sbarramento giunse al Comando del Settore l’informazione che lo sbarramento aveva fatto fuoco contro reparti nemici, alla distanza di circa 9000 metri, con buoni risultati.
L’informazione fu trasmessa al Comando di Armata dove vi è un Generale d’Artiglieria.
Il Comando di Armata, aiutato da tale Generale, comunicò al settore la sua meraviglia perchè, essendo il forte armato di cannoni da 120, aventi la gittata massima di 7300 metri, non comprendeva come avesse potuto sparare a 9000 metri.
Intanto proibiva al forte di far fuoco.
Il Comando del Settore, dopo avere consultato il Manuale del Lambert, divise le meraviglie del Comando d’Armata.
Intanto il forte chiedeva insistentemente l’autorizzazione di sparare su reparti nemici che lavoravano a 9000 metri.
A sciogliere l’intrigo venne inviato il Comandante di Artiglieria della Divisione a Bormio.
Questi scoperse che i cannoni del forte non erano dei 120 ordinari, ma dei 120 speciali, aventi una gittata massima di 12.800 metri e perciò capaci di ottimamente sparare a 9000.
Da mesi si preparava l’azione, ma nessuno lo sapeva:
Per ritornare alle cause della deficiente preparazione ed organizzazione dell’esercito credo che, oltre quelle già accennate, bisogna considerare la seguente:
Gli ufficiali si distinguono in due categorie: i fissi ed i fissi con un «e» al posto del primo «i».
I fissi sono coloro che rimangono abbarbicati ai posticini comodi e produttivi;
gli altri quelli che permangono alle truppe e tirano, come volgarmente si dice, la carretta.
I fissi non debbono la loro posizione a doti personali, ma a protezioni, raccomandazioni, intrighi di corridoio od altro; viceversa sono quelli che reggono l’esercito, che lo ordinano, che lo preparano; benchè, per essergli più lontani, meno ne conoscono gli effettivi bisogni.
D’altra parte l’esercito è un organismo accentratore per eccellenza; ogni più piccola cosa giunge al ministro, e, siccome il ministro ha altro da pensare, non se ne intende e non può far tutto, ne risulta che l’infausta categoria dei fissi, che popola i corridoi poco puliti del Ministero e del Comando del Corpo di Stato Maggiore, giudica e manda secondo che avvinghia, passando sopra agli stessi pareri dei Comandanti di Corpi d’Armata, visto che la firma del Ministro o «pel Ministro» copre ogni merce.
Così l’esercito viene organizzato e preparato da una mediocrità che poco lo conosce e che lavora a tavolino nelle ore di ufficio, quando non legge il giornale, che pone la burocrazia al di sopra di tutto e solo si preoccupa di conservare il posticino comodo e fruttifero.
Vige la consuetudine che l’Ufficiale dopo due anni di servizio al Ministero viene gratificato colla Croce di Cavaliere, ne occorrono quattro al Comando del Capo di Stato Maggiore, alle truppe bisogna raggiungere il grado competente.
Basta leggere l’Annuario per rendersi conto di come la categoria dei fissi sia bene amalgamata e di come costituisca una chiesuola che respinge i non adepti e vive di piccole miserie, di piccole invidie e di meschini pettegolezzi.
In tale categoria è difficile possa inserirsi e permanere una persona intelligente e di carattere, mancante cioè di sufficiente pieghevolezza della spina dorsale.
Questa categoria, che giunge persino a far passare delle leggi per interesse personale, è gelosissima delle sue prerogative e perciò ostacola qualsiasi decentramento.
Inoltre, per amore di quieto vivere e per lunga consuetudine burocratica, è ostile a qualsiasi progresso od innovazione.
Naturalmente la divisione fra le due categorie non è cessata, nè lo poteva, allo scoppiare della guerra.
La massima parte dei fissi seppe trovarsi, anche in guerra, il posticino comodo, tranquillo, rimunerativo.
Basta dare un’occhiata al Bollettino di Mobilitazione — compilato dai fissi — per convincersi di ciò, e per constatare come i più trascurati furono gli elementi combattenti, quelli che veramente agiscono ed assumono gravi responsabilità.
Mentre i Comandi di Divisione non posseggono che un solo ufficiale di Stato Maggiore, gli altissimi Comandi e le Intendenze ne riboccano, non solo, ma scelsero gli ufficiali che ritennero più idonei.
Il Comando della Divisione di Milano, nel quale il Generale ed il Capo di Stato Maggiore erano nuovi, all’atto della mobilitazione, venne a perdere due dei tre ufficiali di Stato Maggiore e precisamente quello che si era sempre occupato della mobilitazione e quello che si era sempre occupato del terreno.
Uno di essi venne sostituito da un capitano dei bersaglieri.
Fatto presente che questi avrebbe potuto andare all’Intendenza in luogo del Capitano di Stato Maggiore che aveva fatto gli studi del terreno, fu risposto essere impossibile perchè quel tale ufficiale destinato alla Intendenza (Trasporti e tappe) aveva fatto studi speciali al riguardo alla scuola di guerra (:!).
La pletora del personale ai grandi comandi fa sì che tutti questi signori, dovendo pure passare il tempo, non fanno che disturbare i comandi inferiori con un carteggio che assorbe ogni attività e con inframettenze che turbano il regolare funzionamento del complesso organismo.
I comandi più sono elevati, più dovrebbero dare ordini e disposizioni generiche e comprensive, meno dovrebbero scrivere: viceversa sono quelli che posseggono personale più numeroso.
Ciò li trascina ad entrare nelle attribuzioni dei comandi inferiori ed a turbarli.
Nel caso nostro, il Comandante della 5a Divisione è comandante del settore Valtellina - Val Camonica; ha un mandato ben definito ed attribuzioni ben chiare.
L’azione del Comando del Corpo d’Armata dovrebbe limitarsi a fornire direttive generali.
Invece accade il contrario.
Il Comando del Corpo d’Armata vuol saper tutto.
Tutto ciò che accade deve venirgli riferito, e quando non accade niente vuole che ogni due ore gli si telefoni che non è accaduto niente.
Così ogni fucilata che parte al confine viene telefonata fino a Brescia.
L’altro giorno gli fu comunicato che una nostra pattuglia aveva fatto fuoco di sorpresa contro un posto austriaco di 15 uomini e ne aveva visto restare tre.
Il Comando d’Armata telegrafò di urgenza chiedendo che cosa era successo degli altri 12.
Pure l’altro giorno S. E. il Comandante del Corpo d’Armata, qui venuto, chiese se una batteria sarebbe stata per il 12 al Pianaccio, come il Corpo d’Armata aveva disposto.
Nessuno ne sapeva niente.
A forza di indagare si riuscì a scoprire che vi era stato un discorso fra S. E. ed il Comandante di Artiglieria del Corpo d’Armata, discorso che questi aveva comunicato per lettera al Comandante del 27° Artiglieria, il quale non aveva ancora ricevuto la lettera.
Così il Comandante del Corpo d’Armata ordina ad una batteria dipendente dal Settore di prendere una certa posizione senza neppure informarne il Settore.
Così il Comandante del Genio del Corpo d’Armata ordina a truppe del Settore lavori e strade che il Comandante del Settore viene a conoscere per combinazione.
Così il Comando del Corpo d’Armata comunica direttamente direttive ai Comandanti degli sbarramenti.
Il Comandante del Settore deve informarsi per tentativi e vi riesce per approssimazione.
Il grande numero dei disoccupati provvisti di automobile passa il tempo girellando per le varie zone.
I più graziosi sono i Comandanti di Artiglieria e del Genio i quali ritengono di essere i Comandanti effettivi di tutto il Genio o di tutta l’Artiglieria che dipende dal Comando al quale essi stessi appartengono.
Così avviene che il Comandante del Genio del Corpo d’Armata ritiene di poter dar ordini diretti a tutto il Genio del Corpo d’Armata; il Comandante del Genio dell’Armata a tutto il Genio dell’Armata ed il Comandante Generale del Genio a tutto il Genio dell’Esercito.
Lo stesso avviene per l’Artiglieria;
E così capitano le sorprese.
L’altro giorno, per esempio, il Comando della Divisione ha saputo, per combinazione, da un impiegato della stazione, che sarebbero arrivati quattro treni trasportanti una batteria del 149 G. Ancora, ufficialmente, non è giunto nulla.
Il Comando del Corpo d’Armata entra nei minimi particolari e mette a posto persino i plotoni.
Oggi il Comandante della Divisione ha chiesto al Comando del Corpo d’Armata l’autorizzazione di spostare due plotoni.
Tutto ciò potrebbe far sorridere se si trattasse di grandi manovre, ma, nelle condizioni presenti, stringe il cuore.
Chissà quante migliaia di esistenze costerà e quali disavventure apporterà un tale stato di cose in cui predomina il disordine e l’incoscienza.
È veramente penoso vivere in questo ambiente, rendersi conto di tutte queste manchevolezze, che sono altrettante colpe, e non poter far nulla, nulla.
24 Giugno 1915.
— Il primo mese di guerra si è oggi chiuso.
Io non so esattamente quali siano stati i risultati positivi conseguiti in tale mese, ma, dal complesso, mi pare che non si sia molto conseguito, oltre l’occupazione di alcune posizioni oltre frontiera.
Non so quanto ciò sia costato, e, specialmente quanto siano costati gli attacchi sull’Isonzo.
Ho l’impressione, tuttavia, che siano costati più di quanto valgono.
L’avversario non è ancora presente:
ciò che ci fronteggia non è che una piccola parte dei nemici che potremo avere, un giorno, contro di noi.
Questo primo mese di guerra conferma le mie previsioni:
nella guerra presente non si procede a mosse napoleoniche: si procede, quando lo si può, a piccoli sbalzi, lentamente, penosamente.
La teoria della offensiva per l’offensiva è errata:
gettare gli uomini contro il cemento armato è lanciarli ad un inutile macello.
La guerra attuale si vince risparmiando le proprie forze ed esaurendo quelle del nemico, blindando materialmente il petto dei nostri soldati, assaltando, non colla baionetta, ma colle tonnellate di proiettili e colle tonnellate di esplosivi, usando le macchine che centuplicano le forze degli uomini, e non gettando gli uomini nudi contro le macchine di acciaio.
Se noi, valendoci della grande superiorità numerica che ora possediamo e sprecando i nostri soldati contro le difese avversarie, tenteremo di andare baldanzosamente avanti, senza pensare che si dovrà resistere nel momento in cui su di noi si getterà l’impeto nemico, ci prepareremo a gravi insuccessi.
I giornali, e specialmente il Corriere, hanno gettato il grido d’allarme per le munizioni.
Occorrono munizioni, si grida da lungo tempo in Francia ed in Inghilterra, ma i nostri dirigenti non se ne sono ancora accorti: raccomandano l’economia.
Preferiscono gettare gli uomini.
Dieci mesi di esperienza altrui non hanno insegnato nulla.
Ricominciamo l’esperienza per conto nostro.
Secondo il Capo di Stato Maggiore, il libretto «Attacco frontale» avrebbe dovuto contenere il recipe sovrano per la vittoria.
Pareva dovesse contenere delle novità straordinarie e conteneva norme che sarebbero state eccellenti nel ’66.
Sembra che le lezioni subite in questo primo mese di guerra abbiano già dimostrato che le norme per l’attacco frontale non servono a tutti gli scopi, tanto è che ieri è arrivata una circolare nella quale si danno i primi dettami per l’attacco regolare delle posizioni fortificate.
La cooperazione della artiglieria e della fanteria ha oggi cambiato figura.
Contro posizioni fortificate la fanteria non può avanzare se l’artiglieria, a furia di proiettili, non ha completamente sconvolto le difese avversarie.
Il giuochetto della cooperazione, quale è inteso dalle norme per l’attacco frontale, è ingenuo e l’ingenuità fa brutta figura nella presente guerra.
Gli Austriaci, con una forza complessiva di non più di tre o quattro Corpi d’Armata, già duramente provati, ci tengono fermi, o quasi, dinanzi alle loro posizioni fortificate; questa è, nella fredda realtà, la vera situazione.
La loro artiglieria è invisibile e ricca di munizioni, non accetta il duello colla nostra, non si presta affatto al giuochetto della cooperazione quale noi l’intendiamo; la fanteria austriaca, finchè la nostra artiglieria spara i suoi radi e parsimoniosi colpi, nelle sue trincee non ci sta.
Vi si affaccia, invece, quando la nostra fanteria giunge presso i reticolati e la nostra artiglieria non può più sparare.
L’artiglieria deve quindi cooperare collo sconvolgere profondamente le difese avversarie in modo che queste non possano più contenere la fanteria nemica.
Guai a noi se non ci prepareremo sul tergo una linea di difesa salda e robusta sulla quale possa frangersi l’urto nemico:
Guai a noi se non sapremo procurarci le munizioni necessarie:
Nel nostro settore, mentre gli Austriaci gettano sui nostri alpini granate e shrapnells a profusione, i nostri forti tacciono perchè le loro munizioni sono contate.
Gli Austriaci lavorano sotto i nostri occhi e sotto il nostro tiro, ma i nostri cannoni tacciono perchè il «per cento» delle probabilità di colpire non è un per cento economico.
Gli Austriaci lavorano per costruire una strada adatta a trasportare artiglierie al Monticello, ma i nostri forti tacciono perchè per sparare un colpo bisogna, presentare una domanda, per via gerarchica, al Comando del Corpo d’Armata.
Per quale ragione, mentre gli Austriaci, dopo un anno di guerra e colla miseria che li affligge, hanno tante munizioni, noi ne abbiamo così poche:
Chi è il colpevole di un tale stato di cose:
Qui, al Tonale, abbiamo un bellissimo — per modo di dire — sbarramento.
Il forte di Corno d’Aola — pare sia costato 7 milioni — ha 6 cannoni da 149 A in cupola, ma presenta due manchevolezze:
manca di osservatori ed ha poche munizioni, L’osservatorio buono ci sarebbe, ma è in mano del nemico oggi come lo era prima della guerra, essendo sul confine.
Chi ha avuto la luminosa idea di costruire un forte di sbarramento cogli osservatori in territorio nemico:
Eppure chi sa quanti generali e quanti tecnici avranno studiato la grave questione, chi sa quanta carta protocollo e quanto inchiostro saranno stati consumati per risolvere in modo così elegante il problema dello sbarramento del Tonale:
Abbiamo chiesto qualche obice potente per smantellare i forti austriaci e permetterci di conquistare gli osservatori che mancano: non ci sono.
Abbiamo chiesto un draken per costituire un osservatorio provvisorio:
non c’è.
Abbiamo chiesto munizioni per sparare con maggiore larghezza, se non altro per effetto morale:
non ci sono.
Però ci hanno mandato una batteria di 4 cannoni da 149 G.
(quando ero all’Accademia Militare figuravano fra i migliori cannoni) i quali spareranno delle granate di ghisa, senza veder niente, come gli altri non vedono niente.
Fra le artiglierie moderne il settore possiede anche una batteria da montagna da 75 B. R. Ret., che spara — bontà sua — fino a due chilometri.
L’abbiamo issata su di un picco per fare i fuochi artificiali.
Una volta, in una «intervista col buon senso» — scritta una decina di anni fa — concludevo dicendo che il più accanito antimilitarista era il ministro della guerra.
Verità sacrosanta:
Quanti saranno deferiti ai tribunali di guerra e fucilati, molto meno colpevoli di quei pochi che hanno ricevuto, o riceveranno, per lo stesso motivo, il gran Collare dell’Annunziata:
Fino a poco tempo fa mi meravigliavo di ciò che avveniva nella aviazione, abbandonata in mano di persone inette e peggio: oggi non mi meraviglio più perchè constato che l’aviazione non rappresenta una eccezione, ma la regola, e delle regole non si meravigliano che gli ingenui.
Tutto va e tutto è andato come nell’aviazione, ed il paese, l’eterno ingannato, ora paga le spese in sangue e in denaro.
Gravissimi e non necessari dolori si preparano all’Italia nostra per colpa dei suoi governanti che non hanno saputo prepararla alla guerra inevitabile, per colpa di tutto un passato di compromessi e di disonestà che non si può distruggere nè in un’ora nè in un mese e che lascia dietro di sè una coda lunga e triste.
È nostra abitudine cadere nelle esagerazioni, copiando malamente ciò che gli altri hanno fatto, anche se l’hanno fatto malamente.
Il grande sentimento di cavalleria che ci anima in ogni circostanza, anche quando dobbiamo combattere i nemici meno leali e meno cavallereschi, ha fatto sì che, fino a quando non scoccarono le 24 di quel benedetto giorno, Tedeschi ed Austriaci rimasero in casa nostra come padroni, fecero ciò che più loro talentava e certo la nostra mobilitazione occulta di occulto non ebbe che il nome.
Ogni tanto venivano denunciate spie alla Divisione, i carabinieri se ne interessavano, guardavano le loro case dal di fuori, ma il Procuratore del Re non concedeva il mandato di perquisizione su soli dubbi, sì che le spie funzionavano egregiamente sotto l’egida delle materne leggi italiane.
Scoppiata la guerra, ed erano dieci mesi che ci si pensava, si rimase un poco turbati e ci volle qualche tempo per orientarci.
Per esempio non si pensò che il confine svizzero presentasse un facile transito alle spie.
Ci vollero venti giorni per accorgersi che lo spionaggio poteva utilizzare il personale svizzero della ferrovia del Bernina che fa capo a Tirano, in piena zona di guerra.
Ma si stabilì la censura postale essenzialmente dalla zona di guerra verso l’interno del paese, e la censura divenne una cosa colossale e di un funzionamento quanto mai perfetto.
In alcuni centri importanti furono riuniti dei vecchi personaggi, ormai fuori uso, la maggior parte appena capace di leggere lo stampato, ai quali si dette il delicato incarico di censurare la corrispondenza.
Immaginate tutte queste brave persone, comprese della loro alta missione, alle prese coi milioni di lettere defluenti dal fronte verso il paese, lettere di ufficiali, di soldati, di cittadini, di banche, di aziende, ecc.; per ore ed ore consecutive intente a leggere di argomenti svariatissimi ed a decifrare le più svariate calligrafie, animate dallo zelo dei neofiti, introducenti il loro naso nelle più calde intimità di tutta una gente su cui la morte incombe in ogni istante.
Naturalmente, fra i nuovi ed improvvisati censori, ve ne devono essere di tutte le razze:
il semplicista, il facilone, il sospettoso, il furbo o che si crede furbo, ecc.
Le povere lettere, scritte col cuore alle persone lontane e care, debbono passare attraverso i diversissimi vagli; molte frasi innocenti saranno soppresse ed un estremo saluto forse non giungerà perchè uno zelante, per quanto imbecille, censore può in una frase a lui oscura — e quali frasi possono essere chiare all’anonimo indifferente:
— aver creduto di rintracciare chi sa quale ira di Dio.
Conseguenza più immediata di tutto questo lavoro è di far ritardare la consegna della corrispondenza agli interessati, integrando così il lavorìo postale del quale non si potrà mai dire tanto bene quanto merita.
Allo scopo non serve a niente.
Chi intende comunicare cose vietate non si serve della posta o se ne serve con le dovute cautele.
Non si può scrivere in cifra, ma la miglior cifra è quella che non si riconosce.
La censura va fatta bene e per essere fatta bene deve essere ristretta.
Interessa essenzialmente vigilare sulla corrispondenza che esce dai confini.
Poi deve essere segreta, nessuno dovrebbe sapere come viene esercitata.
I governi sospettosi hanno sempre esercitato la censura, ma nessuno, ricevendo una lettera, sapeva se era stata letta oppure no.
Ed è questo l’unico sistema per riuscire ad acciuffare i birbanti.
Se in una accolta di ladri mando cento carabinieri in uniforme è ben difficile che riesca a pescarne uno in flagrante:
molto più facile mi riuscirà mandandone uno solo, ma in borghese.
Per i militari la censura dovrebbe essere fatta presso i corpi e la cosa riuscirebbe facilissima se venissero distribuite cartoline e buste in franchigia solo portando il bollo del corpo.
Bisogna mancare di ogni tatto psicologico per organizzare una censura come la nostra.
Essa porta una depressione morale nell’elemento educato ed intelligente, perchè nulla vi è di più ripugnante del sapere che le proprie lettere sono aperte da un indifferente, che può essere anche un imbecille, il quale può sorridere, od anche ridere, alla lettura di una espressione intima, affettuosa, puerile, che si diriga ad una persona cara.
Il conforto morale di intrattenersi idealmente, intimamente, colle persone care è abolito ed abolito stupidamente, senza scopo, senza risultato, così tanto per fare.
Il fatto è che quando ci si accinge a scrivere non si sa più ché dire, si teme che le frasi più banali e più semplici possano divenire sospette e si finisce collo scrivere stupidamente, freddamente, nel momento in cui si vorrebbe meglio dire, meglio ci si vorrebbe accomunare colle intimità lontane.
Ciò porta alla ricerca di tutti i mezzi per sfuggire a tale incubo.
Il servizio postale, come ho detto, integra l’opera della censura.
La guerra, venuta così improvvisamente, ha, naturalmente, trovato impreparato il Ministero delle Poste.
Vero è che il Ministro Riccio in una intervista alla stampa (Corriere) afferma tranquillamente che tutto va per il meglio; vero è che oggi è arrivato qui un Ispettore postale col grado di maggiore, in automobile, naturalmente, con grandi occhiali, grande berretto e grande aria d’importanza, ma non perciò la posta va.
Abbiamo copiato ciò che dieci mesi fa fece la Francia sorpresa.
Il sistema è semplicissimo.
Dal paese si scrive al soldato X della 4a Compagnia del 2° Battaglione del 1° Reggimento Fanteria, Zona di guerra.
La lettera va in una località di concentramento:
quivi qualcuno cerca su di una tabella dove si trova la 4a Compagnia del 2° Battaglione del 1° Reggimento Fanteria e manda la lettera alla posta militare di quel Corpo d’Armata nel quale si trova quella certa 4a Compagnia.
L’ufficio del Corpo d’Armata cerca in quale Divisione è quella 4a Compagnia e manda la lettera a quella Divisione.
L’Ufficio Divisione cerca e la manda al corpo e, finalmente, se in tutto quel tempo la 4a Compagnia di quel tal Battaglione di quel tal Reggimento appartiene ancora a quella Divisione, se il soldato X non è morto o ferito o non ha cambiato di compagnia, la lettera arriva a destinazione.
Sono milioni di lettere per ognuna delle quali occorre decifrare l’indirizzo e ricercare sul tabellone, spesso non al corrente.
Si comprende quale enorme lavoro ciò importi.
In un ufficio di concentramento debbono esservi parecchie copie di quel tabellone che dà la dislocazione esatta di tutto l’esercito, e, poichè il lavoro non può essere fatto da poche persone, ne risulta che molte persone sono a conoscenza del segreto più geloso.
Bastava pensare cinque minuti per trovare un sistema meno complesso e più pratico.
Bastava, per esempio, per ogni grande unità stabilire un indirizzo fittizio.
Per esempio: per la 5 % Divisione l’indirizzo Cuneo.
Tutti gli appartenenti alla 5a Divisione avrebbero dovuto farsi scrivere indirizzando a Cuneo, ed a Cuneo si sarebbe raccolta la posta da inviarsi all’Ufficio Postale della 5a Divisione.
In questo modo il lavoro si farebbe automaticamente, nessuno conoscerebbe la dislocazione completa di tutto l’Esercito, la posta arriverebbe prima.
Sì, ma non sarebbe stato possibile creare un enorme ufficio di concentramento, imboscandovi i pezzi grossi delle poste; e questo importa.
Riunendo i due provvedimenti, e cioè quello di passare in franchigia le lettere della truppa solo se impostate nella Posta Militare, apponendovi un bollo, per esempio: Franchigia Militare — Indirizzare risposta:
Cuneo, e quello di eseguire la censura alla Posta militare si diminuirebbe il tempo di trasmissione di almeno tre quarti.
Ci vuol altro per sventare lo spionaggio; ci vuol molta più furberia di quanta ne posseggano i nostri ronds de cuir, i quali non immaginano neppure che cosa sia l’organizzazione austro-tedesca.
Ieri notte abbiamo portato una batteria in posizione e stamattina gli Austriaci hanno diretto il tiro contro di essa, che non vedono nè possono aver vista.
O perchè la censura non si esercita qui, o perchè la posta non ha fatto ritardare la notizia:
27 Giugno 1915.
— Attacco frontale e ammaestramento tattico.
Pochi giorni prima che scoppiasse la guerra venne distribuito:
un libretto rosso col titolo di cui sopra, dal quale appariva chiaramente come il Capo di Stato Maggiore intendesse, colle norme in esso contenute, fornire a tutti i dipendenti le sue supreme direttive.
Tali norme hanno il difetto di essere arretrate nel tempo.
Il loro tempo sarebbe stato quello che precedette la guerra russo-giapponese.
A quell’epoca esse sarebbero state ottime, oggi no.
Nella premessa.
al N. 3, parla di pochi e semplici principi fondamentali: quelli che caratterizzano il moderno combattimento offensivo e ne rendono con evidenza i tratti espressivi e salienti — ora nel libretto sono appunto questi principi che mancano e la guerra viene considerata collo sguardo rivolto all’indietro.
Nella guerra attuale chi intende mantenersi sulla difensiva non compie questo atto puramente e semplicemente restando fermo, ma fortificandosi là dove si ferma; la fortificazione campale portata alla perfezione, la potenza delle armi da fuoco e quella delle difese accessorie, hanno reso l’attacco di una complessità tale da renderlo lentissimo e da costringerlo talvolta, anzi la maggior parte delle volte, ad impiegare il sistema della zappa.
Di tutto ciò le norme non fanno cenno alcuno, quasi come se tutto ciò che è avvenuto in questi ultimi dieci mesi non fosse mai esistito.
In tali norme esistono delle curiose ingenuità; a pag. 18 è detto:
«Quanto alle posizioni:
coperte, riuscirà generalmente non molto difficile all’artiglieria dell’attaccante di accompagnare col fuoco le fanterie fino all’ultimo periodo dell’assalto.
Ma l’artiglieria della difesa potrà approfittare delle posizioni coperte solo fino a quando la fanteria attaccante si mantiene abbastanza lontana».
Quasi quasi si ammette che la traiettoria vari passando dalla difensiva alla offensiva.
Il coordinamento della fanteria e dell’artiglieria è anch’esso concepito con una puerilità degna di nota.
Il giuochetto sarebbe questo (pag. 19):
«la fanteria, spinta) avanti, fa uscire l’avversario dai suoi ripari; allora l’artiglieria spara e lo fa rintanare, permettendo alla fanteria di avanzare, e cosi di seguito».
Ora invece la realtà è molto differente; la fanteria avversaria, in trincee blindate, non si affaccia che quando la fanteria attaccante è molto vicina, ed allora la ferma per giorni, per settimane, per mesi.
Ben altra deve essere la cooperazione dell’artiglieria, ben altra e tutta diversa.
L’artiglieria deve sconvolgere le opere di rafforzamento della difesa, sconvolgerle in modo completo, in modo che le opere stesse non siano più occupabili dalla fanteria nemica.
Fatto questo, deve impedire l’accorrere delle riserve avversarie.
La fanteria nemica non sta nelle trincee finchè le fanterie attaccanti sono lontane.
Di fatto, che ci starebbe a fare:
Quando è tempo, dai suoi ricoveri blindati, per camminamenti coperti, vi arriva fresca nel momento in cui l’artiglieria avversaria non può più sparare e la propria ha già sparato, finchè ha voluto, sull’attaccante.
L’artiglieria della difesa non ha affatto bisogno di scoprirsi per battere le fanterie attaccanti, anche fino a pochi passi dalle trincee, perchè le trincee sono fisse ed il tiro viene precedentemente inquadrato.
Quindi, se l’artiglieria dell’attacco non giunge a sconvolgere le difese, non serve a niente, manca completamente la cooperazione decantata e necessaria; se non impedisce alle riserve di accorrere non concorre a permettere il rafforzamento delle proprie fanterie.
Perciò la cooperazione dell’artiglieria è completamente diversa da quella sancita dal libretto rosso.
Quella del libretto rosso può valere per battaglie d’incontro, ma battaglie d’incontro non ce ne sono più;
c’è chi si mette sulla difensiva e chi attacca, ma tanto l’uno quanto l’altro si rafforzano e preparano linee rafforzate all’indietro per ogni evenienza.
I concetti forniti dal libretto rosso, concetti fuori della realtà delle cose, hanno dannosamente influito sulla preparazione della guerra, in quanto che la organizzazione delle nostre artiglierie è basata sul falso.
Mentre il libretto rosso può facilmente cambiarsi, non si cambia facilmente l’artiglieria; la nostra risponde al concetto illusorio del libretto rosso, non alla realtà.
Di fatto già in questo mese di guerra sono venute circolari prima per l’economia delle munizioni e poi per l’impiego delle truppe nell’attacco di posizioni fortificate.
Le prime derivano dalla falsa concezione, le seconde dalla realtà sanguinosa dei fatti.
Contro le difese austriache è avvenuto il fallimento dell’«attacco frontale», fallimento sanguinoso che ha contribuito a far vedere la realtà delle cose, la quale naturalmente è ostica a chi non l’aveva intraveduta prima.
Dell’artiglieria ancora si dice che deve fare economia perchè non è ancora penetrato il concetto che la guerra si fa senza economia, e che val meglio gettare una tonnellata di ferro che la vita di un uomo.
Le tonnellate di ferro non ci sono, e gli uomini pullulano, ma le tonnellate di ferro avrebbero dovuto esserci.
Ancora oggi in un promemoria del Comando d’Artiglieria del Corpo d’Armata leggo questa frase: siccome i proiettili da 149 G. costano meno di quelli da 149 A. così si usino di preferenza proiettili di ghisa.
La guerrà è un giuoco nel quale guai a chi conta il suo peculio.
Un’artiglieria che conta i suoi proiettili non è un’artiglieria capace di aiutare la fanteria, e la fanteria senza artiglieria non serve a nulla.
L’Austria, dopo dieci mesi di guerra, spara più cannonate di noi che da dieci mesi avremmo dovuto fabbricare proiettili ed accumulare proiettili.
L’altro giorno un disertore nemico ci diceva che le sentinelle e i piccoli posti, oltre la dotazione individuale, dispongono di cassette di cartuccie.
Noi diamo le norme per raccogliere i bossoli.
Il nostro sbarramento, per sparare un colpo, deve richiederne l’autorizzazione, e per ogni colpo fare un rapporto.
Si calcolano i per cento e non si comprende ancora che, se il per cento è basso, basta aumentare il numero dei colpi per ottenere l’effetto voluto.
Evidentemente l’effetto di una granata su di una torre blindata è minimo, ma un minimo moltiplicato per un massimo diventa grande.
Questa è la verità semplice e piana, questo occorre e tutti ormai l’hanno capito.
Noi per capirlo abbiamo bisogno di fare altre esperienze.
L’attacco ha bisogno essenzialmente di artiglieria e di munizioni perchè l’attacco della fanteria non può svolgersi fino a che il terreno apprestato a difesa non sia sconvolto.
La lotta è fra l’artiglieria e la fortificazione campale.
Quando la prima riesce a distruggere la seconda, la fanteria può avanzare, altrimenti no.
Chi si appresta a difesa oggi, non fa che preparare lavoro all’artiglieria avversaria.
È per questo che viene portata sul campo di battaglia l’artiglieria pesante, di medio e di grosso calibro, è per questo che le granate hanno preso il sopravvento sugli shrapnells, è per questo che sempre più si impiegano gli alti esplosivi, è per questo che nella difensiva si ricorre al cemento armato, alle travi di acciaio, ecc.
I segni del fallimento del libretto rosso sono evidenti.
Come ho già accennato, è già uscita una circolare del Comando Supremo sull’attacco delle posizioni fortificate, attacco che il libretto rosso, nel suo semplicismo, non ricordava neppure.
Oggi è giunta una lettera del Corpo d’Armata nella quale si raccomanda l’attività febbrile nei lavori di rafforzamento e difesa del settore ed in questa circolare è una meravigliosa confessione.
Si dice che gli Austriaci presentano linee fortificate quali noi non ci aspettavamo.
O che il nostro Stato Maggiore non abbia più letto i giornali da un anno a questa parte:
Il nostro Stato Maggiore credeva forse che contro di noi gli Austriaci avrebbero opposto trincee di ricotta:
Qui nel settore, la cui funzione consiste nella protezione della sinistra dello schieramento, si può dire che si incomincia solo ora a far qualche cosa per rafforzarci, solo ora, dopo un mese di guerra, solo ora, dopo aver constatato che gli Austriaci hanno fatto rafforzamenti quali non immaginavamo neppure.
Il modo col quale si fanno tali rafforzamenti è degno di essere raccontato, perchè davvero, se non lo si raccontasse, non lo si immaginerebbe.
Ma sarà per un’altra volta.
Tutti questi errori, la mancanza di una chiara visione della realtà, l’esperienza fatta sulla nostra pelle, naturalmente, debbono portare i loro frutti.
La fine della guerra sarà per noi felice, non certo per abilità di uomini, nè per preparazione, nè per altro;
lo sarà unicamente perchè siamo in troppi perchè gli imperi centrali possano vincere.
Ma, certo, l’esito finale della guerra lo pagheremo immensamente più caro di ciò che esso avrebbe dovuto ragionevolmente costare se avessimo agito con quel buon senso che è, pur troppo, senso estremamente poco comune.
Il doloroso si è che tutto ciò si traduce in sangue sperperato inutilmente o colpevolmente.
Se noi ci intesteremo a battere la testa contro il cemento armato e ad avventarci contro le mitragliatrici, non faremo che sperperare le nostre forze.
In dieci mesi di guerra altrui non abbiamo saputo armarci per l’offensiva, non abbiamo capito che la guerra moderna è una guerra di macchine, e ci troviamo nelle condizioni di chi voglia aprire un tunnel con uno scalpello, all’epoca della perforatrici.
Più che un ministero delle munizioni occorrono delle munizioni.
Il ministero è presto fatto, il difficile è che il ministero provveda i cannoni.
Bisogna che nel Supremo Comando queste idee nascano e si affermino, altrimenti saranno guai e guai grossi.
Guai se noi, pure divertendoci a cozzare contro il cemento armato, non provvederemo ad una robustissima linea di difesa retrostante.
Contro di noi, quasi certamente si getterà, un giorno o l’altro, la valanga nemica.
La sconfitta russa dà qualche respiro agli austro-tedeschi e gli anglo-francesi sono trattenuti solidamente.
Il nemico sa perfettamente le nostre condizioni.
Un ufficiale di artiglieria, che fu in Germania per il collaudo di cannoni, mi raccontò che l’Imperatore, al quale venne presentato in un ricevimento, gli disse:
«ma voi, Italiani, l’artiglieria non l’avrete mai:».
Noi siamo l’avversario più debole e meno munito, siamo ancora alle teorie dell’attacco frontale, i nostri cannoni hanno dovuto abolire la carica massima, abbiamo poche munizioni, meno armi a tiro rapido, siamo quelli su cui l’impeto può ottenere il maggiore risultato nel più breve tempo; siamo quelli sui quali più si appunta l’odio nemico.
Andiamo cauti, pensiamo a rafforzarci saldamente, ad attaccarci al terreno, per non essere travolti.
Ricordiamo che nella guerra presente non è necessario andare avanti:
è necessario non andare indietro.
La presente guerra, tutti lo dicono, e forse anche il nostro Stato Maggiore deve averlo udito, è una guerra di esaurimento:
per resistere all’esaurimento è necessario risparmiare con cura meticolosa le proprie forze.
28 Giugno 1915.
— Oggi vorrei narrare come si eseguiscono i rafforzamenti nel settore.
Naturalmente io non conosco che questo settore, ma non posso credere che altrove si faccia diversamente.
Da parecchi mesi prima della guerra era noto che questa estrema ala sinistra avrebbe avuto una pura e semplice missione difensiva.
Di attaccare, da questa parte, non era neppure il caso pensarci, semplicemente per mancanza di artiglierie di medio e grosso calibro colle quali aver ragione dei forti austriaci.
D’altra parte lo sforzo principale doveva farsi altrove.
Il III°
Corpo d’Armata doveva dunque, semplicemente, guardare, ed al caso resistere, dallo Stelvio al lago di Garda e, siccome in alcuni punti la frontiera era sfavorevole, fare subito quelle piccole operazioni offensive atte a fornirci una linea migliore, quivi fermarci, pronti a resistere ad una qualsiasi puntata nemica.
Compito come si vede molto facile e molto chiaro, per assolvere il quale non occorreva certo Napoleone.
Fino da qualche mese prima della guerra vennero dislocate delle forze in queste valli, forze che, man mano, durante la mobilitazione occulta, andarono accrescendosi tanto che, all’atto della mobilitazione palese, il III° Corpo, già completamente mobilitato, era a posto.
A posto, ma non aveva fatto nulla, se non una stazione climatica in queste saluberrime valli.
Scoppiata la guerra, una Brigata della 5a si trovò dislocata con 6 Battaglioni alpini nel settore, il resto col Comando della Divisione, rimase ad Ambaraga per una quindicina di giorni ad ingrassare.
Verso la fine della prima decade di giugno il Comando della Divisione venne trasferito ad Edolo per assumere il Comando del Settore.
E si seguitò a stare colle mani in mano.
Verso il 15 - 20 di giugno cominciò a sorgere nel Comando del Corpo d’Armata l’idea che sarebbe stato bene fortificarsi.
In quel momento, in Valle Camonica erano 4 Battaglioni Alpini in prima linea, sul confine, 2 Battaglioni del 68° a Ponte di Legno, 1 Battaglione del 68° a Vezza, 1 del 67° all’Aprica, 2 Battaglioni del 67° al Mortirolo.
I lavori che si stavano facendo erano: una strada dal Mortirolo al Pianaccio, una dall’Aprica al Monte Toricla, e qualche trincea sul confine.
La massa bighellonava.
Appena il Corpo d’Armata disse che bisognava rafforzarsi il Comandante della Divisione volle immediatamente vedere la gente al lavoro.
Con quale criterio, dove, come:
Questo poco importa, purchè si lavori.
I soldati impugnarono zappe e badili ed incominciarono a smuovere la terra a casaccio.
Ad un certo punto intervenne il Comandante del Genio del Corpo d’Armata.
Questi, senza dire niente a nessuno, senza sapere quali erano i concetti della difesa, senza conoscere le forze da impiegare, trattò coi battaglioni che trovò sul posto e tracciò delle trincee.
Naturalmente a casaccio.
Verso il 15 un foglio del Corpo d’Armata ordinò che il Comando della Brigata Palermo si occupasse della prima linea (Ponte di Legno) e della seconda si occupasse il Comando della Divisione.
Approfittai della circostanza per cercare di concretare un assetto difensivo armonico, e poichè si voleva una primissima linea sul confine, una prima a Ponte di Legno ed una seconda a Vezza congiunta col Mortirolo, ottenni di mandare il 68° a Ponte di Legno, di riunire il 67° a Vezza e di chiedere la Brigata Cuneo per gli altri lavori.
Contemporaneamente feci esporre chiaramente le condizioni della difesa della valle.
Apriti cielo:
Il Corpo d’Armata rispose arrabbiatissimo.
La prima linea doveva essere forte, ma solo così e così, si doveva resistere così così, ciò che urgeva era di far forte la seconda.
Avevamo fatto male a mandare forze avanti perchè ciò poteva dar luogo ad ingiustificati allarmi (:).
La Brigata Cuneo doveva rimanere a Brescia.
Il Comando della Divisione doveva lui tracciare materialmente tutta la linea.
Doveva tener conto per le seconde linee delle truppe che si sarebbero ritirate dalle prime.
Il Comando del Corpo d’Armata era perfettamente edotto di ciò che occorreva, era inutile che lo seccassimo.
Per far presto e per far forte, concludeva il Corpo d’Armata, occorreva togliere forze dai lavori della prima linea.
Manca quindi completamente, al Corpo d’Armata, l’idea chiara di ciò che vuole, l’idea del valore delle posizioni, quasi che una posizione come quella di Ponte di Legno possa esser presa in due ore.
Manca, completamente il concetto dell’impiego delle forze, è in esso il falso concetto di risparmiare forze sulla prima linea per disporne in una seconda, concetto dell’impiego delle forze a spizzico, spinto fino al punto che una batteria da campagna deve in mezza giornata poter recarsi al Toricla, posizione da occuparsi una volta perduta la primissima linea, la prima, la seconda e la regione del Mortirolo.
E si devono far studi per la conca di Schilpario, forse, fra poco, dei rafforzamenti.
Il mio concetto, specialmente per le prime linee che il buon senso fa apparire le più urgenti, era di far lavorare i reparti che sarebbero destinati a difenderle.
Ma che:
Per fare economia di forze in prima linea si toglie persino un Battaglione di Alpini dalla primissima e non si giunge neppure a comprendere che, colla moderna fortificazione campale, una posizione come quella di Ponte di Legno esige dei mesi per essere presa.
Ma per il Corpo d’Armata è la seconda che importa.
Certo, se il nemico verrà, noi saremo tratti ad abbandonargli facilmente la prima perchè abbiamo la seconda.
Chi mette a posto l’artiglieria della Divisione è il Comando d’Artiglieria del Corpo d’Armata con criteri più unici che rari.
Lo sbarramento fa da sè, come se appartenesse ad un altro esercito, poco importa che sia sulla linea di difesa delle truppe mobili e queste le comandi un Generale.
Un mese dopo lo scoppio della guerra, in seguito alla minaccia del Monticello, un bel giorno giunse ad Edolo una batteria da 149 G. La Divisione lo seppe, per caso, dal personale della stazione.
L’aveva fatta venire il Comandante d’Artiglieria del Corpo d’Armata, il quale le aveva trovato una posizione, per la quale il Comandante del Genio del Corpo d’Armata aveva ordinato la strada.
Ieri sera il Colonnello del 27° mi fece vedere una lettera di un suo Comandante di batteria che lo informava di aver ricevuto ordine dal Comando d’Artiglieria del Corpo d’Armata di andare a prendere posizione vicino alla batteria da 149 e di passare alle dipendenze dello sbarramento.
Naturalmente non si curava neppure di informarne la Divisione.
Il più bello si è che il mio Generale ingoia tutto tranquillamente;
ora io mi domando: a chi toccherà la responsabilità domani:
1° Luglio 1915.
— Lo specchio unito alla Circolare R. 107:
Riconoscimento degli aerei, — non è esatto ed ha tutta l’apparenza di essere stato compilato ad usum Delphini.
Nei profili di aeroplani adoperati nell’esercito italiano sono indicati:
Biplano Aviatik 125 HP. Biplano Aviatik 100 HP. Monoplano Macchi Parasole.
Biplano Voisin.
Biplano Caproni 300 HP.
Tutti questi apparecchi non esistono, sono solo in costruzione, non ci sono apparecchi scuola, occorre attendere che sieno ultimati per istruire i piloti.
Sono segnati:
M.
Farman 1913 che viceversa sono 1912, e non sono utilizzabili in guerra.
Si aggiunga che dei Caproni 80 ve ne sono al massimo 7 e degli M. Farman pochissimi.
Nei profili di aeroplani adoperati in Francia sono segnati degli apparecchi non in, uso come i Blériot, e non sono indicati i Voisin, i M. Farman che sono gli apparecchi maggiormente usati in Francia, cosa che la nostra aviazione non può non conoscere perchè essa stessa ha adottato i Voisin ed i Farman perchè sono molto usati in Francia, come la nostra aviazione non può ignorare che la Francia costruisce i Caproni 300, giacchè essa ha autorizzato la costruzione di tali apparecchi.
Data l’esattezza delle notizie fornite sugli aeroplani italiani e francesi, si può inferire dell’esattezza delle notizie per gli altri Stati.
Riparare all’attuale stato di fatto è, per il momento, impossibile.
Occorre, come è stato fatto in Francia, dove lo scoppio della guerra palesò la mancanza completa di organizzazione, per qualche tempo rassegnarsi e raccogliersi, ed intanto provvedere all’avvenire con energia e con fermezza, precisandoci uno scopo ben chiaro e definitivo.
L’aviazione è ingombra di zavorra dalla quale occorre liberarla perchè possa procedere più spedita, zavorra di uomini e di cose; così alleggerita, e messa nel pugno saldo di persone competenti e di fede sperimentata, potrà risorgere; lasciata acefala e pesante, tale un cattivo apparecchio da volo, non potrà che rimanere starnazzante ed impari allo scopo.
Pur troppo non venne ancora riconosciuta da tutti l’importanza della nuova arma che, indipendentemente dal suo notevole valore materiale, ha un valore morale immenso.
2 Luglio 1915.
— L’altro giorno sul Corriere era riportata la notizia riguardante la comparsa nel cielo di Francia di un grande aeroplano a due motori.
Ciò non mi ha meravigliato, nè mi meraviglierebbe la notizia che la Germania lancia contro di noi degli aeroplani tipo Caproni, di quelli che noi avremmo dovuto avere da circa due o tre mesi e che non abbiamo ancora.
Fino allo scoppiare della presente guerra nutrii delle illusioni, debbo francamente dichiararlo.
Ritenevo che l’anarchia esistente nell’aviazione fosse qualche cosa di eccezionale e pensavo che, avendone fatta la chiara ed esplicita dichiarazione, non ostante le pressioni politiche sul Ministero, al momento dello scoppio della guerra, il Ministero avrebbe trovato il coraggio e le forze di porvi rimedio.
Era una illusione basata su di un preconcetto e cioè che nel resto le cose procedessero meglio.
Ma siccome tutto va nello stesso modo, evidentemente ciò che riguardava l’aviazione non poteva nè sorprendere nè scuotere.
Io perciò oggi non constato un fatto eccezionale, constato semplicemente un fatto comune, dal quale si può trarre l’idea generale della nostra preparazione materiale e morale alla grande guerra.
Come ho già accennato la deficienza più grande della nostra preparazione alla guerra dipese dal fatto che nè dal Ministero nè dal Comando di Stato Maggiore venne compreso il vero carattere della guerra moderna, guerra essenzialmente di macchine.
Naturalmente non si comprese ciò che era o poteva essere l’aeronautica militare.
Figurarsi se poteva entrare in quelle vecchie mentalità abitudinarie, che per tanti anni erano rimaste materialmente e moralmente a terra, il nuovo portato che li allontanava appunto da terra.
Io ho, non appena sorsero gli aeroplani, scritto, parlato, fatto conferenze, ecc., e ciò risale al 1910, ma non ho mai trovato uno, dico uno, di grado superiore al mio, che si sia interessato alla cosa, mai, mai uno che abbia espresso la sua opinione al riguardo.
Ho dovuto constatare che vi hanno preso più interesse i borghesi che i militari.
Quante volte mi capitò, parlando con uno di questi gros bonnets, più o meno Eccellenza, di essere accolto con uno di quei sorrisi di compatimento che si hanno per i monomaniaci:
L’aeronautica militare è stata presso di noi tollerata unicamente in omaggio all’opinione pubblica.
Continuo a raccontare come si fa la sistemazione difensiva presso di noi.
Dunque fino a pochi giorni nessuno si era accorto della necessità di rafforzare le proprie posizioni, oggi se ne sono accorti ed oggi si verifica una frenesia ed una furia che sgomenta Noi avevamo delle informazioni, comunicateci dallo Stato Maggiore e dallo Stato Maggiore affermate attendibili, nelle quali era detto del come i Tedeschi avevano fortificato le loro linee di fronte agli anglofrancesi.
Da tali informazioni risultava che ogni reggimento.
di fanteria tedesco aveva un battaglione di zappatori e che a questo era delegato il compito di costruire le trincee dietro al reggimento operante, anche nell’attacco, trincee che, eseguite da specialisti, presentavano ogni robustezza ed ogni comfort;
era accennato pure all’armamento delle fanterie tedesche per l’attacco delle posizioni fortificate, per tagliare i reticolati, bombe, ecc. ecc.
Queste informazioni paiono mandate per dire: «vedete che cosa fanno gli altri, che cosa hanno gli altri, mentre noi non facciamo niente e non abbiamo niente».
Basti dire che la Divisione è entrata in campagna senza una pinza tagliafili, senza conoscere che cosa sia una bomba a mano (ieri 27, per la prima volta i nostri soldati hanno visto le bombe a mano lenticolari, bombe che valgono pochissimo a detta dello stesso ufficiale del Genio che le faceva vedere per istruzione; le pinze tagliafili si aspettano ancora).
Oggi è arrivata una lettera del Corpo d’Armata dalla quale appare che si vuol passare al largo impiego del cemento armato, per mezzo di impresari di fiducia.
Come già notai, un mese fa il Corpo d’Armata affermava che non si potevano costruire in Val Camonica trincee in cemento armato per mancanza di acqua (:!).
Le ingenuità sono colossali e qualcuna varrebbe davvero 5 lire se fosse possibile farla inserire nelle cartoline della Domenica del Corriere.
Pochi giorni fa è giunto un foglio, per attergato, intestato Comando Ia Armata, nel quale era detto che gli Austriaci cercavano di riparare, nella notte, i danni prodotti dal bombardamento durante il giorno e che noi, al caso, dovremmo fare altrettanto.
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Si vede che la polvere non è stata scoperta al Comando della Ia Armata:
L’esercito rassomiglia ad una grande officina che non deve entrare in azione se non in alcuni periodi di tempo imprevidibili.
Naturalmente, durante tutto il tempo in cui l’officina resta inattiva, avviene che alla sua direzione chiunque possa rimanere;
tutto sta a far dare qualche mano di bianco alla facciata e qualche colpo di spolvero alle macchine.
Il pubblico se ne disinteressa, o si accontenta di uno sguardo superficiale, le macchine si invecchiano e si arrugginiscono, perchè si fa economia sull’olio nei punti più delicati e meno in vista, i direttori si cristallizzano e si limitano a darla ad intendere al pubblico, finchè, ad un bel momento, scoppia la guerra.
Allora le macchine debbono venire messe in movimento e produrre, ma sono vecchie, incapaci alla bisogna, stridono, gli ingranaggi saltano via, i direttori perdono la testa, si affannano:
l’insieme è miserevole e dà un meschino rendimento.
Da noi è capitato un po’peggio perchè, non ostante che da 10 mesi si dubitasse di dovere da un momento all’altro aprire l’officina, pure si continuò a dormire, e quando si incominciò a verificare il funzionamento delle macchine si trovarono in uno stato da far paura e non si seppe neppure, per mancanza di giusto discernimento, provvedere a ciò che era possibile e doveroso provvedere.
I direttori non seppero staccarsi dalle tradizioni e dalla consuetudine, mancò completamente la genialità in tutti coloro che avrebbero potuto e dovuto nel periodo della preparazione prepararci veramente, mancò la visione della realtà, si seguitarono a subire le influenze del passato, nessuno seppe rompere vigorosamente quella cerchia entro cui l’esercito languiva e deperiva.
Perciò l’officina si trovò mancante di tutto ciò che forma la forza delle officine moderne di questo genere.
I vecchi direttori, i responsabili dello stato delle cose, furono mantenuti, persino degli uomini dichiarati inabili per il tempo di pace, furono rimessi a posto e la routine seguitò ad imperare.
D’altra parte venne inaugurato il sistema del segreto e della censura, che è comodissimo specialmente per chi sta in alto e per chi è al governo.
Non si sa se non ciò che il Governo vuole si sappia, e quindi:
tutti sono perfettamente a posto.
Certo questo sistema è ottimo nell’interesse della difesa nazionale, ma è anche «più ottimo» nell’interesse della difesa personale.
Si possono fare tutte le castronerie possibili ed immaginabili colla sicurezza di farla franca.
Le responsabilità allo stringere dei conti si ridurranno a zero e l’aver fatto ammazzare cento mila uomini di più sarà un peccatuccio veniale.
Il paese spenderà dieci volte tanto di denaro e di sangue di quanto avrebbe dovuto spendere, ma siccome finirà bene, i colpevoli di averlo fatto spendere i 9/10 in più di sangue e di denaro saranno magnificati e probabilmente monumentati.
Un articolo del Regolamento del Servizio di guerra dispone che il Comandante di una fortezza, qualunque cosa avvenga, debba, al termine della guerra, essere sottoposto al giudizio di un tribunale di guerra.
La disposizione è giustissima, ma perchè la stessa disposizione non è stata adottata al riguardo del Ministro della Guerra e del Capo di Stato Maggiore:
Costoro hanno certamente responsabilità più gravi di fronte al paese che non il Comandante di una fortezza.
Se una tale disposizione fosse contenuta nelle nostre leggi vi sarebbe forse qualcuno che meno incoscientemente rimarrebbe al posto che occupa e che meno approfitterebbe del posto che occupa per fare il proprio comodo.
Per conto mio ho la profonda persuasione che la metà dei danni che la guerra produrrà si dovrà non al nemico, ma ai nostri.
Ritornando al nostro assetto difensivo è certo che, se il nemico oggi pronunciasse contro di noi una offensiva potente, non ci troverebbe in grado di opporgli quella resistenza che avremmo dovuto essere in grado di opporgli.
Oltre un mese dopo che la guerra è cominciata, con mesi e mesi di preparazione antecedente, noi siamo, ancora oggi, a tracciare, non a fare, trinceramenti.
Ciò all’epoca attuale rappresenta semplicemente un delitto.
Ma nessuno risponde di ciò o solo dovranno rispondere le truppe che, nel caso, verranno incaricate di difendere queste valli, e vi dovranno rispondere colla propria pelle, mentre tutti coloro cui si deve questo stato di cose seguitano, ironia delle parole, a chiamarsi Eccellenze:
Abbiamo una prima linea al confine.
Naturalmente tale linea non è, per natura, facilmente difendibile perchè ci troviamo, tanto noi come l’avversario, a cavallo della displuviale, solo l’avversario è un po’meglio situato ed ha munizioni da sparare.
Ciò non ostante la nostra linea è forte per uomini: quattro Battaglioni Alpini, e si sta fortificando con trincee, il fuoco delle opere dello sbarramento potrebbe batterla se il nemico si presentasse in forze.
In un terreno di tal genere non si compiono delle azioni in poche ore, occorrono dei giorni e dei giorni.
Ma non basta.
Abbiamo, immediatamente dopo, la prima linea di resistenza, fra Corno d’Aola e Cima Bleis.
Linea questa eccellente perchè fortemente appoggiata alle ali, presentante al nemico un profondo fosso, con falde ripidissime, resa più forte dallo sbarramento e che può rendersi fortissima coi lavori.
Tale linea presidiata da tre Battaglioni, più il presidio dei forti, se bene munita, rappresenta un ostacolo tale da trattenere il nemico non per delle settimane, ma per dei mesi, anche se molto più forte, anche se provvisto di artiglieria di medio calibro, anche se i nostri forti permanenti fossero fatti saltare.
Naturalmente per ottenere ciò occorre rafforzarla razionalmente.
Invece il Corpo d’Armata tratta questa linea come se necessariamente dovesse venire abbandonata, dopo aver fatto un simulacro di resistenza, perchè considera più forte quella successiva dal Pornina.
Tale concetto appare chiaramente da tutto;
si ordina di togliere forze dalla prima linea per lavorare alla seconda, si scrive:
ciò che è più urgente è di costituire una forte linea di difesa al Pornina.
Ritengo che ciò derivi:
primo dalla mancanza di un concetto chiaro e preciso di che cosa voglia dire linea di difesa; secondo dall’incubo del Monticello.
Allorchè si sceglie una linea per difendersi, ci si deve difendere con tutte le forze su questa linea.
Se su di essa si fa economia di forze per impiegarle poi su di una linea più arretrata, si cade nell’impiego delle forze a spizzico, ci si mette nel rischio di farsi battere sulla prima e sulla seconda.
Quando si sceglie una linea di resistenza si deve avere l’intenzione di farvi una resistenza a fondo.
Si resiste fino ad un certo punto, quando si tratta di disturbare il nemico per farlo spiegare, ecc., sui posti avanzati, non sulle linee di resistenza.
Il contare sulle forze costrette a ritirarsi da una linea di resistenza per occuparne una seconda è un errore, perchè se tali forze sono ancora capaci di resistere non debbono abbandonare la prima linea.
L’incubo del Monticello consiste nel timore di vedere questa posizione occupata da artiglierie di medio calibro austriache.
Si sente che il pensiero del Corpo d’Armata è che la prima linea di resistenza debba venire abbandonata se gli Austriaci portano dei medi calibri al Monticello, quasi la guerra non avesse già dimostrato che si può rimanere in trincea anche sotto il fuoco dell’artiglieria di medio calibro, specie quando questa non può essere in grande quantità come al Monticello.
L’incubo del Monticello fa commettere molte sciocchezze e gli Austriaci non si immaginano quanta importanza noi diamo a questo particolare.
Le posizioni di artiglieria sono ancora improntate ai concetti di venti anni fa.
Allorchè ero tenente di artiglieria, quando il materiale non permetteva il tiro e puntamento indiretto che contro bersaglio fermo e mediante difficili e complicate operazioni, si diceva che, anzi tutto, occorreva vedere, ed era giusto.
Oggi che il tiro a puntamento indiretto è reso quasi più facile di quello a puntamento diretto, si può dire che il concetto per la scelta delle posizioni sia tutto l’opposto:
sopra tutto non farsi vedere.
Invece si fa precisamente il contrario.
Non una delle posizioni scelte per l’artiglieria rende questa invisibile, tutti i promontori, tutti i punti ben individuati, sono stati scelti per l’artiglieria.
Sto facendo un lavoro improbo per far cambiare tali posizioni, ma è una lotta di ogni ora, e spesso vana.
Perchè avviene ciò:
Perchè le posizioni non sono scelte dai Comandanti di batteria che sono giovani, ma dal Comando d’Artiglieria di Corpo d’Armata o di Divisione, che sono vecchi ed ancora imbevuti delle idee che li colpirono da giovani, e che stentano a dimenticare.
Vi è una posizione: quella di Gracco, che pare fatta apposta per mettersi in bella vista, e per la quale il Comandante della batteria mi diceva che non era possibile se non mettere una batteria simulata.
Ebbene perchè questa posizione è così difficile da far abbandonare:
È la storia della panca.
Questa posizione fu scoperta, chi sa da chi e chi sa quanti anni fa, nei numerosi studi senza costrutto compiuti in questa regione.
Venti anni fa poteva essere buona, oggi è assurda, ma è consacrata dagli studi;
il mio Generale, il Comandante del Corpo d’Armata, l’hanno trovata tante volte indicata sulla carta che oggi temono, non occupandola, di mancare al rispetto gerarchico ed alle tradizioni.
Da quando è sorta la fregola fortificatoria l’importante è stato di vedere le truppe destreggiarsi colle zappe e coi badili.
Il mio Generale; ricevuto l’ordine la sera, volle che la mattina dopo i soldati fossero al lavoro.
Dove:
non importa, purchè il Comando del Corpo d’Armata, passando, vedesse le truppe lavorare; e, di fatto, il Comandante del Corpo d’Armata, passando, si accontenta di vedere i soldati lavorare.
Da una diecina di giorni a questa parte mi affatico per convincere il Generale che un lavoro disorganizzato non rende ed è fatica sprecata.
Non si fa che fare e disfare e già si vedono trincee abborracciate e abbandonate.
Adesso poi che ha avuto l’ordine di tracciare lui le trincee (:) abbiamo perduto altri tre o quattro giorni per far presto presto, e siccome è stato detto che si deve fare della regione un campo trincerato ed il mio Generale ritiene che un campo trincerato significhi un campo tutto solcato da trincee in qualsiasi ordine disposte, ancora non si è finito di tracciare le seconde linee che già si è in ansia per tracciare la terza, la quarta e la quinta, ed io non riesco a convincere che la più urgente da fare è la prima, perchè il nemico deve passare sulla prima per arrivare sulla seconda, sulla seconda per giungere sulla terza, ecc. 3 luglio 1915.
— I principi fondamentali dell' Attacco frontale sono: I.
Sono gli atti relativi alla prima imbastitura del combattimento quelli che esercitano influenza decisiva sull’intero sviluppo dell’azione.
(Ciò non è vero, perchè, data la lunghezza dei combattimenti moderni, molto tempo si ha per modificare e perfezionare la prima imbastitura).
II.
Dovranno mantenersi le truppe quanto è più possibile coperte alla vista ed al tiro del difensore (ciò vale perfettamente anche per la difensiva).
III.
Indispensabile è il coordinamento dell’azione delle varie armi e dei reparti (ciò vale perfettamente anche per la difensiva ed in genere per qualsiasi azione, di fatto sarebbe assurdo possedere armi diverse se insieme non dovessero cooperare).
IV.
Poichè la vittoria è determinata dalla demoralizzazione dell’avversario, conseguire questa equivale a raggiungere lo scopo supremo della battaglia (è una frase che non vuol dire nulla di positivo, vera in tutti i casi perchè rappresenta una identità).
V.
Bisogna avere sempre presente l’economia delle forze (vale anche per la difensiva).
VI.
Iniziato l’attacco esso deve essere condotto colla massima risolutezza e colla volontà bene determinata di conquistare la posizione nemica a qualunque costo, altrimenti non sarà possibile ottenere la demoralizzazione dell’avversario ed il conseguente annientamento materiale (anche questa è una frase che suona bene, ma non dice nulla e più della volontà occorrono i mezzi).
Nella premessa al libretto:
Procedimenti per l’attacco frontale nella guerra di trincea in uso nell’esercito francese è detto:
«Appena occorre accennare che questa speciale forma di azione è, da coloro medesimi che vi hanno ricorso, considerata come un ripiego transitorio, di durata talora assai lunga, ma destinato sempre a far posto, non appena si verificheranno le necessarie condizioni, od una vigorosa offensiva».
Ciò è falso; è detto ancora:
«Abbenchè il carattere delle nostre eventuali operazioni, e la natura e la configurazione del terreno ove esse si svolgeranno, facciano ritenere improbabile che le nostre truppe debbano ricorrere ai suddetti procedimenti — salvo che eccezionalmente, sopra estensioni piuttosto limitate...».
Questa era una illusione, ed è già svanita.
Aggiunge ancora:
«Una sola avvertenza giova premettere:
Errerebbe chi ritenesse che i procedimenti di cui si tratta risultino, anche solo parzialmente, in contraddizione coi principi generali dell’azione offensiva che noi conosciamo, o se ne discostino in alcun modo».
Evidentemente se per offensiva si intende avanzata, in qualsiasimodo avvenga, questo principio non varierà mai, ma, se si esce da una tale astrazione, è certo che i metodi moderni di guerra hanno infinito immensamente sui procedimenti dell’attacco, al punto da modificare persino l’organizzazione delle truppe.
Nella conclusione al libretto rosso è detto:
le armi moderne hanno procurato all’offensiva i seguenti vantaggi:
1) Possibilità per l’artiglieria attaccante di utilizzare le posizioni coperte più a lungo e con maggiore vantaggio di quella della difesa e di batterla quando essa è costretta a smascherarsi per effetto dell’avanzata della fanteria (falso concetto dell’impiego dell’artiglieria).
2) Convergenza più efficace del fuoco d’artiglieria e della fanteria attaccante sugli obbiettivi da conquistarsi e continua pressione: dell’azione delle due armi, fino dalle maggiori distanze (tale vantaggio si presenta in maggiore misura per la difensiva; nell’offensiva la fanteria non opera più).
3) Possibilità, con le attuali lunghe gittate, di far convergere sulla zona di attacco decisivo il fuoco di estese linee di fanteria e di artiglieria (è la ripetizione del precedente).
Il libretto:
«Procedimenti per l’attacco frontale nella guerra di trincea» indica chiaramente quale sforzo potente occorra per attaccare una linea di trincee quando già si sia giunti colle proprie fanterie a 150 - 200 metri da quelle avversarie.
La fronte di una Divisione è ridotta a 1200 metri, ossia la densità a 10 uomini.
Per quanto riguarda l’artiglieria: «Per la distruzione delle difese accessorie — almeno una batteria da 75 per ogni 200 metri di fronte (per 1200 metri 6 batterie)».
Per sconvolgere ripari e camminamenti: una batteria da 75 per ogni 100 metri di fronte (vale a dire 12 batterie)».
Sono 18 batterie per la fronte di una Divisione (1200 metri).
Noi abbiamo 5 batterie per Divisione.
Nella nota 1 a pag. 27, dice:
«Per formare la zona interdetta:
un pezzo ogni «10 metri di fronte; sui fianchi: gruppi di batterie «per ricercare tutti i punti del terreno che il nemico «può utilizzare come posizioni di artiglieria e di «mitragliatrici».
Queste poche note dimostrano che la guerra moderna ha fatto variare immensamente la proporzione delle armi e che presso di noi l’artiglieria risulta al massimo appena 1/3 - 1 / 4 di ciò che dovrebbe essere.
Se il procedimento astratto non è variato, quello pratico lo è alquanto.
La potenza delle armi moderne è usufruita tanto dalla offensiva che dalla difensiva.
La difensiva, con tutto il suo corteo di rafforzamenti e di lavori, non ha altro scopo se non quello di rendere più facile l’uso delle armi, sottraendole alle offese nemiche.
Il soldato che sta in trincea ha una capacità conservativa, doppia, tripla, quadrupla, decupla di quello che sta fuori.
Un soldato in trincea arresta x soldati procedenti contro la trincea.
Le armi e le fortificazioni campali moderne hanno accresciuto il valore di questo x.
Ciò ha un interesse rilevantissimo che è errore dimenticare e far dimenticare.
L’offensiva su tutto un fronte è un errore strategico.
Nessun grande esercito può avere oggi una superiorità tale da potere sviluppare un’offensiva su tutto il fronte.
Per potere agire offensivamente in un punto occorre, sulla maggior parte del fronte, assumere una attitudine difensiva.
Oggi il principio della massa sul punto decisivo ha assunto questa format, ed è già qualche cosa di diverso dal passato.
Non è, la guerra di trincea, una forma speciale o un ripiego transitorio, come dice il libretto rosso, è invece un portato del principio della massa, portato che i Tedeschi hanno intuito e che noi non abbiamo ancora capito.
Chi si dispone, per una ragione qualsiasi, sulla difensiva, ricorrerà sempre, e sempre di più, ai lavori di rafforzamento.
Sarebbe stolto il non valersi di tale potentissimo mezzo per opporsi al nemico col minimo mezzo.
L’alto valore assunto dalla difensiva appare chiaramente nella condotta degli austro-tedeschi, i quali, trattenendo colle loro sistemazioni difensive gli eserciti franco-inglesi, hanno potuto concentrare le maggiori loro forze contro i russi.
A pag. 34 del libretto rosso è detto: «... allorchè uno dei partiti si sentirà veramente più forte dell’altro, sferrerà l’offensiva, che sola è capace di conseguire risultati decisivi;
sarà pur sempre la manovra che deciderà le sorti della guerra».
Evidentemente, quando uno degli avversari si sentirà più forte sferrerà l’offensiva; ma quando si sentirà più forte:
Quando le sue forze saranno il doppio, il triplo, il decuplo di quelle rintanate dell’avversano:
Qui sta il nocciolo della questione.
Ora, se, una volta, per prendere l’offensiva bastava una certa superiorità, oggi ne occorre una enormemente più grande.
Evidentemente la manovra deciderà le sorti della guerra, se per manovra si intende un razionale coordinamento della difensiva coll’offensiva, unica manovra possibile oggigiorno, unica manovra impiegata dall’esercito tedesco.
Lo sperare che noi non avremmo incontrato trincee era una illusione, ormai caduta, ed era una ben strana illusione.
Per quale ragione l’Austria, nelle condizioni attuali, non avrebbe dovuto ricorrere a questo mezzo per fronteggiarci colle minime forze, mentre era impegnata altrove, avvalendosi anche della natura del terreno montano che accresce il valore della difensiva:
I nostri avversari, trincerandosi, innalzando reti di filo di ferro, manovrano più e meglio di noi che andiamo dovunque ad impigliarci nelle reti teseci.
Tanto è che, non ostante la manifesta superiorità delle nostre forze, siamo fermi là dove ci hanno voluto fermare.
La nostra incoscienza da questo lato è stata tale che non abbiamo neppure pensato a fortificarci là dove avevamo semplicemente l’idea di star fermi.
Perchè:
Perchè non si è capito che ogni palata di terra smossa rappresenta un nuovo soldato.
Solo ora, di fronte alla realtà dei fatti, si incomincia a capire e si incomincia a lavorare.
Il libretto rosso, esaltando l’offensiva, enumerando i vantaggi di questa, senza mai dare nessuna norma del quando convenga assumere tale attitudine, incita i Comandanti a tale attitudine, anche quando non siano soddisfatte le necessarie condizioni di superiorità.
Ciò porta facilmente alle offensive avventate, che si trasformano in rovesci.
Abbiamo solo due mitragliatrici per Reggimento (le altre quattro sono ancora in costruzione), non possediamo, o quasi, artiglieria di medio calibro, le nostre truppe non hanno mai eseguito una esercitazione moderna, alcune non hanno neppure eseguito il tiro collettivo.
Truppe così preparate, lanciate imprudentemente contro posizioni saldamente rafforzate, sono truppe condotte al macello.
Qualche cosa a provar ciò deve essere già avvenuto, se dal Comando dell’Armata è giunto finalmente l’ordine di studiare il metodo di attacco contro posizioni rafforzate, oggi, 30 giugno, dopo 11 mesi di guerra, quasi 10 di guerra di trincea sul suolo di Francia:
Tutte le volte che noi decideremo di attaccare incontreremo trincee.
Battaglie d’incontro non ce ne saranno più.
È bene davvero che cominciamo a studiare come si attaccano le posizioni rafforzate:
L’azione dell’artiglieria non è più diretta contro le truppe della difesa;
queste non si mostrano nè si espongono se non all’ultimo momento.
Le artiglierie della difesa non si scoprono mai e perciò non avviene il duello delle artiglierie.
L’artiglieria dell’attacco si rivolge contro le opere della difesa, queste deve sconvolgere e rendere inoccupabili.
La guerra è diventata.
un’azione materiale che consiste, da una parte, nell’accumulare ostacoli, dall’altra nell’abbatterli: la baionetta serve a poco contro il cemento armato.
Distrutti i ripari l’attacco diventa facile.
Il libretto rosso è stata una imprudente ed inopportuna glorificazione della offensiva avventata, dimostrante, nell’animo di chi lo scrisse, l’illusione di poter svolgere azioni brillanti, mentre la guerra moderna è la cosa meno brillante che possa esistere.
L’offensiva così intesa, non è manovra, è semplicemente errore, errore derivato dalla strana illusione di trovarci in condizioni simili a quelle che si verificarono nel passato.
Non è stato compreso, nel secolo delle macchine, che la macchina ha, nella guerra, prodotto lo stesso effetto che nell’industria.
L’operaio addetto al tornio revolver produce mille viti al giorno, mentre prima ne produceva, forse, appena una dozzina;
il soldato che maneggia una mitragliatrice equivale a 200 soldati.
Su chi scrisse il libretto rosso pesa una enorme responsabilità perchè fornì all’esercito un indirizzo che si dimostrò immediatamente falso.
Al soldato occorre instillare lo spirito offensivo ad oltranza; ai comandanti, invece, necessita insegnare quando e come l’attitudine offensiva deve assumersi.
Ciò non è mai detto, anzi, sembra che convenga sempre prendere l’offensiva poichè le armi moderne, secondo il libretto, hanno dato solo dei vantaggi all’offensiva.
Mai è detto come ci si deve regolare nella difensiva, la quale pure è una attitudine che talvolta deve essere assunta.
Mai è citato il principio vero della guerra moderna che è il seguente:
il soldato deve marciare, combattere, o zappare, e tutto il tempo che non marcia e non combatte deve zappare; le armi del soldato sono sempre due:
il fucile e la zappa, il cannone e la zappa, la sciabola e la zappa;
principio questo egualmente vero nella offensiva come nella difensiva.
Così, non avendo capito che un colpo di zappa vale quanto un colpo di fucile, si lasciarono inoperosi migliaia e migliaia di uomini prima e dopo la dichiarazione di guerra, non ostante si vedesse e si sapesse che il nemico lavorava e faceva lavorare.
Occorsero le sanguinose lezioni sull’Isonzo per far aprire un poco gli occhi.
Mai è detto che la manovra moderna consiste nel sapere opportunamente valersi della difensiva per risparmiare le forze da impiegarsi nella offensiva.
L’errore grava su tutto il nostro piano di azione, che non ci condurrà certo a Vienna, grava sull’indirizzo generale delle operazioni e può gravare sull’esito stesso della guerra.
Io spero, per il mio paese, che gli occhi si siano aperti dopo l’esperienza di questo mese e che dietro la nostra linea offensiva si prepari la forte linea difensiva che valga a proteggerci, perchè altrimenti, di fronte alla inevitabile puntata austro-tedesca, munita di mezzi adatti alla offensiva moderna, noi ci troveremmo molto mal preparati a resistere, e subiremmo l’onta di dover retrocedere e malamente retrocedere.
E la colpa sarà di quel male augurato libretto rosso le cui norme, dettate con tanta alterigia e sicurezza, sono completamente false.
4 Luglio 1915.
— Coloro che furono alla testa dei nostri ordinamenti militari tradirono il Paese.
Tale espressione è brutale, ma più brutale è stata la cosa ed è dei fatti che bisogna aver paura, non delle parole.
Il governo, e per esso gli uomini che furono al potere, pur di rimanere al potere, ingannarono il Paese facendogli credere di essere armato, mentre l' esercito andava man mano sfasciandosi materialmente e moralmente.
La guerra europea ci colse senza esercito, a meno che non si voglia chiamar così quella parvenza di organizzazione militare, appena capace di corrispondere alle richieste dei Prefetti per il servizio di Pubblica Sicurezza.
I ministri della guerra, che si succedettero misero il loro grado a servizio della loro ambizione, mentre i presidenti del Consiglio stabilivano il bilancio della guerra in base alle mutevoli esigenze del momento politico.
E si trovarono sempre dei generali che prestarono il loro nome per assicurare il Paese che tutto era pronto.
Nessuno disse mai la nuda verità, nessun Generale mai si levò, sia pure a costo di gettare l’uniforme alle ortiche, per aprire gli occhi al Paese.
Probabilmente perchè non poterono mai diventare generali coloro che avrebbero avuto un carattere capace di ciò.
Nessun deputato militare fu capace di dire qualche cosa di simile.
Il Paese, naturalmente, non poteva che prestar fede ai generali, investiti delle massime cariche, quando essi lo assicuravano.
Certo molti furono condannati per delitti minori.
Una quantità di uomini politici, per comodo di partito, fecero guerra all’esercito e colla loro opera lo demolirono, approfittando della debolezza e della viltà di coloro che dovevano difenderlo;
ora questi messeri sono diventati i più accesi guerrafondai e si fanno fotografare colla gavetta in mano sui giornali d’ogni colore ad uso e consumo di quella razza ingenua alla quale appartengono gli elettori d’ogni colore.
Scoppiata la guerra europea, non ci scuotemmo ancora.
Dovendo scegliere un ministro della guerra, venne scelto il Grandi perchè chiedeva meno del Porro.
L’esercito pareva ancora qualche cosa da mettersi all’incanto.
Ed il Grandi venne fatto ministro, semplicemente perchè ebbe l’incoscienza di accettare un tale incarico in tre ore di tempo, con un forte ribasso.
Così furono perduti altri tre mesi per la nostra preparazione.
Quindi venne l’attuale ministro.
Questi parve dapprima una creatura del Cadorna, ma finì col non goderne più la fiducia, tuttavia restò perchè sembrò inopportuno il cambio del ministro della guerra proprio alla vigilia dell’apertura delle ostilità.
Ma nè il Cadorna, nè il Zuppelli capirono il carattere essenziale della guerra moderna, non videro in essa l’importanza predominante dell’elemento macchina, e lavorarono su di un modello antiquato, trascurando completamente l’insegnamento pratico della guerra in atto.
Il risultato complessivo di tutto ciò è un esercito abborracciato e malamente abborracciato, impari alla sua missione.
Ora questo esercito così male organizzato e così male provvisto è spinto dal suo Capo ad una attitudine offensiva ad oltranza contro un esercito da tempo organizzato e provvisto.
Tutto ciò necessariamente non può che portare a gravissimi risultati, a meno di energici provvedimenti.
La Francia e l’Inghilterra dichiarano che non sono ancora pronte per assumere un’attitudine offensiva, perchè ancora la loro industria non ha potuto provvedere i mezzi necessari, anzi in Francia si comincia a dire che bisognerà attendere un altro anno per ottenere un tale risultato.
E certo Francia ed Inghilterra, sia coi mezzi finanziari, sia coi mezzi industriali che posseggono, hanno in questi undici mesi lavorato più di noi che siamo ancora al periodo della baionetta.
Così, mentre Francia ed Inghilterra si preparano, lavorano, organizzano, noi, che non abbiamo nè preparato, nè lavorato, nè organizzato, corriamo incoscientemente verso scacchi sanguinosi.
E la lezione può essere non lontana.
Per ora siamo arrestati sulla linea di difesa austriaca.
Fra qualche tempo potremo ricevere il colpo austro-tedesco e, per resistervi, bisogna che cominciamo fin d’ora ad aggrapparci solidamente al terreno.
Il provvedimento necessario in tali contingenze è uno solo: frenare la nostra impazienza, guardare la realtà delle cose, preparare ciò che non è stato preparato, attaccarci al terreno, fare di ogni nostra posizione una fortezza contro la quale il nemico venga a rompersi le corna, chiedere all’arte ed all’industria la forza che ci manca, risparmiare gli nomini ed i mezzi.
I nostri generali si riempiono la bocca colla parola manovra.
È la manovra che decide tutto, essi dicono, ripetendo una frase fatta e che non ha alcun significato.
La manovra è una bellissima cosa, che costa pochissimo, ma che è in mano di tutti; bisogna metterla a fattore comune per entrambi i partiti, perciò si può elidere a priori; una volta scomparso questo fattore non resta che l’altro: la forza.
Ora la forza di un esercito, man mano che le armi diventano macchine, dipende in gran parte dalla perfezione, dalla potenza, e dalla quantità delle macchine possedute, e perciò dall’assetto industriale del Paese.
In quest’ultimo periodo di tempo, il progresso della meccanica e della chimica ha messo fra le mani degli uomini delle macchine potentissime e, poichè bastano pochi uomini anche per le macchine più potenti, così si può dire che il numero delle macchine che un esercito può possedere è illimitato e dipende solo dalla quantità che il paese può fornirgli.
Certo è sempre l’uomo che maneggia le macchine da guerra, ed occorre nell’uno l’ardimento ed il coraggio, ma l’uomo che si lancia alla baionetta contro il cemento armato è stolto se lo fa di sua volontà, una vittima se lo fa per ordine superiore.
Perciò è necessario costituirci subito una linea fortificata sulla quale ci sia dato tenere, precisamente come hanno fatto i Francesi.
Ricordiamoci, in questa guerra, non è necessario andare avanti, è necessario non andare indietro; tener desta l’attenzione del nemico, trattenerlo, logorarlo, economizzare le nostre forze, lavorare nel Paese, aver pazienza, pazienza e pazienza, nell’attesa che il tempo logori il nemico in tal modo da potere un giorno o l’altro, tutti insieme, uscire dai nostri ricoveri per schiacciarlo.
Ma quel tempo che non è ancora venuto nè per i Francesi, nè per gli Inglesi, nè per i Russi, dovrebbe essere proprio venuto per noi:
Mi par di ricordare la favola del rospo che voleva diventare bue.